IX DOPO PENTECOSTE - Mt 22, 41-46
Mi sono chiesto come possa la parola di Dio di oggi essere di aiuto per noi che viviamo vicende piene di paura, di violenza, di incertezza e di angoscia per il futuro, al punto che non sappiamo in definitiva quale mondo consegneremo alle nuove generazioni. La strage di Nizza, il tentativo di colpo di stato, o presunto tale, in Turchia, il razzismo che emerge negli USA ma anche in tante forme e in tante parti del mondo … ecco sono solo alcuni dei temi che ci turbano, ci scuotono emotivamente, ci fanno pensare e che possiamo oggi far diventare oggetto della nostra preghiera.
Partiamo proprio da qui: come la parola di Dio ci aiuta a fare luce sul mistero del male? Che non significa anzitutto fare qualche riflessione teorica, o anche teologica, sul male che c’è in noi e intorno a noi, le letture di oggi dicono piuttosto come Dio accompagna il cammino dell’uomo, quali strade apre il Signore dentro le nostre trame negative e come sia ancora possibile trarre il bene dal male.
Il testo del vangelo di oggi è un poco criptico, non è di immediata comprensione. Non possiamo comprendere la domanda che Gesù pone ai farisei, senza conoscere quello che c’è prima, ovvero le incalzanti domande dei farisei e degli erodiani come quella che abbiamo ascoltato domenica scorsa sul dare a Cesare quello che è di Cesare.
Appunto dopo essere fatto oggetto di domande, è Gesù stesso che interroga i suoi interlocutori su una questione che potremmo considerare esclusivamente di interesse ebraico: di chi è figlio il Cristo, il Messia?
Di Davide ,rispondono. E noi potremmo pensare che la discussione sia di interesse prettamente ebraico, ma sbagliamo perché ci dà l’occasione di riprendere un tema caro al Primo testamento e che ritorna spesso in tanti testi del NT. Sono quasi sessanta i passi in cui si cita Davide in riferimento a Gesù, in particolare significativi quelli in cui si dice che Gesù è figlio di Davide. Matteo stesso inizia così il suo Vangelo: Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Fino all’osanna al figlio di Davide, cantato dai bambini quando Gesù entra in Gerusalemme per l’ultima volta.
Perché questa ricorrenza così importante? Non vi sembri accademico o troppo da specialisti porci questa domanda, è molto importante per noi perché conoscere Davide significa conoscere di più e meglio Gesù.
Non possiamo ovviamente ora che fare due o tre approfondimenti dell’intensa vita del più grande re d’Israele, approfondimenti che ci aiutano a rispondere appunto alla domanda di come Dio si rapporti al male del mondo, quale strada il Signore persegua nell’ottusità dell’uomo, in che modo sia possibile guardare al futuro senza lasciarci andare al pessimismo, al disfattismo e, peggio ancora, a nostra volta al fondamentalismo.
La prima lettura di oggi ci ricorda che Davide è stato scelto come re, lui il più piccolo degli otto figli di Iesse, un pastorello che il padre non riteneva nemmeno di dover far incontrare con il profeta Samuele chiamato a ungere il successore di Saul. Il padre Iesse fa sfilare tutti e sette i suoi figli, dal più prestante al più forte, ma il profeta era stato avvertito: Non guardare l’aspetto né l’alta statura… non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore. E infatti viene scelto il più piccolo, un pastorello inesperto.
In che senso Gesù sia figlio di Davide, lo comprendiamo anche da questo passo che conferma l’agire di Dio che si fa piccolo, diventa uomo e non esibisce nella storia la sua potenza, ma vi entra con discrezione e umiltà.
Però c’è. Ecco occorre che anche noi impariamo a vedere il bene che c’è nell’umanità, perché non c’è solo il male che evidentemente fa più notizia, ma esiste una fedeltà di Dio che può essere vista solo da chi ha un cuore che non si lascia ingannare dall’apparenza, ma vede in profondità. C’è il male, ci sono i fondamentalisti, c’è una radicalizzazione pericolosa che riguarda anche noi… ma c’è anche la fedeltà di Dio, l’amore con cui Dio ci fa iniziare la giornata, l’amore che percorre i sotterranei non visti dai media.
C’è un episodio famoso che riguarda Davide e che tutti noi ci portiamo dentro dai racconti del catechismo, penso al gesto epico dell’abbattimento del gigante Golia, il campione dei Filistei.
Un giorno sul campo di battaglia arriva Davide un piccolo pastore – era lì per fare tutt’altro doveva portare pane e formaggio ai fratelli – che ad un certo punto, tra lo sconcerto di tutti, raccoglie la sfida Golia. Saul vorrebbe fargli indossare almeno un’armatura, ma il ragazzo era talmente piccolo che lo rendeva impacciato e goffo… L’azione è velocissima e il combattimento è descritto in poche righe, Davide con una fionda abbatte il campione filisteo.
Non è solo una storiella, in realtà racconta di una condizione importante anche per noi: quante volte ci è capitato di trovarci bloccati dalla paura per quei fantasmi e giganti cui abbiamo riconosciuto il potere di condizionare la nostra vita? Davide ci insegna che l’avversario, il nemico non è forte solo per una sua forza reale, ma anche per la paura che può mettere nel nostro cuore. Se uno si lascia vincere dalla paura e si perde d’animo, non c’è bestia più feroce e gigantesca sulla terra di questa che possa soggiogarci.
Che Gesù sia figlio di Davide lo possiamo comprendere anche da questo aspetto della sua missione: Gesù vince il male, abbatte l’avversario, atterra il gigante della paura che abita nel cuore dell’uomo non con la violenza, non con l’odio… ma ponendo domande, come fa nel vangelo di oggi. Invitando i suoi ascoltatori a riconoscere i segni dei tempi. Richiamando i farisei ad essere meno ipocriti, perché non c’è molta distanza tra i fondamentalismi delle diverse posizioni.
Potremmo ancora ricordare di Davide anche tante altre vicende, come le sue abilità musicali, così che la tradizione ebraica gli attribuisce gran parte dei 150 salmi, cosa, storicamente, assai improbabile. Oppure anche il fatto di aver costituito Gerusalemme capitale di Israele, dove regnò trentatré anni (sette stando in Ebron: 2 Sam 5,5).
Mi soffermo invece su uno dei momenti di debolezza e di peccato di Davide, che viene narrato in 2Sam 11, quando il re ormai soddisfatto dei suoi successi, orgoglioso degli obiettivi raggiunti, si lascia andare e per puro capriccio arriva a far morire uno dei suoi generali, un suo amico, per sottrargli la moglie Betsabea. Toccherà al profeta Natan far compiere a Davide un cammino di pentimento e di perdono che culminerà nel Miserere, il famoso salmo 51: Pietà di me o Dio o nel tuo amore…
Questo episodio ci insegna che quando Davide mantiene di sé un’opinione umile, quando si manifesta con l’autenticità propria di quella consistenza umana che non ha bisogno di esibire alcunché, quando mantiene saldo il suo rapporto con Dio… è diverso da quando invece tratta gli altri con sufficienza, si serve di loro come oggetti del suo piacere e diventa arrogante, assassino, adultero, violento, presuntuoso.
Ecco anche in questo Gesù è figlio di Davide, non certamente perché egli abbia peccato, piuttosto perché non riduce mai la persona al suo errore e, come per Davide, apre a tutti una via possibile di riconciliazione.
Anche noi di fronte al male, all’odio, alla violenza, dobbiamo agire con gli strumenti della giustizia, della legge, con le regole della democrazia, ma anche sempre con una marcia in più che è l’apertura alla misericordia. Questo non significa dar ragione a chi, come qualche volta capita di sentire in alcune interviste, chiede con grande superficialità: ma lei perdona chi le ha fatto del male? Perdona chi le ha ucciso un parente? O cose di questo genere.
Il perdono, la riconciliazione, se osserviamo la storia di Davide, non sono mai azioni superficiali e tanto meno immediate. A ben guardare Gesù non ha detto che perdonava i suoi carnefici. Non era nelle condizioni di farlo. Ma ha detto al Padre: Perdonali tu perché non sanno quello che fanno. Questo può essere un primo passo di fronte a un dolore grande e a un male profondo. Perdonali tu, Padre, perché io non ce la faccio. Sono ancora troppo arrabbiato e ferito. Ma tu nella tua misericordia infinita, tu puoi.
«Il perdono è come una piccola pianta che fiorisce nel deserto, è necessario lasciarlo sbocciare quando sarà pronto. Non si fanno crescere le piante tirandole fuori dalla terra» (T. Radcliffe).
Ecco ripercorrendo la storia di Davide, rileggendola nella prospettiva di Gesù comprendiamo le vie di Dio che percorrono i sentieri di male del nostro mondo, senza farci perdere la speranza, ma consapevoli:
- Che l’agire di Dio è fedele, anche se l’apparenza abbaglia, l’amore di Dio non viene mai meno, occorre riconoscerlo. Anzi noi ogni domenica siamo qui a fare memoria di questo amore per vincere ogni forma di fondamentalismo.
- Non lasciamoci governare dai giganti della paura, certo che ascoltiamo questi sentimenti che ci attraversano il cuore e il cuore di tanti intorno a noi, ma impariamo da Gesù a non farci condizionare dalla paura, a governarla con la preghiera, lo studio, la lettura, l’approfondimento.
- Infine, nonostante tutto, teniamo sempre aperte le strade della riconciliazione e del perdono per essere capaci di vincere il male con il bene, consapevoli che perdonare è davvero difficile, ma possiamo anche noi imparare da Gesù e dire: Padre perdonali perché non sanno quello che fanno.
(1Sam 16, 1-13; 2Tm 2, 8-13; Mt 22, 41-46)