III DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 3, 1-13
(Is 32, 15-20; Rm 5, 5b-11; Gv 3, 1-13)
Nicodemo sembra prestare voce alle inquietudini che spesso sgorgano anche dal nostro cuore: «Come posso migliorare?». Mi piace tradurre così la domanda che egli pone a Gesù: «Come può nascere un uomo quando è vecchio?», che è come domandarsi: Come darci ancora qualche speranza? C’è qualcosa ancora che possiamo fare per migliorare questa umanità, questa società? Oppure di violenza in violenza, di ingiustizia in ingiustizia andiamo incontro impotenti alla decadenza?
Già per il fatto che si ponga questa domanda Nicodemo risulta un personaggio intrigante. Egli è un fariseo, un capo dei giudei, e come tale va da Gesù di notte, quasi di nascosto, ma porta un nome greco: Nicodemo, lett. “colui che vince il popolo”. Un nome che possiamo interpretare nel senso di «colui che vince il modo di pensare comune», di colui che non si rassegna al vezzo diffuso di chi dice: Tanto le cose non le cambia nessuno… Nicodemo vorrebbe vincere l’atteggiamento rinunciatario e arrendevole così diffuso, nel suo nome è iscritto tutto il travaglio interiore che può condurlo a rinascere, a nascere di nuovo.
Per questo dopo che Gesù ha detto: «Se uno non nasce dall’alto/di nuovo, non può vedere il regno di Dio», Nicodemo per due volte pone la domanda del «come». Come fa uno a rinascere di nuovo? (v.4). Ancora: Come può rinascere da acqua e da Spirito? (v.9). Questa insistenza sul come una persona possa rinascere di nuovo, ci fa pensare a un tipo pragmatico e concreto che cerca una risposta, anzi quasi sembra volere costringere Gesù all’angolo per strappargli una ricetta: Le tue parole, Gesù sembrano astratte, evanescenti, dicci come si fa concretamente a migliorare gli uomini?
Già Isaia parlava di uno spirito che viene dall’alto capace di far diventare il deserto bello come un giardino… Ma in realtà sembra che l’umanità ogni giorno faccia di tutto per rendere il giardino del mondo che ci è stato consegnato come un deserto!
Isaia lo diceva qualche secolo prima: Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre, ma in realtà il suo grido è rimasto inascoltato. Siamo curvi e affaticati sulla nostra zolla, dedichiamo tempo ed energie all’aiuola del nostro particolare … incuranti se intorno a noi cresce la corruzione, l’indifferenza, l’ingiustizia, la paura dell’altro, il disinteresse per il bene comune… atteggiamenti che fanno avanzare il deserto!
Ebbene, sembra dire Gesù a Nicodemo, se vuoi che le cose cambino non devi aspettare che cambino gli altri, puoi provare a cambiare te stesso.
Tu puoi essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo se rinasci dall’alto e di nuovo in acqua e spirito.
Non sappiamo cosa abbia compreso Nicodemo di quelle parole. Probabilmente ha fatto davvero fatica a dare un senso a quel rinascere dall’acqua e dallo spirito.
Però sappiamo che rinascerà grazie al suo travaglio pensoso nel dialogo con Cristo, ma dovremo aspettare il giorno in cui Giuseppe d’Arimatea, anch’egli discepolo nascosto, chiederà a Pilato di poter seppellire il corpo di Gesù, quando con lui, scrive il vangelo di Giovanni, «Vi andò anche Nicodemo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe» (19, 39).
Nicodemo fino a quel giorno non ha mosso un dito, ha tenuto una posizione defilata, però al momento della crocifissione lo vediamo mentre osserva da lontano la morte di Gesù. E quando vede l’acqua che esce dal cuore di Cristo, quando lo vede non semplicemente spirare, ma consegnare lo spirito (19,30) allora si rende conto cosa significhi rinascere dall’alto, che è dall’alto della croce, dall’alto di un amore crocifisso.
Allora può comprendere la riposta alle domande sul come che tanto gli stava a cuore: il come possa rinascere una persona lo capisce vedendo quell’«alto» di un amore appeso, di un amore crocifisso, di una fede che non si accontenta di essere professata e parlata, ma che è indissolubilmente amore.
Allora Nicodemo si decide di pagare di tasca propria gli unguenti per seppellire il corpo del Signore, come a suggellare la risposta a quella conversazione notturna di Gerusalemme di qualche anno prima.
Analogamente lo diciamo per Paolo che ai cristiani di Roma ripete per tre volte quella che è stata anche la sua esperienza: quando eravamo ancora deboli, Cristo morì per gli empi… Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi…. Quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo.
Infatti Gesù nella sua conversazione notturna con Nicodemo non ha preteso di cambiarlo subito, di convincerlo … non gli ha propinato una catechesi, non gli ha rifilato una bella lezione frontale, ma in quella conversazione notturna a Gerusalemme lo ha provocato a continuare a pensare.
Tutto il vangelo di Giovanni ci rende famigliare questo modo di fare del Cristo: la sua capacità e pazienza nel cercare il dialogo con tutti. Dopo il primo incontro con Nicodemo, ci sarà la Samaritana, e via via i vari interlocutori che incrocia sulla sua strada. Tutti dialoghi che ricordano sia pure da lontano il genere dei Dialoghi di Platone, dove Gesù è come un nuovo Socrate, che ha la capacità di far nascere il meglio che è in ogni uomo e donna, a riconoscere come lo Spirito di Dio agisce nelle contraddizioni e negli eventi della storia del mondo, perché Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va.
Parole che esprimono una verità straordinaria in coerenza con tutta la Scrittura, ovvero che il soffio dello Spirito di Dio agisce ovunque, comunque e anche a nostra insaputa. Oggi è forse più difficile di ieri credere nel dialogo, si radicalizzano le polarizzazioni ideologiche tra occidente e oriente, tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, si esasperano le diversità culturali, si accresce la paura dell’altro e del diverso … Si ama dividere gli uomini in appartenenze contrapposte…
Ma ai discepoli di Gesù è chiesto di saper riconoscere l’azione sorprendente dello Spirito, perché, «Lo Spirito c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro. C’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge, arriva anche là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso dell’invisibile e del Trascendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa» (C.M.Martini, Tre racconti dello Spirito, 1997).