XII DOPO PENTECOSTE - Mt 10, 5b-15
(Gv 6, 51-58)
Non so se vi sia mai capitato di pensare di condensare la vostra esperienza di vita in un segno, in un simbolo. Non è facile raccogliere in sintesi la ricchezza di un’esistenza, ma se dovessimo chiederlo ad un imprenditore probabilmente esibirebbe la sua impresa, la sua industria; un artista invece ci parlerebbe di una sua opera, una sua creazione; uno scienziato di una sua ricerca…
Ecco, se questa stessa cosa venisse chiesta a noi, se ci venisse chiesto di identificare la nostra vita in un segno, un oggetto, a che cosa potremmo paragonare noi stessi? cosa potrebbe esprimere in sintesi la nostra storia e la nostra vita?
Il vangelo di Giovanni ci racconta che Gesù in diverse occasioni per parlare di sé e della propria missione ha fatto ricorso ad alcune immagini e simboli che incontrava nella vita quotidiana del suo tempo: «Io sono la luce» (8, 12); «Io sono la porta» (10, 7.9); «Io sono il buon pastore» (10, 11.14); «Io sono la risurrezione» (11, 25); «Io sono la via» (14, 6); «Io sono la vite vera» (15, 1.5) … ma, in ordine di tempo, la prima di tutte è quella che abbiamo ascoltato oggi: Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Tutto il cap. 6 di Giovanni è costruito intorno a questa metafora del pane che attinge alla storia biblica, alla storia della manna nel deserto, ma non solo.
Per lungo tempo – e da qualche parte nel mondo ancora oggi – il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che si mangiava insieme era appunto il “companatico”.
Frutto della terra e del lavoro dell’uomo, sintesi di natura e di cultura, il pane ha una storia che si perde nella notte dei tempi, segnata ora dalle stagioni feconde, ora dalle carestie. Per il pane si sono combattute guerre e si sono accese rivolte fino ad oggi; per contro condividere il pane è segno di ospitalità e di amicizia, in alcune culture il pane non si può tagliare con il coltello, si può solo spezzare con le mani.
Tra l’altro la metafora del pane è entrata nel linguaggio quotidiano con diversi modi di dire ad indicare alcuni stati d’animo, modi di essere, situazioni di vita: «Essere buono come il pane; guadagnare il pane con il sudore della fronte; stare a pane e acqua; mangiare il pane delle lacrime; a chi ti colpisce con le pietre, rispondi con il pane».
Ancora oggi il pane fa la differenza tra il mondo dei poveri e quello dei ricchi: i poveri ne domandano sempre di più, i ricchi vi devono rinunciare per la dieta. Al punto che risuona molto vero ciò che diceva Gandhi: «In un mondo dove ci sono tanti affamati, Dio può apparire solo nel segno del pane»!
Torniamo al testo del vangelo di Giovanni, perché Gesù arricchisce l’immagine del pane specificandola così: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
Un’espressione un po’ cruda e distante dalla nostra sensibilità, ma che possiamo comprendere se ricordiamo l’inizio del vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato in una stagione sicuramente più fresca, nel tempo di Natale, quando diceva: Il Verbo si è fatto carne. Cioè il Logos è diventato uomo, si è fatto persona umana. Così possiamo allora rendere le parole di oggi: Il pane che io darò è la mia persona, il mio essere uomo per la vita del mondo.
Da qui il disorientamento dei Giudei che obiettano: Come può costui darci la sua carne/persona umana da mangiare? Capiscono benissimo che le parole di Gesù non sono un incitamento al cannibalismo, la questione è come possa l’umanità di Gesù essere fonte di vita per il mondo?
Giovanni, negli ultimi anni di vita, dovette contrastare un’eresia che si affacciava già nella chiesa, un’eresia chiamata docetismo: questi eretici dicevano che Gesù non era vero uomo, era Dio che aveva assunto la parvenza dell’uomo, ma senza esserlo veramente…
La reazione di chi come Giovanni era stato con Gesù fu quella di insistere su questa concretezza, che a noi pare cruda, ma che è un dato di fede fondamentale: Gesù è carne, non è solo spirito! Gesù è Dio ma è anche persona umana. È il dono di Dio: Gesù è il pane donato dal Padre per la vita del mondo.
E i discepoli che hanno seguito Gesù giorno dopo giorno, che lo hanno ascoltato, lo hanno visto piegarsi sui malati, sui sofferenti, lo hanno visto a tavola con i pubblicani e i peccatori e convertire il cuore dei ricchi alla condivisione… hanno imparato a conoscere e a nutrirsi del modo di stare al mondo di Gesù, come di un pane buono che alimenta il senso della vita. Hanno ascoltato Gesù e hanno mangiato il gusto della vita.
Potremmo dire che il gesto dello spezzare il pane rappresenta bene la vita del Cristo: da quando lo spezza per le folle, fino all’ultima cena, dove quel pane che ha tra le mani è il compimento di quanto è andato facendo lungo le strade di Israele.
Gesù chiede anche a noi di mangiare e bere del suo corpo e del suo sangue e come scrive s. Agostino commentando questa pagina: Ciò che conta è che uno mangi interiormente, non solo esteriormente: che mangi col cuore, non che mastichi coi denti.
Ci nutriamo del pane che è Cristo, della sua umanità e della sua divinità, perché il nostro modo di agire, di essere, di pensare, di amare e di volere sia metabolizzato nel modo di agire e di essere, di pensare e di volere di Gesù.
Il mangiare la carne e bere il sangue di Gesù significa l’adesione alla persona di Gesù, che è uomo e Dio, che si dona, che offre se stesso, che fa della sua vita un dono. Per questo oggi possiamo pregare: Cristo tu ci sei necessario come il pane (Paolo VI).
Quand’ero piccolo e a tavola, come spesso facevano i bambini, giocavamo a fare le palline con la mollìca di pane, mamma e papà subito intervenivano a dire: non si gioca col pane!
Oggi possiamo dire che non possiamo permetterci di giocare con l’Eucaristia, cioè di lasciare che la noia o l’abitudine la rendano un rito stanco e irrilevante nella vita.
Ascoltiamo per concludere la testimonianza di Annalena Tonelli, medico e volontaria laica in Somalia, assassinata il 5 ottobre 2003: «La vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’amore è inutile, che la mia religione non ha poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie, né pellegrinaggi, ma che quell’Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi, racchiude un messaggio rivoluzionario: questo è il mio corpo fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condanna».