VI DI PASQUA - Gv 16, 12-22
Gesù è preoccupato per i suoi, lo percepiamo dalle sue parole durante l’Ultima cena. Per un verso è consapevole che per quanto lo riguarda ormai i giochi sono fatti, la sentenza è stata scritta… ma il suo pensiero è per loro che non sono pronti, i discepoli e noi con loro non sono mai pronti. E allora cosa poteva lasciare di più Gesù oltre l’insegnamento, le parabole, i gesti, l’esempio? Cosa poteva donare ancora a coloro che hanno creduto e credono in lui?
Non potevano vivere di ricordi, infatti Gesù non ha lasciato delle reliquie, ma – come abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi – ha promesso il dono dello Spirito. Non siamo stati lasciati soli da Gesù, anzi continua ad effondere il dono dello Spirito che vive nella comunità dei discepoli, quale “maestro interiore” di un Dio che non è più da ricercare fuori di noi, ma da scoprire in noi come presenza che ha messo in noi la sua dimora.
Lo Spirito non parlerà da se stesso, ma prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà, dice Gesù. Quindi non è uno Spirito che debba rivelarci chissà che cosa di nuovo, non abbiamo bisogno di nuove rivelazioni, ma è uno Spirito che annuncia, a chi ha il cuore pronto, le parole di Gesù.
La prima cosa che preoccupa Gesù non sono tanto le incomprensioni, le persecuzioni, le cose della vita e della società che vanno ora in una direzione ora nell’altra… ciò che sta a cuore al Signore è che noi come discepoli abbiamo a tenere vivo il Vangelo e che dobbiamo stare nella condizione di chi non smette mai di ascoltare quello che lo Spirito dice delle parole di Gesù. Lo Spirito non sorprende con soluzioni o ricette di comportamento, ma permette al Vangelo di Gesù di essere sempre vivo, di parlare ancora.
E mi chiedo: quale parola di Gesù ci suggerisce lo Spirito santo oggi, in questo nostro tempo? quale parola del Padre per noi qui può arrivare al nostro cuore, al nostro pensiero?
Non stiamo cercando una bella frase, o una di quelle esortazioni a buon mercato che distillano pillole di sapienza stucchevole… il Vangelo di Gesù non è la collezione di frasi tipo “Baci Perugina”, anzi la Parola di oggi ci dona di incontrare un’esperienza tosta, quella di Paolo, un’esperienza che noi chiamiamo ancora “conversione sulla via di Damasco”, anche se in realtà Saulo di Tarso non ha compiuto una “conversione” nel senso comune del termine, egli non è passato dall’incredulità alla fede in Dio. Paolo cambia sì atteggiamento, ma non rompe con la fede di Israele!
Ciò che avvenne nell’ora di Damasco per Paolo non fu una “conversione” in senso stretto, piuttosto è stata una rivelazione, come dice nel suo stesso racconto con la metafora della luce e della cecità: lui giovane promettente di Tarso, mandato a studiare a Gerusalemme, alla università di Gamaliele, lui che era un presunto illuminato, divenne cieco.
Eppure stava bene, era convinto di fare la volontà di Dio perseguitando “quelli della via”, così erano chiamati i discepoli di Gesù a Gerusalemme, prima che ad Antiochia venisse coniato il termine “cristiani”. Paolo gioiva nel mettere in catene, uomini e donne “della via”… lo zelo era tale che andava in missione perfino all’estero, al punto da spingersi fino a Damasco per una rappresaglia.
Ebbene quale parola di Gesù cambia la vita di Paolo? Cosa ode per dirsi “folgorato sulla via di Damasco” al punto da fargli compiere un radicale cambiamento e una rapida sterzata?
Nel suo racconto dice di aver ascoltato queste parole di Gesù: Saulo, Saulo perché mi perseguiti? Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti.
La sua credo sia stata sicuramente un’esperienza personalissima, ma il contenuto delle parole che Paolo ascolta non è affatto nuovo, è una parola del Vangelo che Matteo ci ha trasmesso al cap. 25,40, quando Gesù afferma: Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!
Quante volte l’abbiamo ascoltata questa frase! Ci sono delle parole che sentiamo migliaia di volte, eppure basta che arrivi una volta precisa dentro al cuore che si apre tutto uno scenario diverso della vita e del mondo.
Così è per Paolo. Credeva di essere un illuminato, di sapere cos’era la verità… quando gli entra nel cuore una parola di Gesù allora sprofonda nell’oscurità, gli pare di essere diventato cieco!
Vedete, perché quella di Paolo non è una conversione perlomeno come la intendiamo oggi, un passaggio da una verità religiosa a un’altra verità religiosa. Paolo rimane nell’ambito della fede biblica, ma il cambiamento avviene nel momento in cui si rende conto che la sua è una fede cieca e oscurantista in quanto tiene separato Dio dall’uomo, così da giustificare l’uccisione di una persona in nome di Dio, al punto da umiliare l’altro in nome di Dio, al punto da lasciarlo affogare in mare o nelle carceri libiche… diremmo oggi.
Quando Paolo accoglie la parola di Gesù che gli dice: Quello che fai a un altro uomo, a un’altra donna lo fai a me, allora si rende conto della sua ottusità: non agiva in nome di Dio, ma in nome della propria paura, della propria arroganza e insicurezza che gli attanagliavano il cuore.
Cosa fa lo Spirito santo? Succede che talvolta suggerisca anche carismi strepitosi, visioni ed esperienze particolari… ma la cosa più illuminante che lo Spirito compie per Paolo è stato fargli ascoltare quella parola di Gesù capace di farlo rientrare in se stesso e rendersi conto che la sua violenza e il suo odio che giustificava nel nome di Dio erano in realtà una bestemmia.
Infatti nella sua predicazione Gesù aveva sempre detto: la persona, l’individuo, l’essere umano è insacrificabile e non come diceva il Sommo Sacerdote Caifa: È meglio che muoia uno per il popolo intero! (Gv 11,50). La verità ha sempre il volto singolare del prossimo, dell’uomo, della donna, dell’essere umano… e questa tutta la verità verso la quale lo Spirito bisogna che continui a soffiare le vele delle nostre esistenze.
Paolo non incontra una nuova religione o una nuova dottrina, ma riconosce con onestà: «Io perseguitai a morte questa via» e quindi comprende che deve mettersi sulla giusta strada, nella giusta via.
Seguire Gesù è mettersi sulla strada, sulla sua strada, quella strada che ha tenuto insieme l’umano e il divino. Per dire che non è spirituale né religioso tutto ciò che attenta alla dignità umana, ai diritti dell’uomo e della donna.
Notiamo come anche nelle parole del Vangelo di oggi Gesù rimandi all’idea di strada, di via, di cammino: «Lo Spirito della verità vi guiderà a tutta la verità», con il verbo «guidare» (odegheo nel testo greco) dice la fiduciosa certezza che nel nostro cammino non siamo soli, ci viene donata la promessa che lo Spirito ci guida dietro a lui.
Lo Spirito non fa parte del mondo dell’efficienza: Gesù non manda dal cielo ai suoi una risposta per tutto, un mansionario dei bravi discepoli, manda lo Spirito Santo che non viene, come dice papa Francesco, portando l’ordine del giorno, ma viene come “guida”. Perché Gesù non vuole che la chiesa sia un modellino perfetto, che si compiace della propria organizzazione, preoccupata di difendere il proprio buon nome.
Gesù non ha vissuto così, mai in difesa, ma sempre in cammino, senza temere gli scossoni della vita. Il Vangelo è il nostro programma di vita, lì c’è tutto. Ci insegna che i problemi non si affrontano con la ricetta pronta e che la fede non è una tabella di marcia, ma una “via” da percorrere insieme, sempre insieme, con spirito di fiducia.
Ed è così che camminiamo verso “tutta la verità”. Nel testo greco – e non è un particolare da poco – non c’è il complemento di moto a luogo, come a dire verso la verità, bensì il complemento di stato in luogo dentro la verità. Questo vuol dire che lo Spirito non ci porta a “possedere” Dio, come si possiede una certezza matematica, ma a dimorare nella verità, a stare in relazione con un Dio vivo, palpitante, che parla nella vita delle persone.
Questo esige da noi una cosa importante e difficile oggi, vale a dire un atteggiamento di disinteresse, che è la capacità di saper ascoltare, di essere disinteressati di sé stessi. Lo sperimentiamo anche noi che sa ascoltare solo chi lascia che la voce dell’altro entri veramente nel proprio cuore. E quando cresce l’interesse per l’altro, aumenta il disinteresse per sé. Si diventa umili seguendo la via dell’ascolto, che trattiene dal volersi affermare, dal portare avanti risolutamente le proprie idee, dal ricercare consensi con ogni mezzo.
L’umiltà nasce quando, anziché parlare, si ascolta; quando si smette di stare al centro. Ad un certo punto della sua vita Paolo, che sapeva di avere la verità in tasca, si zittisce e starà in ascolto di Anania per almeno due anni: lui che aveva la verità da usare contro gli eretici, deve imparare ad ascoltare!
Chiediamo al Signore di accogliere il dono dello Spirito che ci rende capaci di ascoltare con cuore disinteressato la parola del Vangelo necessaria per noi oggi.
(At 21,40-22,22; Gv 16, 12-22)