TUTTI I SANTI - Mt 5, 1-12
Contrariamente a quanto in genere si pensa, ovvero che per essere santi bisogna fare i miracoli, la parola di Dio non dice che questa sia la loro prerogativa, almeno non la principale. La parola di Dio non fa consistere la santità in quello che viene richiesto ancora oggi perché una persona possa «salire gli altari», anzi.
La lettura dell’Apocalisse (7, 2-4.9-14) anzitutto ci invita ad abbracciarli in uno sguardo d’insieme, come la festa di oggi ci suggerisce, ovvero ce ne parla come di una moltitudine immensa che sta in piedi davanti all’Agnello, in vesti candide e con la palma nelle mani. Chi sono costoro? Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello.
Bella questa prima definizione: i santi anzitutto sono coloro che stanno in piedi! Sono coloro che non si sono inginocchiati davanti a nessuno, se non a Dio solo. Sono coloro che hanno tenuto alta la dignità di discepoli e di figli e che non si sono piegati e non si sono asserviti a niente, alle mode, alle tresche del potere e del denaro… al punto che sono passati attraverso la grande tribolazione. Sono coloro che hanno pagato un prezzo importante per la loro fedeltà al Vangelo, fino a tenere in mano la palma del martirio. E cantano! Come le folle all’ingresso di Gesù in Gerusalemme, perché i santi con la loro testimonianza e con la loro vita fanno entrare ancora Gesù nella storia, nella città dell’uomo, con la loro fedeltà introducono il Cristo nelle nostre strade, nelle nostre città. Si tratta di una moltitudine immensa, non basta il calendario per ricordarli tutti, perché il numero incalcolabile dei santi ci ricorda che si può essere santi in ogni lingua, in ogni tempo, in ogni contesto culturale, sociale…
Paolo nella lettera ai Romani (8,28-39) ci offre una seconda prospettiva per guardare ai santi, nel senso che sono coloro per i quali tutto concorre al bene per quelli che amano Dio. Ma proprio tutto? Secondo l’Apostolo non ci sono condizioni ideali per essere cristiani, per vivere da discepoli… uno non diventa santo perché si ritaglia uno spazio fuori dal mondo, dalle contraddizioni e lì vive nella sua dimensione ideale, anzi la storia ci insegna che quando il cristianesimo ha vissuto in condizioni di tranquillità, di compromessi ha perso di smalto, si è annacquato, ha smarrito la sua forza profetica.
Il termine santo, in greco «agios», ovvero letteralmente «senza terra», suggerisce che il santo è colui che è senza terra, nel senso che pur essendo uno che vive sulla terra, la abita contestando radicalmente le logiche mondane, non vive fuori dalla realtà. Se uno ama Dio, come dice Paolo, qualsiasi cosa gli accada, qualsiasi situazione la vita gli faccia incontrare… tutto concorre al bene, il santo tutto trasforma in occasione di amore, di giustizia, di pace e in questo diventa, come dice al v. 29, conforme all’immagine del Figlio suo, icona vivente del Cristo.
Ed è questa la terza caratteristica che la parola di Dio ci suggerisce per guardare ai santi, appunto come a coloro che sono conformi all’immagine del Figlio. In che cosa consiste questa somiglianza a Gesù di Nazaret ci viene rivelato dalla pagina delle beatitudini del vangelo di Matteo (5,1-12).
Dobbiamo sempre ricordarci infatti che le Beatitudini prima di insegnarci quello che dobbiamo fare e come dobbiamo essere, sono il ritratto di Gesù. È lui il povero che attende di ricevere tutto dal Padre per condividerlo con noi. È lui che ha pianto alla tomba dell’amico Lazzaro e il Padre lo ha consolato. È lui il mite che alla tentazione del diavolo di possedere la terra ha risposto no. È lui il perseguitato che cerca inutilmente giustizia nei tribunali umani. È lui il puro di cuore che ci rivela il volto di Dio. È lui l’operatore di pace che non ha scelto la forza né le armi per parlare di Dio!
Da questo comprendiamo che il santo secondo le Beatitudini non è tanto uno che fa delle cose per Dio, che compie delle azioni o dei gesti straordinari… ma colui che vive con umanità le sue relazioni, la vita quotidiana qualsiasi siano le sue condizioni, e dentro lì anticipa quello che ancora non c’è sulla terra, ciò che manca nell’umanità, e che si prepara nel travaglio delle grandi o piccole tribolazioni.
Da questa prospettiva mi vien da dire, senza voler apparire irrispettoso, che è fin troppo facile diventare santi da papa… è molto più difficile diventarlo per chi è immerso nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica. Eppure è proprio questo ciò di cui abbiamo bisogno, necessitiamo di santi nell’economia, nel lavoro, nella politica. Abbiamo bisogno di santi che nel sistema economico del dio denaro mettano al centro l’uomo, la persona umana. Perché quando al centro di ogni sistema sociale o economico non c’è la persona, immagine di Dio, quando la persona viene spostata e arriva al centro il dio denaro, si produce uno sconvolgimento di valori e allora l’essere umano diventa scarto, esubero…. Vivere le beatitudini dentro questo mondo corrotto e perverso, rinunciando a privilegi iniqui, senza lasciarsi irretire nelle logiche delle corporazioni, né cedere alla lusinga della tangente, della corruzione, del denaro facile, questa è santità, oggi.
Gesù non ha proclamato beati quelli che stavano nel tempio a salmodiare… ha proclamato beati coloro che lottano contro le cause strutturali della povertà, contro le ingiustizie della disuguaglianza, della mancanza di lavoro, di terra e di una casa, contro la negazione dei diritti sociali e lavorativi, contro la tratta delle persone, la corsa agli armamenti… cioè tutte situazioni che non vedono impegnate proprio delle moltitudini, come diceva l’Apocalisse, ma sono quelle situazioni che noi siamo chiamati a trasformare per essere a immagine di lui, di quel Gesù di cui nessuno ha avuto la fortuna di fare il ritratto, affinché tutti noi possiamo riflettere il suo volto oggi quando non ci rassegniamo ad abitare un mondo ingiusto e iniquo.
Gesù ci chiede di trasformare il mondo come ha iniziato a fare lui, sapendo bene da che parte stare, dalla parte di chi sta in piedi davanti all’Agnello e di chi è disposto a lavare la propria veste nel suo sangue, ed essere conforme all’immagine-icona del Figlio.