EPIFANIA DEL SIGNORE - Mt 2, 1-12
Noi che siamo stanziali, viviamo di abitudini, di tragitti ormai consolidati, noi che giustamente quando dobbiamo affrontare un viaggio non partiamo se non abbiamo programmato tutto nei minimi particolari… ascoltiamo con una certa distanza e talvolta purtroppo anche con supponenza, di gente che fa fagotto con quattro cose, si trascina figlie e figli in percorsi improbabili, su sentieri sconosciuti.
Eppure in quell’oscurità di orizzonti noi pigri e sedentari, non conosciamo la forza della stella che spinge famiglie e popolazioni a immergere i piedi nell’acqua, al rischio di congelarli nella neve, a inzaccherarli nel fango.
Magari non è proprio una stella che brilla in cielo, ma siccome le stelle le vediamo brillare di notte e la loro luce punge l’oscurità, questo ci dovrebbe fare pensare che ci sono stelle che brillano anche dentro i cuori, dentro i pensieri, dentro le persone.
D’altronde guardiamo il corpo umano. Lo curiamo, lo copriamo di attenzioni, lo ammiriamo nella sua bellezza e vitalità… ma ciò che lo fa vivere, il cuore, i polmoni, il cervello… tutti gli organi vitali non li vediamo, sono nascosti al nostro sguardo, eppure sono loro che lo fanno funzionare, sono loro la verità nascosta di ciò che si vede, sono loro la spinta ad agire, a prendere l’iniziativa.
Anche la storia dei Magi è una storia di tenebre e di luce, di buio e di stelle: l’ordine dispotico di Erode di massacrare tutti i bambini dell’area di Betlemme contrasta drammaticamente con la luce della stella, o forse è proprio nella tenebra del male che brilla una luce.
I più razionalisti tra di noi potrebbero sostenere, con qualche ragione, che se i Magi non avessero rivelato a Erode il motivo del loro viaggio, quei bambini non sarebbero stati uccisi. Ma non è forse vero, e questo è il dramma, come nell’ambito sia generale che personale, troppe volte azioni intraprese a fin di bene vengono nei fatti insidiate da esiti negativi, per fortuna non sempre tragici?
Detto più semplicemente nella vita il dritto ha sempre un suo rovescio e la luce è costantemente circondata da un alone di ombra. Dove la salvezza sta in una via di fuga.
Anche questa considerazione mi provoca oggi, la stella che sospinge i piedi e i passi verso la salvezza, indica sempre una via di fuga. Fin dalla vicenda di Mosè che fu messo in una cesta per sottrare il neonato a morte certa: la salvezza gli venne attraverso la fuga.
I Magi per evitare l’imprevedibile crudeltà di Erode, fanno ritorno per altra strada, e cos’è questa se non una fuga? Lo stesso Gesù dovrà riparare in Egitto, appunto, per sfuggire al tiranno. Parliamo di una storia che si è ripetuta, si ripete e purtroppo si ripeterà centinaia, migliaia di volte. Chi non ricorda le braccia slanciate dei bambini afgani all’aeroporto di Kabul, affidati a mani ignote per essere imbarcati su un aereo con destinazione la salvezza?
Che festa è allora questa dell’Epifania? Perché da sempre per i fratelli ortodossi il 6 gennaio è vissuto con più intensità e importanza che non il 25 dicembre? Potremmo dire che Natale celebra il fatto della nascita di Gesù, l’Epifania è la spiegazione del fatto. Natale celebra la nascita di un bambino, l’Epifania è la rivelazione di chi è questo bambino.
La prima cosa è chiara: un bambino nient’affatto privilegiato, perché è già stato catapultato nelle tenebre della storia umana e i suoi genitori hanno vissuto quello che oggi decine, centinaia di persone nel mondo, sono costrette a vivere.
Cosa dice di nuovo allora questa festa? Penso a due cose. La prima è che con l’epifania, la manifestazione di questo bambino ai lontani, perché i Magi, che fossero, sacerdoti persiani, astrologhi, re, che fossero tre o trenta, che fossero giovani e anziani, neri, bianchi o gialli… non è importante, la cosa importante che vengono dagli orienti.
Dunque con questo Bambino si capovolge il mondo: i più lontani da Gesù (i magi dagli Orienti) sono i più vicini. I primi ad adorare Gesù non sono i sacerdoti del tempio, i farisei, i sadducei, i devoti, ma i pagani venuti da molto lontano.
I lontani diventano vicini, i vicini lontani. I pagani diventano cristiani e i cristiani diventano pagani, come succede oggi in Europa. I ciechi aprono gli occhi e vedono, quelli che credono di vedere diventano ciechi.
Il capovolgimento turba davvero Erode, perché questo ribaltamento religioso avrebbe potuto facilmente diventare sociale, politico… per questo il re avverte il suo trono vacillare.
L’inerme Bambino, estremo paradosso, destabilizza i grandi poteri del mondo, li interroga, li spiazza perché li costringe a misurarsi con lui, il Signore Dio che è venuto non per essere servito, ma per servire.
Dobbiamo essere turbati anche noi, perché questi Magi che appaiono e scompaiono come la stella che li guida, ci ricordano che tutti i cercatori di Dio, i cercatori di amore, di libertà, di giustizia sono più vicini a Dio di quanto noi possiamo pensare di esserlo.
La seconda cosa che indubbiamente è la più importante nell’intenzione di Matteo, già come bambino, Gesù è degno di essere adorato. Questo è lo scopo del lungo viaggio dei Magi: siamo venuti per adorarlo.
Qual è il senso di questa adorazione? È prostrarsi davanti alla divinità di Gesù. Significa riconoscere che Gesù è Dio dalla nascita. Non lo è diventato dopo. Non è un uomo che piano piano progredisce, si eleva e si santifica fino a diventare Dio. Gesù è Dio che è diventato uomo.
Infatti al dono di Dio nel Figlio i Magi corrispondono con i loro doni: l’oro come riconoscimento della divinità, l’incenso la cui offerta era riservata ai sacerdoti, e la mirra che indica l’umanità.
Riconoscono Dio nel volto di un Bambino. E da qui il viaggio riprende. Anche il nostro cammino dietro a Gesù ricomincia. Perché Gesù stesso è anche lui un itinerante, un compagno di viaggio: il viaggio della fede, il cammino della fede continua con lui. Gesù non dirà infatti: Io sono la mèta, il traguardo. Dice: Io sono la via.
Se vogliamo riconoscere Gesù come Dio mettiamoci in cammino, smettiamo i panni di una religiosità abitudinaria, ripiegata su sé stessa, cerchiamolo nel volto delle persone, di un bambino, di una famiglia, certi della sua parola: Qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me. Mettiamoci in cammino, il compagno di viaggio c’è.
(Mt 2, 1-12)