V DOPO PENTECOSTE - Lc 9, 57-62


(Gen 11, 31-32-12,1-5; Ebr 11,1-2.8-16 ; Lc 17, 57-62)

C’è un comun denominatore che attraversa le letture di oggi, un atteggiamento che le percorre ed è il fatto che i protagonisti sono in viaggio: Gesù e i discepoli sono per strada, Abramo stesso parte da Carrai, nell’alta Mesopotamia. Curiosamente però l’esperienza del patriarca inizia alla bella età di settantacinque anni. Un’età in cui, mentre Abramo parte verso la terra promessa, la maggior parte degli altri personaggi biblici ha già concluso la loro “carriera”.

Un’idea di anziano abbastanza in controtendenza: noi immaginiamo l’anziano seduto nella sua casa, circondato dagli affetti, mentre si gode i frutti di una vita laboriosa … Abramo invece vive in vecchiaia una serie di esperienze (e di prove) che sono molto più spesso caratteristiche della gioventù: cercare una terra per sistemarsi e darsi un erede perché non ha discendenza.

È sorprendente la docilità di quest’uomo, la sua disponibilità a fidarsi della parola dell’Eterno, la sua obbedienza a partire e a iniziare un viaggio di cui non conosce nemmeno la destinazione. «Abramo vai. Dove Signore? Non importa fidati di me, vai nella terra che io ti mostrerò!» E Abramo partì come gli aveva ordinato il Signore.

Ecco è questo atteggiamento che lo rende un riferimento autorevole per le generazioni future. Prima ancora che ci sia la Torah, Abramo ne è un osservante fedele!

Abramo partendo così, compie una specie di salto nel vuoto, una scommessa di cui nessuno può indovinare l’esito finale. E Israele si è riconosciuto in questo antenato che ha vissuto prima tutti i rischi che esso ha dovuto rivivere in epoche turbolente della sua storia, specie quando il futuro si faceva incerto.

Il popolo d’Israele lo considera per questo il padre del popolo nel senso che Israele non nasce da una grande prodezza o da un miracolo straordinario, non è il frutto di una grande impresa umana o il risultato di una campagna militare condotta con successo. È nato da un incondizionato atto di fede fondato su una promessa altrettanto incondizionata.

In tanti momenti della storia Israele ha avuto bisogno di una fede come quella di Abramo per credere in un futuro possibile.

Quando Luca nel vangelo esordisce dicendo: Mentre camminavano per la strada , non si riferisce ad un’amena passeggiata che Gesù e i suoi stanno compiendo. Appena sopra l’evangelista ha annunciato che Gesù dirigendosi verso Gerusalemme firmavit faciem suam, ovvero indurì il volto mentre decideva di salire a Gerusalemme, intraprendendo indubbiamente un viaggio carico di grandi rischi.

È su questo percorso che il Signore incrocia tre personaggi che in qualche modo vogliono seguirlo. Sono tre persone che vogliono compiere il viaggio della fede, ma che rappresentano di fatto tre ostacoli che si frappongono in questo cammino, ostacoli brillantemente superati da Abramo, ma che invece sono un serio impedimento per loro.

Il primo personaggio avanza di propria iniziativa a Gesù la richiesta della sequela. La risposta di Gesù mostra a questa persona piena di entusiasmo che non può chiedere a lui delle sicurezze. Se segui il Cristo devi sapere che non hai un posto dove posare il capo. Nessuna garanzia, nessuna certezza mondana di successo e di potere. Nemmeno un guanciale assicurato! Nessuna ambiguità o aspettative indebite.

Il secondo personaggio, prima di porsi alla sequela, vuol seppellire il padre. Cosa lodevole e sarebbe da disprezzare colui che non lo facesse! Non è forse giusto che questi chieda anzitutto di adempiere la legge, e poi di mettersi alla sequela? Certo ma il paradosso ci dice che se la legge viene “prima”, uno è già morto dentro e non è più libero per il regno. Prima c’è il rapporto con Cristo, la relazione con lui conosciuto e amato prima di ogni legge.

Infine, anche il terzo personaggio vorrebbe seguire Gesù, ma al tempo stesso vorrebbe stabilire personalmente le condizioni della sua sequela, dicendo: «Prima però lascia che mi congedi». Anche qui c’è un prima, ci sono delle condizioni alla sequela che vedono l’io al centro delle sue preoccupazioni. Gesù sa bene che prima o poi costui rimpiangerà ciò che ha lasciato, per questo lo ammonisce: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Nessuno dei tre è stato capace di fidarsi fino in fondo di Gesù, ognuno lo voleva seguire, ma con le proprie attese, i desideri inespressi, le aspettative intime. Siamo ben lontani dal cammino di Abramo.

Anzi potremmo dire che il contrasto è simile al contrasto che sussiste tra Abramo e l’ideale greco espresso nell’epopea di Ulisse. Infatti secondo Omero lo scopo ultimo dell’eroe è quello di ritornare nella sua patria e di ritrovare la propria sposa e la propria famiglia.

La parabola dell’esistenza di Ulisse è un lungo itinerario disseminato di prove e di difficoltà nelle quali l’uomo matura e perfeziona se stesso, ma è una parabola che conduce al punto di partenza. Abramo parte senza la promessa di un ritorno, anzi morirà, come dice la lettera agli Ebrei, senza aver ottenuto i beni promessi, ma come straniero e pellegrino sulla terra.

Ulisse torna a casa sua e ritrova suo padre (Laerte); Abramo abbandona il padre e se ne allontana definitivamente.

Ulisse ritrova suo figlio (Telemaco); Abramo è invitato a sacrificare il figlio Isacco, a perderlo.

Ulisse torna a liberare la fedele Penelope dai pretendenti; Abramo se ne va verso una terra sconosciuta con una sposa sterile.

In questo senso Abramo rimane un punto di riferimento anche nel Nuovo Testamento (viene citato 73 volte, poco di meno di Mosè -80 volte- e più di Davide -59 volte); come scrive la lettera agli Ebrei, è un gigante della fede perché se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè quella celeste.

Ma Abramo a noi credenti tremila anni dopo di lui ha ancora qualcosa da dire?

Come sappiamo a lui si ispirano le tre grandi religiosi monoteistiche: l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam che gli attribuiscono un ruolo tutt’altro che periferico, dal momento che Abramo è considerato come comune antenato.

Certo il patriarca non è in alcun modo il fondatore di queste tradizioni religiose, ma è come la sorgente unica di questi tre fiumi che in seguito hanno preso ciascuno una direzione diversa. Potremmo immaginare, per riprendere un’immagine biblica, che Abramo possa ricevere alla sua mensa le tre grandi tradizioni religiose, come ha ricevuto i tre ospiti alle querce di Mamre?

Se per la tradizione ebraica Abramo anticipa Mosé e si presenta come il modello dell’ebreo obbediente e osservante della Legge, nel Corano Abramo anticipa la missione di Maometto (il nome di Abramo ricorre nel Corano 69 volte ed è tra i personaggi biblici più citati), diventa il prototipo dell’islam, chiamata anche religione di Abramo (millat Ibrāhīm), in quanto modello di “sottomissione”, che pure è il significato della parola “islam”.

È possibile immaginare un dialogo tra ebrei, cristiani e musulmani a partire dalla figura di Abramo? Oltre la violenza che ha contaminato i rapporti tra ebrei, cristiani e musulmani, altri ostacoli appaiono insormontabili a chi non è animato da una fede e da una speranza altrettanto solide come quelle dell’ «amico di Dio» (Is 41, 8).

Come fare, ad esempio, per impedire che il dialogo non sia immediatamente usato per fini politici? Come evitare che il cristianesimo non venga identificato con il mondo occidentale, con i suoi modi di pensare e la sua morale lassista?

È ragionevole immaginare uno spazio in cui le religioni possano parlarsi senza che il desiderio di dialogare sia interpretato come una manifestazione di debolezza e senza che la discussione si trasformi in propaganda?

Credo che Abramo potrebbe accogliere le tre grandi religioni come accolse quel giorno i tre ospiti alle querce di Mamre, perché, come abbiamo visto oggi, è l’uomo della partenza senza ritorno, capace di un atto di fede che lo proietta verso l’impossibile. Abramo è testimone di una fede che crea il suo presente e apre strade sconosciute verso il futuro. Per lui la salvezza è più lontano, più avanti, nel viaggio verso una terra di cui solo Dio conosce il vero nome, assecondando la promessa dell’Eterno e non la nostalgia del passato!

Abramo è il padre delle imprese impossibili. E se oggi pensare a un dialogo interreligioso tra ebrei, musulmani e cristiani sembra molto difficile, addirittura una chimera, Abramo ci insegna a credere a questo «impossibile».

Abramo che aveva una fede incrollabile nel futuro può davvero aiutarci a inventare strade di dialogo tra i suoi figli. È in gioco il futuro del nostro mondo e dell’umanità, se non vogliamo che le decisioni importanti sul nostro avvenire siano affidate alle mani degli artigiani del terrore, dei politicanti demagogici o delle bombe, per quanto «intelligenti» esse siano.

Preghiamo perché il Signore ci doni una fede una fede giovane come è stata giovane la fede di Abramo a settantacinque anni, una fede che non si arrenda mai nell’arte del dialogo, anche quando questo ci pare impossibile, perché possiamo affrettare il giorno in cui potremo sederci cristiani, ebrei e musulmani, alle querce di Mamre per ringraziare Abramo della sua fede.