VI DOPO PENTECOSTE - Lc 6, 20-31
Difficile trovare un nesso immediato tra il vangelo di Luca e la pagina dell’Esodo. Se il vangelo sembra un discorso quasi più di denuncia sociale, nel libro dell’Esodo incontriamo Mosè in un momento per così dire “mistico” della sua vita per cui ha l’ardire di rivolgersi all’Eterno chiedendogli: Mostrami il tuo volto!
Siamo di fronte alla questione delle questioni: vedere il volto di Dio risolverebbe qualsiasi problema di fede e di vita. La storia umana, non solo la storia occidentale e cristiana, ma tutta la storia dell’uomo ci mostra che parecchie volte quelli che “credono” di conoscere il volto di Dio, di aver incontrato Dio – e io non sono nessuno per dubitarne – in nome di questo Dio hanno commesso i disastri più atroci della storia dell’uomo: “È volontà di Dio”, “Gott mit uns”, “In God we trust”.
Sentir dire: “Dio mi manda, Dio mi ha ispirato, la volontà di Dio è questa…” appare per lo meno sospetto. Quando ci si rende conto che Dio vuole questo e quello, una cosa contraria all’altra, che vuole ascoltare naturalmente le preghiere dei musulmani, dei cristiani e degli ebrei e dunque quello stesso Dio sembra avere rappresentanti di opinioni diverse… qualche interrogativo nasce.
Al punto che potremmo condividere quanto scriveva Raimon Panikkar: «Incontrare l’uomo ha un senso; incontrare Dio non ha senso».
Perché Dio non si può incontrare, già lo diceva la teologia classica: Se uno dice di aver visto Dio, ciò che ha visto non è Dio. La tradizione teologica e quella spirituale ci hanno insegnato che l’unica conoscenza di Dio è la “non conoscenza” perché Dio non è riducibile a oggetto. Di Dio non si può avere nessuna immaginazione, nessun concetto, niente.
Per questo anche la tradizione biblica ritiene che Dio non si possa vedere: chi vede Dio muore. Se noi ci vogliamo limitare a quello che vediamo o a quello che pensiamo per farcene una qualche raffigurazione o idea, non troveremo mai Dio. Anzi ciò che troveremo saranno idoli per la consolazione, per la nostra rassicurazione, ma non è Dio.
Mosè si curva a terra e ripensa alla sua storia, ripercorre quanto ha visto e vissuto, riuscendo così a riconoscere, come si dice in quella bellissima professione di fede, che Dio è misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà…
Parole bellissime che custodiamo anche noi con tanta tenerezza, ma che Dio pronuncia da dentro una nube. Nel mentre si afferma una qualche qualità di Dio, e potremmo dire le sue qualità per eccellenza, c’è sempre un velo di nuvole che non permette di vedere il volto di Dio, non permette di renderlo un oggetto. La nuvola dice una presenza, ma al contempo la nasconde… l’immagine dice bene la nostra condizione e ci invita a custodire questo mistero con rispetto, timore (non paura) e umiltà.
A questo punto ci aspetteremmo dal Vangelo una qualche rivelazione che dissolva le nuvole, una parola di Gesù che ci chiarisca il mistero di Dio di cui lui è messia, inviato, figlio.
Invece Gesù nella pagina delle beatitudini secondo Luca non parla di Dio, fa solo un rapido riferimento iniziale al regno di Dio, ma poi passa in rassegna le contraddizioni della nostra umanità, mette l’accento sulle ingiustizie che ancora oggi attraversano le società occidentali e orientali, del nord e del su del mondo.
Sono le disuguaglianze e le ingiustizie di ieri e di oggi tra chi è povero e chi è pieno di ricchezze, tra chi ha fame e chi è sazio e spreca il cibo, tra chi piange e chi vive nella spensieratezza… sono le disuguaglianze che segnano le nostre città. Se le diversità sono una ricchezza, perché da che mondo è mondo lo scambio di culture, di lingue porta al movimento delle intelligenze, delle idee, delle prassi… le disuguaglianze invece sono il risultato dell’ingiusta distribuzione dei beni, nascono dalle ingiustizie che governano le nostre società.
Negli ultimi venti anni la disuguaglianza nel mondo è cresciuta praticamente ovunque[1]. Come sappiamo, le disuguaglianze economiche sono fonte di risentimento sociale in chi si sente ingiustamente sfavorito nella distribuzione della ricchezza.
Abbiamo un mondo ricco, ma circa un miliardo di persone vive in estrema povertà. Siamo un mondo ricco, ma troppe persone sono escluse dai vantaggi delle moderne tecnologie. Oltre un miliardo di persone non ha accesso all’elettricità. Tali condizioni di deprivazione – di cure sanitarie, di istruzione, di elettricità, di acqua potabile, di strutture igienico-sanitarie, e di altri bisogni primari – sono semplicemente prive di senso in un modo ricco.
È questa la condizione di assurdità e di non senso del mondo in cui viviamo: sappiamo già che circa cinque milioni di bambini al di sotto dei 5 anni quest’anno moriranno perché i loro genitori erano troppo poveri per avere accesso anche alle cure sanitarie di base.
Sappiamo che 260 milioni di bambini in età scolare non potranno andare a scuola quest’anno perché vivono in condizioni di miseria o in zone di guerra dove la violenza è fomentata dalla deprivazione… questa consapevolezza ci deve mettere di fronte alla necessità di ricostruire la nostra vita economica intorno all’etica e dobbiamo prevenire comportamenti distruttivi e auto-distruttivi.
Ma di quale filosofia dell’economia abbiamo bisogno per il futuro? La strada fondamentale da seguire è indicata da Papa Francesco nella sua magistrale enciclica “Laudato si’’” che a partire dal discorso della montagna, riconosce che quando Gesù chiama beati i poveri, non dice parole di pura consolazione affinché loro, i poveri, gli affamati, quelli che piangono, abbiano nella religione una consolazione a buon prezzo. Di fatto Gesù lascerebbero le cose come stanno e permetterebbe il perpetuarsi di questi dinamismi diabolici.
La parola di Gesù dice che Dio, quel mistero che non conosciamo e che non possiamo afferrare in alcun modo, è lì e ha il volto del povero, ha il volto dell’affamato, ha il viso rigato dalle lacrime: la verità di Dio è lì, da quella parte, ed è anche da quella parte che abita la verità del mondo.
Se noi volessimo capire come va il mondo preferiremmo passare un’ora alla Casa Bianca o a Bruxelles oppure in Libano o nella foresta amazzonica o addirittura in Libia? Dove potremmo capire qualcosa di più dello stato del mondo?
Siamo certi che potremmo renderci conto delle gravi disuguaglianze nel mondo molto di più tra gli affamati, nei campi profughi, sulle barche che solcano i mari cariche di esseri umani che nessuno vuole, è lì su quei volti che si disegna sempre ogni giorno il volto di Dio.
Due cose possiamo portarci a casa. La prima è quella di imparare ad ascoltare il grido del povero: impariamo a reggere lo sguardo del volto dell’affamato, di chi piange, di chi subisce ingiustizia. Dio non si può vedere, chi vede Dio muore, diceva il libro dell’Esodo. Ma anche chi non vede l’uomo muore, muore la nostra umanità, muore la spiritualità, muore la fede.
E poi c’è una seconda cosa, nel Vangelo non c’è l’odio contro le ricchezze e nemmeno contro i ricchi; la ricchezza e il potere iniquo rientrano in quella grande categoria che nella Scrittura si chiama stoltezza, cioè la grande idiozia che non sa di essere tale, altrimenti non sarebbe in quel posto, ma che continua ad essere causa di sofferenza per tanti.
L’economia attuale è stolta perché si fonda su una falsa antropologia: insegniamo che ciascun individuo dovrebbe massimizzare il profitto, o l’utile, e dovrebbe pensare solo al proprio interesse. Ciò è un egoismo filosofico e psicologico: l’individuo è responsabile per sé stesso e basta. Questa antropologia, questa “auto-incomprensione” causa gravi diseguaglianze, emarginazione sociale e degrado ambientale.
Come scrive Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’, abbiamo bisogno di una diversa antropologia, che egli chiama Ecologia Integrale. Dobbiamo tenere a mente un’ecologia che integra gli individui gli uni con gli altri e con l’ambiente.
Per questo dobbiamo chiederci: dove stiamo andando, dove stiamo orientando la nostra e la vita degli altri insieme a noi? La domanda è carica di responsabilità, perché non ci basta più pensare a dove sto andando io, dove sta andando il mio gruppo, la mia azienda, il mio Paese… Per chi è responsabile la domanda ultima è: quale potrà essere la vita della generazione che viene?
È la logica evangelica per la quale, in questo mondo stolto, Gesù chiede ai suoi discepoli di stare con la consapevolezza che non otterrà grandi consensi, per questo ci chiede: benedite chi vi maledice, amate i nemici, porgete l’altra guancia… i cristiani disseminano nel mondo questa luminosa stoltezza, perché qui è nascosta la sapienza di Dio e dell’uomo contro la grande idiozia che ci condanna.
(Es 33,18-34,10; Lc 6,20-31)
[1] Se guardiamo alle diverse quote di ricchezza possedute dal 10% della popolazione più ricca nelle varie regioni veniamo a sapere che il 10% più ricco della popolazione possiede il 37% della ricchezza in Europa, il 47% in America del Nord, il 46% in Russia, il 41% in Cina, il 55% della ricchezza in India, Brasile e Africa sub-sahariana, addirittura il 61% in Medio Oriente (World Inequality Report) www.lenius 8 marzo 2018