V DI PASQUA - Gv 14, 21-24


Non potremmo comprendere le parole del Vangelo senza continuare la lettura di Giovanni per almeno due versetti nei quali Gesù afferma: 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto[1].

Questa è la seconda delle cinque promesse dello Spirito Santo nei discorsi dell’ultima cena riferiti da Giovanni. Ed è importante per noi che abbiamo ascoltato la domanda di Giuda, non l’Iscariota, il quarto degli apostoli che interroga Gesù chiedendogli: «Perché mai ti manifesti a noi e non al mondo?».

Non sarebbe meglio se Gesù facesse vedere la potenza di Dio, la gloria di Dio, l’onnipotenza di Dio? Chi resisterebbe a tale manifestazione? Invece Gesù dà una consegna non da poco ai suoi discepoli:  Se uno mi ama e osserva la mia parola, io e il Padre verremo presso di lui e prenderemo dimora presso di lui.

Non ci sono visioni, apparizioni, altre rivelazioni da attendersi, ma la cosa che sta sopra tutto nel testamento di Gesù è invocare il dono dello Spirito che insegnerà e ricorderà tutto ciò che Cristo ha detto.

E sì, perché succede anche a noi, quando una persona non c’è più, di lei ricordiamo quello che in quel momento ci interessa, ciò che ci sta a cuore in quella particolare condizione della vita. Teniamo vivi dei ricordi legati a occasioni particolari… Facciamo per forza di cose una selezione, non per questo meno vera, ma è pur sempre un approccio parziale, particolare.

Questo è quello che Gesù, nei discorsi dell’Ultima Cena, dice ai suoi, perché riconosce che loro stessi saranno soggetti a questa legge umana per la quale ricorderanno di lui alcune cose, comprenderanno di lui solo alcuni aspetti, altri dovranno essere ripresi. Come potranno vivere il Vangelo, senza che essi stessi siano costantemente sottomessi al Vangelo? Parola che non si finisce mai di amare, di scoprire e di conoscere?

Ecco l’importanza del dono dello Spirito: Vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Ne abbiamo un esempio emblematico nella prima lettura. Il cap.10 del libro degli Atti degli Apostoli ci fa spostare a Cesarea dove c’è Cornelio della coorte Italica, ma contemporaneamente ci racconta di Pietro che si trova a Giaffa, oggi sobborgo di Tel Aviv, sta sulla terrazza della casa di Simone il Conciatore che lo ospita, a pregare, dovremmo essere tra il 41 e il 44 d.C..

Pietro non pensa minimamente di andare in casa di un pagano. Non è alle prese con una strategia per evangelizzare il Mediterraneo, non ha affatto elaborato un piano di conquista. Tutt’altro, Pietro è tranquillo a Giaffa, ospite di Simone il conciatore di pelli, la cui casa è sulla riva del mare (trattare le pelli era puzzolente!), quando per tre volte vede come una tovaglia con sopra ogni tipo di carne: è mezzogiorno ed è salito sulla terrazza a pregare, davanti al mare! Sulla tovaglia c’è ogni sorta di carne di animali, tranne il pesce, come nell’arca di Noè.

Pietro aveva interiorizzato questa regola scritta nel libro del Levitico al cap. 11 dove si distingue tra animali puri e impuri, animali che si potevano mangiare e no… è evidente la visione che ha, ma deve sostenerla per tre volte, tanto è resistente ad accettarla.

È un cambiamento di mentalità molto forte, è una conversione quella che deve sostenere Pietro che è un poco come quella cui noi prestiamo resistenza, credendo che il dono dello Spirito sia costretto dentro le nostre regole, i nostri paletti cultuali, i nostri recinti di merito.

Abbiamo dentro di noi l’idea che Dio debba venire veicolata dalle nostre azioni!

Invece Pietro si rende conto che lo Spirito arriva prima di noi, senza di noi, come noi non ce l’aspettiamo… e di conseguenza, se uno è attento a come lo Spirito di Dio abita il nostro mondo, fa come lui per cui il battesimo che Pietro dona è un atto di obbedienza all’iniziativa di Dio. Non si fa padrone dei sacramenti, ma riconosce e discerne, grazie al dono dello Spirito, l’agire dell’Eterno nella vita e nella storia.

La cosa che è ancor più stupefacente è che il dono dello Spirito, v.44, scese su tutti coloro che ascoltavano la Parola, senza che Pietro e gli altri lo avessero invocato! Anzi si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo, al punto che non possono non battezzarli.

Insomma qui abbiamo un rovesciamento dei nostri parametri: lo Spirito precede l’iniziativa degli apostoli, non sono loro a discernere se c’è o meno lo Spirito, lo Spirito si effonde sui pagani per sua iniziativa. La condizione è che gli apostoli annuncino la Parola.

E poi c’è anche questo rovesciamento per cui diremmo noi prima c’è la cresima e poi il battesimo! Ed è un bell’invito a noi che abbiamo sclerotizzato il cammino di fede costringendolo nelle tappe di un percorso scolastico… e poi ci lamentiamo che le cose non vanno bene. Abbiamo preteso di rendere il dono dello Spirito frutto del nostro catechismo, ingabbiandolo nelle trame delle nostre alchimie pedagogiche.

Prima di lamentarci che il mondo non crede più, che i giovani non pregano più e tutte queste sterili lamentele, impariamo a convertirci noi anzitutto, a convertirci come ha fatto Pietro.

Se noi imparassimo a vedere le cose da questo punto di vista cambieremmo prospettiva: non è tanto Pietro che prende iniziativa. Pietro per formazione, per cultura o per carattere, avrebbe fatto volentieri a meno di fare tutta quella strada per andare da una famiglia di pagani! Ma è Dio che manda il suo angelo a Cornelio, a un pagano, non a Pietro… ma a un pagano con l’ordine di pescare il pescatore di Galilea con la sua rete.

Pietro si sposta da Giaffa fino a Cesarea, percorre 50 km per capire che non deve portare il mondo in chiesa, ma, come continua a dirci papa Francesco, la Chiesa nel mondo.

La chiesa non può essere autoreferenziale, autocentrata: non chiama gli uomini a entrare, ma lo Spirito la sospinge a uscire verso tutti. La chiesa non è un ovile dove si chiudono le pecore per mungerle, tosarle e destinarle al sacro macello.

Lo Spirito sospinge fuori dai recinti, da tutti i recinti religiosi e non, perché la vita dell’uomo è la libertà dei figli di Dio.

Pietro primo papa, futuro vescovo di Roma pagana, riluttante e restio, deve rassegnarsi a scendere dalla terrazza e andare fino al porto di Cesarea per poter dire: Sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualsiasi nazione appartenenza.

Con questo non si cancella il privilegio di Israele come popolo che ha ricevuto la rivelazione, ma il Vangelo nato dentro il popolo eletto è destinato al mondo intero.

Tuttavia Pietro pone una condizione previa: il timore di Dio e il praticare la giustizia, amare Dio e il prossimo. Perché ovunque possono esserci persone che come Cornelio possono condurre una vita giusta.

Ma ribadisco, non è questa una convinzione di Pietro, un suo piano, è la risposta all’iniziativa che Dio gli ha messo in cuore, gliel’ha soffiata dentro, perché ora si compia la benedizione promessa ad Abramo, che tutti gli uomini siano figli benedetti dal Padre e di conseguenza fratelli tra loro.

«Cosa fa Dio tutto il giorno?» si chiedeva Meister Eckhart il grande maestro che amava camminare sulla frontiera del pensiero teologico e spirituale, «Genera», si rispondeva.

Genera in Pietro un’apertura all’azione dello Spirito, affinché sappia accogliere quello che lo Spirito ha iniziato nella casa di Cornelio. In quella stessa casa, dietro quella porta si incontrano due mondi, quello giudeo e quello pagano e inizia il compimento della benedizione fatta ad Abramo.

La vera fatica è stata per lo Spirito la conversione di Pietro. È stata dura vincere le sue resistenze per renderlo consapevole non tanto di difendere quello che Gesù aveva detto e fatto, ma di farlo fiorire, farlo crescere, farlo germogliare.

Lo Spirito santo scende sui pagani senza che Pietro e gli altri lo abbiano invocato! Questo ci fa capire che lo Spirito abita il cuore di ogni uomo, di ogni donna ma per venire alla luce attende che qualcuno annunci la Parola del Figlio che lo faccia fiorire e germogliare.

Siamo come delle levatrici in questo mondo, in mezzo alla tristezza, alla violenza, alla durezza di cuore… proprio in questa nostra generazione, possiamo essere generativi di speranza, di fiducia, di coraggio.

Chiediamo il dono dello Spirito non per noi stessi, ma perché sappiamo riconoscere i suoi doni disseminati dovunque, perché Dio questo continua a fare, continua a generare.

 

(At 10, 1-5.24.34-36.44-48; Gv 14, 21-24)

[1] Sarà l’incipit della lettura evangelica della Sesta domenica di pasqua.