NATALE DEL SIGNORE - messa nel giorno - Lc 2, 1-14


Facciamo fatica a trovare gli aggettivi per accompagnare questo Natale che tutti vorremmo “buono”. Anche per fare gli auguri dobbiamo cercare altri significati che non è facile trovare. Ci ritroviamo nelle parole del grande profeta Isaia: Il popolo che camminava nelle tenebre… sì noi siamo il popolo che cammina a tentoni, fatica a trovare le parole e i pensieri per vivere. Isaia aggiunge però una parola di speranza, perché proprio nelle tenebre il popolo vide una grande luce…. E noi ci aspetteremmo chissà cosa, e il profeta: Un bambino è nato per noi.

Anche Luca racconta di come i pastori che vegliavano durante la notte vennero avvolti di luce e rimandati a un segno, anch’essi al segno di un bambino avvolto in fasce.

Ecco due segni, anzi un segno solo: la luce è un bambino. Un segno anche per noi che camminiamo nelle tenebre.

In fondo anche noi quando nasce un bambino diciamo: è venuto alla luce! Perché la luce è vita. La luce ha un potere immenso, è vita, fa vivere tutto. Eppure la luce non si vede, sembra assurdo, ma è così. Certamente fa vedere, come noi sotto queste lampade, così come vediamo il sole, la luna, le stelle, ma la luce che esse promanano non la vediamo. Vediamo i led delle lampadine, ma la luce che si diffonde non la vediamo.

Estremo paradosso: la luce è l’invisibile che fa vedere. Ed è un modo intelligente di parlare di Dio, perché Dio è invisibile, Dio nessuno l’ha mai visto, eppure è come luce che ci fa vedere, e ci fa vedere non solo ciò che vedono gli occhi, ma anche ciò che gli occhi non vedono, ci fa vedere l’invisibile.

E cosa ci fa vedere? Una cosa semplice. Da guardare con occhi attenti e con cuore aperto perché è un bambino, un essere umano. Succede talvolta anche a noi di cercare, di agitarci a indagare per scrutare qualche significato alla ricerca di qualcosa che ci aspetteremmo straordinario e distante da noi, per poi accorgerci di incontrarla più vicino di quanto pensassimo.

Così anche con Dio, ci aspetteremmo qualcosa di diverso, qualcosa di più grande, di più solenne, di più straordinario… invece sia il profeta che l’evangelista ci dicono che Dio luce invisibile diventa visibile in un essere umano, che è Gesù, nato a Betlemme di Giudea.

Nel vangelo di Giovanni non ci sono i pastori, non ci sono gli angeli con le greggi, non c’è la mangiatoia, non c’è neppure il bambino che nasce, e neppure Maria e Giuseppe… ma almeno Maria ci dovrebbe essere, né cometa, né Magi… tanto che qualcuno potrebbe pensare che in Giovanni il Natale non c’è. Invece c’è, non c’è il racconto, ma il senso, il significato dal Natale che è tutto raccolto in cinque parole: La Parola si fece carne (1,14).

Dio diventa umano. Siamo in presenza del più grande paradosso che si possa immaginare, anzi non lo si può neppure immaginare perché va bene che parliamo di Dio come luce, pensare però che quella luce sia un essere umano, no perché Dio è l’opposto dell’umanità, della carne. Noi siamo la carne, siamo umani perché senza carne saremmo dei fantasmi, non esisteremmo.

Dio non è carne, Dio è Spirito. In un certo senso lo Spirito e l’umano sono l’opposto l’uno dell’altro. Dio è eterno e la carne è effimera. Quando siamo nati nostra madre, nostro padre ci hanno preso in braccio e hanno detto: Com’è bello il mio bambino, la mia bambina! Sì la carne umana è bella, ma prima o poi appassisce, sfiorisce, muore.

Allora se a Natale Dio è diventato carne, è diventato umano, vuol dire che è diventato quello che non era e che non è mai stato. Dio non è più solo Dio, ma è anche uomo. Non è più solo divino, ma anche umano. Siamo di fronte a una cosa sconvolgente. Perché, attenzione, Dio poteva anche diventare altro.

Poteva diventare sacerdote del tempio di Gerusalemme… e fare tante belle celebrazioni, celebrare feste, fare sacrifici, ma non è diventato sacerdote perché con la religione la gente pensa di trattare Dio come si tratta un ragioniere. Io ti do, tu mi dai, io ti offro i miei sacrifici e tu mi devi fare la grazia! No, Dio è diventato carne.

Oppure la Parola poteva anche diventare musicista. E sapete quant’è importante la musica per noi. Ascoltare musica, cantare ci libera dai cattivi pensieri, allontana i brutti spiriti. Ci solleva, ci rigenera, ci fa bene. Ma a Natale Gesù non è diventato musicista.

Avrebbe potuto diventare artista, pittore, scultore, poeta, regista, ballerino… sono tutte forme molto belle che nutrono la nostra anima. Quando guardo un bel quadro, vedo un bello spettacolo… sono tutte cose che arricchiscono e abbelliscono la vita. Se dovesse sparire la bellezza dell’arte dal mondo, sarebbe quasi un azzeramento della civiltà. E anche l’arte è uno dei tanti modi con i quali Dio parla, suscita pensieri, scatena emozioni… Ma Dio si è fatto semplicemente umano.

Infine la parola avrebbe potuto diventare uno scienziato, un sapiente, uno studioso. Sarebbe stato bellissimo: quanto amiamo la scienza, la tecnologia… ci piace conoscere, ed è un’impresa senza fine. Sapere come si è formato il mondo, conoscere le particelle dell’universo, le nanotecnologie, ma a Natale la Parola non è diventata scienza, è diventata carne, è diventata umana.

Perché? Per una ragione molto semplice: non tutti siamo preti, non tutti siamo scienziati, non tutti siamo artisti, non tutti siamo poeti o musicisti… ma tutti siamo carne, siamo umani e Dio a Natale, viene per tutti e perciò diventa quello che tutti siamo.

Dio non ci è mai così vicino come a Natale. Natale vuol dire: Dio per tutti, Dio con tutti.

È venuto per incontrare me, per incontrare te… noi siamo tutti diversi, molto diversi, ma in una cosa siamo uguali, tutti siamo carne, siamo umani. E lì è sicuro di trovarci, lì ci siamo tutti, lì ci sono io e ci sei tu.

Ma un’ultima domanda: a che scopo Dio è diventato carne? Perché è diventato umano?

Prima di noi se la sono posta in tanti questa domanda e i Padri della chiesa hanno scritto: Dio è diventato uomo affinché l’uomo diventasse Dio.

Ed è molto bella questa cosa, ma cosa significa diventare come Dio se non imparare da lui che appunto si è fatto carne, è diventato umano?

Possiamo dire che siamo chiamati a diventare umani, più umani di quello che siamo oggi, imparando da lui, che «per tutta la vita non ha fatto altro che discendere» (Ch. de Foucauld).

Noi non siamo ancora umani perché ci innalziamo sempre più sui nostri piedistalli, sui nostri troni, ci piace apparire sui nostri palcoscenici: Dio è diventato umano per dirci che siamo fatti per essere più umani, proprio come Gesù, la pienezza umana di Dio.

Quando siamo tristi, abbattuti, scuri in volto e nell’anima, cosa possiamo fare?

Quando la nostra intelligenza naviga nel buio, quando le persone intorno sembrano non capirci più e sprofondiamo nella tristezza, dove cerchiamo un senso e un significato se non nella vita di Gesù?

Quando la persona che amiamo ci ha deluso, ci ha abbandonati… impariamo a guardare le nostre situazioni alla luce della vita di Gesù, alla luce silenziosa del Vangelo.

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce. Non accanto, non sopra, non sotto… ma dentro, nelle tenebre, proprio laddove c’è il buio più profondo lì Gesù ci raggiunge con la luce della sua parola, della sua vita, del suo amore.

Se la luce splendesse solo in cielo, noi che siamo sulla terra non potremmo vederla.

Se splendesse solo lontano dalle tenebre, noi che siamo dentro le tenebre, nel buio del mondo e nel buio dell’anima non potremmo vederla.

Gesù è la luce che nel buio dell’odio splende con il suo amore.

Impariamo da lui e non cerchiamo grandi segni per dare senso alla nostra vita: gettiamo nelle tenebre che ci avvolgono segni luminosi e semplici quanto una carezza, un’attenzione, una telefonata. Facciamo brillare un gesto di solidarietà, di cura, di prossimità.

Può esserci un Natale senza troppi aggettivi, ma non senza la luce di un Dio che si fa umano per amore e non senza un gesto di umanità che possiamo far brillare intorno a noi.

(Is 8,23b-9,6a; Lc 2,1-14)