III DOPO PENTECOSTE - Gv 3, 16-21
(Gen 2, 4-17; Rm 5,12-17; Gv 3, 16-21)
“Dio ha tanto amato il mondo…”. Queste parole del Vangelo sono una buona notizia per noi. Dio ama il mondo, lo ama ancora e siccome è Gesù a dirlo, questo ci rassicura, ci dà conforto e consolazione.
Da che cosa possiamo comprendere che Dio ama il mondo? Ognuno di noi può pensare ai mille doni che riceve ogni giorno, se ci guardiamo intorno possiamo riconoscere al di là dei problemi e delle preoccupazioni che incombono, possiamo dire che il dono stesso della vita, degli affetti… sono segno dell’amore di Dio.
La parola della Genesi ci invita ad allargare lo sguardo sulla terra, sul mondo per dirci: guardate che bel giardino ci ha dato di abitare! Tutta la terra è un giardino… luogo di ospitalità e di comunione nel quale Adamo ed Eva sono posti come custodi, così dice al v.15: Il Signore Dio pose l’adam nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse.
È chiaro che l’Adam siamo ciascuno di noi, Adamo e Eva non sono figure storiche vissute qualche migliaio di anni fa, siamo ciascuno di noi, ogni uomo e ogni donna che sono al mondo nella condizione di custodire e coltivare il giardino, dono dell’amore di Dio.
E proprio per il fatto che ogni uomo e ogni donna sono posti come ospiti in questo giardino, quando vi entrano non è che devono inventare tutto daccapo, c’è una cosa che l’uomo e la donna non devono fare, lo leggiamo alla fine della pagina della Genesi quando Dio pone il precetto di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Nel senso che quando l’uomo è posto nel giardino il bene e il male ci sono già. Quando noi veniamo al mondo il bene e il male li conosciamo, non siamo noi a stabilirli, esistono già e, siccome appunto siamo ospiti su questa terra, non ne siamo i padroni, il rispetto del bene e del male è come la regola dell’ospitalità. Perché nel mondo siamo tutti ospiti, diciamo così, siamo di passaggio… il problema sopraggiunge proprio quando l’ospite vuol diventare il padrone di casa. Il peccato è presentato dalla Bibbia proprio come violazione dell’ospitalità, che in oriente è una delle colpe più gravi.
Ma voi direte: che libertà è quella che se non fai quello che ti dice lui, ti condanna a morte?
Proviamo a pensare: da dove viene l’uomo, dalla polvere, dalla adamah, dalla terra… quindi l’essere umano è già di suo destinato alla terra, alla polvere. Mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male non significa essere condannati a morte. Eppure Dio dice, e sono le ultime parole: certamente dovrete morire! Di quale morte si parla?
Non è che il peccato originale come lo ha chiamato s. Agostino è la colpa di due che stanno all’inizio e che poi a cascata ricade su di noi… è vero piuttosto che ciascuno di noi è posto in quella stessa condizione, noi siamo Adamo, siamo Eva, noi ci portiamo dentro questo peccato che dà origine a ogni altro peccato ed è quello di voler essere non ospiti del giardino, ma di fare i padroni… questo ci condanna alla morte, intesa non come castigo, ma come conseguenza distruttiva del pretendere di reinterpretare la creazione in modo diverso da come il creatore l’ha presentata all’uomo.
Un esempio di questa morte è sotto gli occhi di tutti: la terra da giardino si riduce a deserto. Chi ha provato a vivere nel deserto, non da turista col turbante in testa e facendosi fotografare sul cammello, ma chi ha provato a stare davvero nel deserto, sa come lo ha vissuto il popolo della Bibbia, cioè come un assaggio della morte.
Ma senza andare nel deserto geografico, esempi di questa morte ci vengono dalla violenza che gli uomini esercitano su altri uomini, dalle guerre, dalle ingiustizie di cui è pieno il mondo… ma anche dentro casa nostra assaggiamo la morte quando tradiamo la nostra vocazione, quando non siamo responsabili del bene comune; quando escludiamo, emarginiamo; è la morte morale quando usiamo e ci serviamo degli altri…
Nel momento invece in cui abitiamo la terra come Dio la vuole – non diciamo come Dio l’ha fatta, perché la Genesi non parla di un passato lontano, ma di un’intenzione divina permanente e contemporanea anche a noi – allora il mondo diventa luogo di ospitalità e di comunione.
Ogni giorno siamo nella condizione di stare davanti a questa scelta. Ma ci rendiamo contro che ci sono situazioni nelle quali non decidiamo noi, sono già state determinate, avvertiamo di stare dentro strutture di peccato. Voglio dire che non dobbiamo pensare solamente in termini individuali. Lo ricordava papa Francesco quando ha scomunicato i mafiosi, quando ha usato parole forti e chiare nei confronti della corruzione… perché ci sono strutture sociali, politiche e finanziarie che operano nel mondo che sono delle vere e proprie strutture di peccato dentro le quali la persona è semplicemente ridotta a pedina funzionale al disegno dettato da interessi e da calcoli di parte.
Ebbene, tornando alla parola di Dio che abbiamo ascoltato, la buona notizia non è solo che Dio ci ha dato la terra come un giardino da coltivare, ma c’è anche un altro dono che l’Eterno ci ha fatto, come scrive Giovanni: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna (v.16).
Per questo dono di Gesù, come scrive Paolo ai cristiani di Roma, ci è data la grazia di non rimanere schiavi del peccato, di quel peccato che sembra invincibile, che è l’incapacità di continuare l’opera della creazione come Dio la vuole, che è la morte che dilaga e attraversa il mondo e le nostre relazioni…
Anche Nicodemo credeva impossibile rinascere: come dare fiducia all’uomo, come può rinascere il mondo costruito non solo sul peccato dei singoli, ma anche su strutture di peccato? Non lo crediamo possibile. E giustamente perché conosciamo le nostre iniquità. Per questo Dio ha mandato Gesù, perché impariamo a fidarci di lui, a credere in lui, ad amare come lui, a trattare gli altri come ha fatto lui, questo rende la terra un giardino.
Il mattino di Pasqua, quando Maria di Magdala va al sepolcro e lo trova vuoto, non riconosce Gesù e pensando che sia il custode del giardino (Gv 20,15) gli dice: se l’ha portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo. Le parole di Maria di Magdala denunciano anzitutto un modo di fare che da sempre ci accompagna, perché pensa che colui che doveva essere il custode del corpo di Gesù, in realtà lo abbia portato via… perché di questo è capace l’uomo.
Al tempo stesso però Giovanni con una certa ironia mette Maria di Magdala in condizione di identificare Gesù nel custode del giardino, nel custode per eccellenza dell’umanità e della terra perché in realtà il Signore è il custode che compie il disegno del Padre e lo porta a compimento facendo fiorire la vita oltre la morte.
Come il peccato riduce il giardino a un deserto, così lo spirito di Gesù, il suo modo di vivere, di fare, di amare, di perdonare, di rispettare… ecco tutto questo fa ritornare la terra a essere un giardino.
Chi fa la verità viene verso la luce, dice Gesù a Nicodemo (v.21). Come la terra guarda verso la luce per essere resa feconda, così se il nostro sguardo è rivolto a Cristo che nel suo amore effonde lo Spirito, succede allora che anche noi impariamo ad abitare la storia, a vivere le scelte di ogni giorno come custodi illuminati e responsabili del dono di Dio.