DOMENICA DELLE PALME messa nel giorno - Gv 11, 55-12, 11


(Is 52, 13 – 53, 12; Eb 12 , 1b-3; Gv 11, 55- 12, 11)

La parola di Dio di oggi anticipa quelli che saranno i temi, gli eventi e i sentimenti che rivivremo nella settimana che ci sta innanzi e che chiamiamo «settimana santa». Con le parole di Isaia già avvertiamo il dolore del giusto ingiustamente eliminato. Isaia dà voce a una costatazione drammatica: la storia è da sempre il palcoscenico per i pochi che trionfano, mentre la platea è sempre affollata da «poveri cristi», li chiamiamo così e non a caso. Ma poi ce lo dimentichiamo e forse lo vogliamo dimenticare e per questo il ritorno ogni anno della pasqua ci chiede di fare una cosa semplice: riviviamo con Gesù quei giorni, ripercorriamo con lui il tradimento, il processo, l’umiliazione e la via della croce con la sua morte…

Questo accompagnare il Signore, stare nel suo silenzio e nella sua vulnerabilità ci permette tre cose almeno. Conoscere il volto di Gesù, il volto di Dio e riconoscere il volto dell’uomo e della donna! Anzitutto conosciamo il volto di Gesù, l’esito della vita del predicatore di Nazaret è sorprendente perché è quello di un Messia vulnerabile, consegnato dalle mani di uno a quelle dell’altro, fino alla morte in croce. E poi nel volto di Gesù impariamo a vedere e a riconoscere la vera immagine di Dio che è appunto la paradossale debolezza dell’amore.

Ma in Gesù incontreremo anche il volto e l’immagine dell’uomo e della donna di sempre di ieri e di oggi. Anche nella pagina di vangelo possiamo riconoscere nei vari volti e personaggi, un poco di noi. Siamo anche noi un po’ Marta e Maria: vorremmo dare a Gesù la nostra gratitudine e il nostro affetto che sono il profumo della vita. Domenica scorsa abbiamo avvertito il fetore di Lazzaro già da quattro giorni nel sepolcro, che grazie a Gesù si trasforma nel profumo di Pasqua, nel profumo della vita risorta.

Ma siamo anche noi un poco Giuda. Oggi 30 denari sono davvero poca cosa di fronte a 50 milioni di euro… ma il tradimento continua e si aggiorna sull’inflazione. Riconosciamo però che anche senza arrivare a tanto, ciascuno di noi è sempre un poco di Giuda: siamo piuttosto criticoni, mai contenti, la prima cosa che vediamo degli altri non è appunto il profumo della vita, ma quello che non va bene, quello che vorremmo andasse come piace a noi… che poi in definitiva è proprio l’atteggiamento di chi non è contento di se stesso. Giuda è deluso da se stesso perché pensava di essersi affidato a un Cristo Messia e vincitore, e invece ha a che fare con un Gesù che non oppone resistenza, non aizza le folle… Giuda credeva di essersi messo dalla parte giusta e invece… che delusione!

E poi ci sono i sacerdoti e i farisei dai quali prendiamo le distanze e ai quali non vorremmo mai assomigliare perché sono ipocriti, ci paiono subito ingiusti, sono disposti a mettere a morte una persona innocente, pur di non vedere stravolti i loro interessi. Anzi, decidono di uccidere non solo Gesù, ma anche Lazzaro perché molti se ne andavano a causa sua! Ecco quello a loro sta a cuore: il controllo, il potere. C’è sempre un interesse più o meno confessato in ogni uomo di potere.

E poi abbiamo Lazzaro, il discepolo liberato, restituito alla vita. E noi un poco siamo anche Lazzaro: qualche volta il Signore ci ha liberato dalle bende e dalle pietre che gravavano sui nostri cuori e abbiamo sperimentato la bellezza del dono, della gratuità dell’amore di Dio. Con le parole della lettera agli Ebrei, potremmo dire che anche noi come Lazzaro sciolto dalle bende, ora possiamo correre tenendo fisso lo sguardo su Gesù.

Infine c’è anche il volto anonimo della la folla. La gente, sospinta da una curiosità legittima, esce di casa per andare a vedere un fenomeno: Lazzaro risuscitato dai morti. E chi di noi non sarebbe stato curioso di domandargli: «Ma dicci un po’, di là com’è stato? Cosa hai trovato?». Ecco la curiosità di controllare il futuro, di sapere quello che solo la fede può accordarci. Una curiosità che impedisce di andare in profondità e di cogliere il segno e non il fenomeno, il segno che anticipa che Dio in Gesù si scontra con la morte, la vince e la vince una volta per tutte.

Ebbene giunti a questo punto non possiamo più esimerci dalla domanda: «Ma io, Signore, quel giorno, in quei giorni, da che parte mi sarei trovato?».

Certo, la passione e morte di Gesù sono avvenute una volte per tutte, non si ripetono, ma se Gesù ha dato la sua vita per noi, anche noi siamo contemporanei di quei fatti. Anche noi siamo lì, anche noi ci ritroviamo nei volti e nelle vite di coloro che senza rendersene conto sono stati testimoni, hanno sentito le parole, le urla; hanno visto la violenza, i sotterfugi; hanno sentito il tintinnare dei denari e il profumo di nardo.

Anche noi siamo contemporanei di Gesù. Ci siamo tutti: siamo i sommi sacerdoti, siamo gli scribi, siamo i capi popolo, siamo i soldati, siamo Giuda, Pietro e Giovanni… siamo le donne che commentano e quelle che piangono. Ma ancora siamo la gente ignara di beata ingenuità, come i falegnami che preparano il legno della croce o i fabbri che forgiano i chiodi di ferro… Intorno al Cristo c’è di tutto, destra e sinistra, innovatori e conservatori… in questa settimana incontriamo un condensato di umanità… e Dio dov’è? È lì, in mezzo criticato, profumato e poi lo vedremo anche preso in giro, sbeffeggiato, preso a schiaffi….

Penso, senza azzardo, che Gesù oggi farebbe la stessa fine. Se è vero che noi siamo contemporanei di Gesù, è ancora più vero che Cristo è nostro contemporaneo. Cosa significa affermare che Gesù di Nazareth, vissuto tra la Galilea e la Giudea duemila anni fa, è «contemporaneo» di ciascun uomo e donna che vive oggi e in ogni tempo? È solo una questione che riguarda i sentimenti, le emozioni? È solo una esperienza personale? Kierkegaard diceva che «In rapporto all’Assoluto (nel senso letterale di ab-solutus, ovvero sciolto dalle categorie temporali e spaziali) non c’è infatti che un solo tempo: il presente. E poiché Cristo è l’Assoluto, è facile vedere che rispetto a lui, è possibile solo una situazione: quella della contemporaneità» (Esercizio del cristianesimo, p. 126).

Ugualmente, nelle pagine del Diario, ribadisce che «l’unico rapporto etico che si può avere con Cristo è la contemporaneità». Se lo releghiamo a personaggio del passato, possiamo riconoscerne le qualità, ammirarne le capacità, la parola, i gesti… ma appunto non rimane che l’ammirazione, che è già importante ma quella persona non ci coinvolge, resta esterna alla nostra vita, la ammiriamo e basta. Non è questa la settimana per l’ammirazione, ma per la sequela. La differenza è notevole: il discepolo aspira ad essere colui che egli ammira, il semplice ammiratore invece «rimane personalmente fuori», come fece il giovane ricco del vangelo, che ammirava Gesù ma non si decise a seguirlo. Non restiamo solo ammiratori di Gesù. Se siamo suoi contemporanei, chiediamo a Maria di Betania un po’ di quell’affetto che le ha permesso di dare al Cristo ciò che di più prezioso aveva, per noi potrebbe essere nei prossimi giorni il nostro tempo, sempre così tiranno e dilaniato tra mille cose.

Decidiamo di vivere con lui questa settimana, di viverla insieme con la sua chiesa che continua a tenere viva la memoria del Signore. L’odore della morte che attraversa il mondo… viene vinto dal profumo del Vangelo, dal profumo della Pasqua, dal profumo della vita. Dicendo che il Vangelo è come il profumo non penso a qualcosa di estetico ed esteriore, non intendo rimandare a un’operazione cosmetica, superficiale, di maquillage, ma penso al senso che ha per Gesù quel gesto: è il profumo che viene dal dono di sé, dall’amore; mentre dalla superbia, dall’orgoglio, dalla cupidigia non viene che olezzo di paura e di morte.

Celebrando il compimento della vita del Signore nella Pasqua, teniamo «fisso lo sguardo su Gesù che dà origine alla nostra fede e la porta a compimento», fino al giorno in cui celebreremo la Pasqua insieme con lui.