I DOPO LA DEDICAZIONE - Domenica del mandato missionario - Lc 24, 44-49a


(At 10, 34-48; Lc 24, 44-49)

Vi invito a soffermarvi sulla prima lettura tratta dal cap. 10 degli Atti, che ci racconta dell’incontro tra Pietro e Cornelio, un faccia a faccia tra due uomini molto diversi fra loro.

Il primo è un ebreo pescatore di Galilea che ormai ha cambiato lavoro, perché dopo aver incontrato Gesù, la sua vita non è più la stessa.

Il secondo è un pagano, e come centurione comanda una unità di fanteria dell’esercito romano che appartiene della coorte italica, cosiddetta perché formata da soldati provenienti principalmente dalla penisola e che era di stanza a Cesarea Marittima.

Non solo, Luca annota all’inizio del cap.10 che Cornelio era pio e timorato di Dio, faceva molte elemosine e pregava Dio assiduamente.

Quindi una brava persona, al punto che un giorno manda a chiamare Pietro che si trovava invece a Giaffa, sempre sulla riva del Mediterraneo a 50 km a sud di Cesarea per dirgli: Guarda Pietro, mentre pregavo, ho avuto l’ispirazione di mandarti a chiamare e adesso sono qui con tutta la mia famiglia per ascoltare «tutto ciò che dal Signore ti è stato ordinato».

Forse a noi farebbe piacere sentirci fare una richiesta di questo tipo, ma per Pietro credo che sia stata dura e forse in cuor suo avrebbe preferito non avere a che fare con un problema del genere.

La questione è che Cornelio è un pagano, è un centurione della coorte Italica, e fino a quel momento l’annuncio del vangelo era rimasto dentro i confini dell’ebraismo: Gesù era ebreo, gli apostoli pure, e così i discepoli e le donne che gravitavano intorno a lui.

Dico questo perché se è vero che Cornelio deve essere guidato, come si dice oggi, a fare un cammino di fede, perché conosca Gesù e il suo Vangelo; tuttavia è anche vero che Pietro a sua volta è condotto dallo Spirito santo a fare un cammino che lo cambia per poter compiere ciò che Gesù gli aveva detto e che abbiamo ascoltato dal vangelo di Luca: Saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati … di questo voi siete testimoni.

Ma come sappiamo bene, passare dall’enunciazione dei principi alla vita è sempre complicato, soprattutto rischioso perché ci costringe a modificare modi di pensare e di credere che riteniamo certi, assoluti e stabili.

Pietro era cresciuto con l’idea che la salvezza veniva da Israele, certo Gesù gli aveva detto di predicare a tutti i popoli, ma di fatto lui e gli altri ancora stavano lì dentro i confini di Israele e non avevano forse nemmeno la minima intenzione di muoversi.

Ma se è vero che gli apostoli stanno fermi, lo Spirito di Dio è già all’opera.

Quando Pietro ascolta le parole Cornelio si rende conto che qualcosa è già successo, vede che nel cuore di quell’uomo il Signore ha già fatto la sua parte, ha già lavorato, ora tocca a lui.

E allora Pietro non si mette a fare una predica per dire quello che Cornelio e la sua famiglia dovrebbero fare, ma annuncia loro il kerygma: Gesù è una questione che riguarda anche te, Cristo morto e risorto è il Signore di tutti e anche di voi pagani!

Il discorso di Pietro è essenzialmente l’annuncio della pasqua: è con Gesù Cristo che Cornelio ha bisogno di incontrarsi, deve guardare al Cristo crocifisso e risorto, deve fare i conti con quella croce che per i giudei è uno scandalo e per i non giudei è una pazzia (come diceva Paolo); deve fare i conti con quella risurrezione che è promessa di vita nuova e piena, perché intuisce che la propria vita, per lodevole che sia, non offre alcuna garanzia di salvezza.

Pietro stava ancora parlando quando lo Spirito santo scende sui presenti, prima ancora che ricevano il battesimo. Potremmo dire che come c’era stata una pentecoste per i giudeo-cristiani nel cenacolo di Gerusalemme, così a Cesarea Marittima, porto del Mediterraneo, assistiamo ad una pentecoste per i pagani.

Questo fatto dice anzitutto che dobbiamo superare quel luogo comune secondo il quale siamo soliti dire che l’annuncio ai pagani si è reso necessario in seguito al rifiuto d’Israele! Non è vero, se leggiamo le Scritture, è voluto da Dio stesso.

Non dovremmo mai dimenticare che prima ancora di noi e delle nostre attività e organizzazioni, lo Spirito di Dio è all’opera, agisce.

Vi invito a notare quel particolare per cui Cornelio e i suoi ricevono il battesimo dopo lo Spirito – per usare un linguaggio catechistico, dopo la cresima – e non è affatto una questione secondaria, perché Luca ci vuole dire che prima ancora che i pagani scelgano di essere battezzati, lo Spirito di Dio li precede, è già all’opera.

L’incontro Cornelio e Pietro, porta il primo a diventare discepolo di Gesù, ma mette anche Pietro in condizione di fare un passo avanti nella conoscenza del mistero e del modo di agire di Dio.

Pietro si rende conto che l’Eterno non fa preferenze di persone, non rimane chiuso in una chiesa o in una comunità religiosa, Dio è più grande del nostro cuore, della nostra mente e delle nostre organizzazioni.

L’Eterno non si accontenta del Cenacolo, vuole portare i suoi al porto di Cesarea Marittima, dove lui tra l’altro è già arrivato!

La missione di Pietro allora non sarà quella di vendere un nuovo prodotto migliore di altri, ma a lui e alla sua chiesa è chiesta la capacità di andare là dove il Signore ha già seminato e saper portare a maturazione quel seme di Dio che lo Spirito ha già deposto nel cuore di ciascuno.

Questo ci deve far riflettere sul carattere missionario della nostra Chiesa.

Pensiamo sempre che l’attività missionaria sia “fare qualcosa per …” nel senso che portiamo dentro di noi l’idea di una chiesa che si deve espandere, che deve crescere numericamente e nelle sue strutture, di una chiesa che venga sempre più riconosciuta nella sua visibilità, incline a occupare spazi sempre più ampi …

Un cristianesimo così semplicemente inteso più che un dono per tutti diventa strumento per differenziare fra uomini e no, costruisce steccati e frontiere tra “noi e loro” … A rileggere le Scritture non sembra essere questo il disegno di Dio.

Infatti non dobbiamo dimenticare che prima ancora del nostro impegno, delle nostre attività, dobbiamo imparare a riconoscere l’azione dello Spirito santo che ci precede, di uno Spirito di Dio che – come dice Martini – agisce prima di noi, nonostante noi e al di là di noi.

Questo atteggiamento che impariamo da Pietro, potrà permetterci di vivere un cristianesimo del paradosso, un cristianesimo che si rende testimone della straordinaria possibilità di quello che umanamente è impossibile.

Chi mai avrebbe potuto immaginare che un centurione romano potesse ricevere il battesimo appena qualche anno dopo la morte di Gesù?

Cristianesimo del paradosso ignifica rimettere al cuore della nostra missione l’annuncio del kerygma, del Cristo morto e risorto, è questo l’inizio di una nuova creazione, il miracolo possibile di fronte alle normali impossibilità dell’uomo.

Il dono della fede precede il battesimo per Cornelio e i suoi, e noi che forse dobbiamo recuperare la fede dopo il battesimo per essere testimoni efficaci del suo amore in Cristo, impariamo a saper vedere nei nostri interlocutori uomini e donne che Dio ha già riconciliato a sé e che attendono « solo » di poter dare al suo amore un volto e un nome.

Ma è proprio questa la sfida del nostro tempo: se non vogliamo ridurre il cristianesimo ad una melassa religiosa, torniamo ad annunciare l’essenziale di Cristo e del suo regno.