VII DI PASQUA o Domenica dopo l’Ascensione - Gv 17, 1b.20-26
Le parole del vangelo che abbiamo appena ascoltato ci permettono di affacciarci sul mistero grande di Gesù nel suo essere Figlio e ci introducono in quello che è il suo intimo rapporto con il Padre.
Anzitutto dobbiamo riconoscere che è una preghiera: tutto il cap. 17 di Gv è la preghiera di Cristo che riconsegna al Padre la sua missione. Al v. 9 aveva iniziato dicendo: Ti prego Padre per quelli che mi hai dato, perché sono tuoi, e qui al v. 20 aggiunge: non prego solo per questi ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola. Dunque Gesù prega il Padre per noi. Gesù prega, la sua è una preghiera disinteressata nel riconsegnare al Padre anche la sua preoccupazione per noi. Gesù prega.
Razionalmente ci domandiamo che bisogno avesse Gesù di pregare, lui che è una cosa sola col Padre? Non possiamo rispondere se non prendendo atto che Gesù ci porta nel suo cuore e che è per questo che anche noi possiamo rivolgerci a Dio, al volto di Dio che possiamo conoscere solo attraverso il volto di Gesù.
Basterebbe fare attenzione alla conclusione di tutte le preghiere ufficiali della liturgia, quando dopo esserci rivolti a Dio Padre concludiamo dicendo: per Gesù Cristo tuo figlio, nostro Signore e nostro Dio … quel per Gesù Cristo, dice che è nella preghiera di Gesù che anche noi possiamo rivolgerci a Dio. Esemplare in questo senso è la dossologia che cantiamo: Per Cristo, con Cristo e in Cristo … a te Dio Padre onnipotente …
Questo dice che la preghiera di Gesù non è una cosa che Gesù deve fare per attestare la sua religiosità, ma è il segno della comunione che sussiste tra lui e il Padre. Noi siamo soliti dire che preghiamo per metterci in comunione con Dio e identifichiamo comunione e preghiera senza mezzi termini. Ma in realtà la comunione è una realtà che precede la preghiera: ciò che è prima della mia preghiera non è la mia volontà di pregare, ma è la comunione di Dio offertami in Gesù Cristo.
Che è come dire che c’è qualcosa che ci precede: l’amore di Dio offertoci in Gesù viene prima di qualsiasi proposito, di ogni impegno, di ogni mio proposito di conversione! Lo riconosciamo oggi ascoltando la preghiera di Gesù: Dio si dona per primo e noi prendiamo coscienza che prima della nostra preghiera, c’è la sua comunione con Gesù e con noi.
Ecco perché allora Gesù non mantiene, come in genere succede a noi, la sua preghiera tutta intima e segreta tra lui e il Padre, ma in questo cap. 17 di cui abbiamo letto alcuni passaggi, Gesù ci rende partecipi della sua comunione e della sua preghiera con l’Eterno. Così anche noi pregando, cercando la comunione con Dio, non abbiamo a dare una scalata al cielo: perché la preghiera non è una formula magica che imprigiona il cielo, piuttosto è il senso del Dio vicino che Gesù ci dona.
Che cosa domanda Gesù nella preghiera? Lo abbiamo sentito ripetere in diversi modi: che siano una sola cosa, come noi siamo una sola cosa, siano perfetti nell’unità,e poi conclude: l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro. Che cos’è questa unità, questa unione che Gesù domanda al Padre?
Il card. Kasper scrive: «È significativo che Gesù non abbia primariamente espresso il suo desiderio d’unità in un insegnamento o in un comandamento rivolto ai discepoli, ma in una preghiera al Padre. L’unità è un dono dall’alto, che ha origine e cresce nella comunione d’amore con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La preghiera dei cristiani per l’unità è un’umile, ma fiduciosa partecipazione alla preghiera di Gesù, il quale ha promesso che ogni preghiera fatta nel suo nome sarà ascoltata dal Padre»[1].
Quando si parla di unità, ai nostri occhi appaiono subito le difficoltà e i problemi: basti pensare alla fatica che facciamo anche solo per celebrare i 150 anni di unità del nostro Paese! Senza ignorare la fatica e le difficoltà ad essere uniti in famiglia, con i parenti; sappiamo come sia difficile essere uniti nella stessa comunità cristiana, nella Chiesa e tra le chiese. Chi non ricorda le dolorose immagini dei monaci di diverse confessioni che al santo Sepolcro in Gerusalemme se le sono suonate di santa ragione, ed è proprio il caso di dirlo!
Perché abbiamo in mente una nostra idea di unità, abbiamo elaborato, ognuno di noi, un modo di essere uniti che corrisponde al nostro ideale che in genere ci fa pensare ad un’unità a partire da quello che pensiamo noi, da quello che penso io. Questo però è uniformità, omologazione … se non dittatura.
Gesù prega l’Eterno perché ci renda partecipi della comunione che sussiste tra lui e il Padre. Se vogliamo trovare una figura per esprimere la realtà della comunione, possiamo identificarla nel movimento della sorgente: l’amore, come dalla sorgente, dal Padre giunge al Figlio e arriva a noi. Essere una cosa sola nel senso di Gesù, non per quello che immaginiamo noi. Gesù è una cosa sola col Padre pur essendo Figlio: il suo essere in comunione non si esaurisce in una sorta di intimismo, piuttosto Gesù ha il pensiero del Padre, Gesù realizza il disegno del Padre.
La comunione con Gesù per noi è accogliere questo dono, fino al punto in cui il pensiero di Gesù diventa il nostro pensiero, la volontà di Gesù diventa la nostra volontà. Ecco perché la comunione non è immediatamente il risultato del nostro sforzo, ma è l’accoglienza del dono di Dio che è Gesù, la sua storia, la sua parola e la sua vita. Non finiremo mai di accogliere e di fare spazio nei nostri pensieri e nei nostri affetti a Gesù.
Noi non vivremo mai bene nella Chiesa, non faremo mai vivere bene nella Chiesa, se non metteremo noi stessi e non aiuteremo gli altri a mettersi di fronte a questo modo con cui la comunione di Dio ci viene partecipata da Gesù. Che cosa ci può essere in tante difese che mettiamo in tanti nostri ragionamenti, se non la paura di essere fino in fondo nella comunione con Dio e con Gesù?
Perché non sappiamo dove ci porterà: certamente non ci porterà in un senso diverso dal dono di noi stessi, dal dono della nostra vita e come per Gesù, subito dopo aver pronunciato queste parole, ad incontrare Giuda e potergli dire: Amico!
Ecco potremmo vedere le conseguenze di questa comunione accolta, dell’essere una sola cosa con il pensiero e la volontà di Dio così come si sono manifestate in Gesù. Ad esempio nell’ambito ecumenico: l’unità non sarà omologazione, ma un processo spirituale che si attua nella fedele obbedienza al Padre, secondo la volontà di Cristo e sotto la guida dello Spirito santo; nel senso che anche l’ecumenismo richiede più della diplomazia ecclesiale, del dialogo accademico, dell’impegno sociale e della collaborazione pastorale, presuppone l’accoglienza della comunione di Dio offerta in Gesù e presente in tutti!
Pensate anche ai nostri rapporti interpersonali nei quali impariamo a riconoscere in ogni persona il dono di Dio e non a circondarci soltanto di coloro che la pensano come noi – atteggiamento umanissimo -, ma sapremo dilatare il nostro cuore e il nostro pensiero alla misura e alla grandezza del cuore e del pensiero di Cristo perché quella sorgente d’amore continui ad inondare la storia dell’uomo.
(Gv 17, 20-26)