II DI AVVENTO - Mt 3, 1-12


Se Giovanni il Battista dovesse venire oggi in mezzo a noi, in questa nostra umanità, non esito a pensare che si troverebbe a rinnovare l’invito che abbiamo sentito nel Vangelo di Matteo: Convertitevi (Mt 3, 1-12)!

Quando oggi sentiamo questo appello, pensiamo subito a qualcosa che dobbiamo fare, generalmente a qualcosa di triste, a una riforma della propria vita o di qualche aspetto, qualche tratto del carattere, qualche cattiva abitudine… Convertitevi è sinonimo di cambiate, modificate, correggete, migliorate il vostro comportamento, il vostro stile di vita!

Proviamo a lasciare cadere questo approccio così moralistico, tutto centrato sulla nostra volontà di sconfiggere certi nostri limiti e domandiamoci: ma davvero convertitevi, significa questo? Dobbiamo per forza di cose dare per scontato di conoscere il significato dell’invito del Battista?

Il verbo “convertitevi” nel vangelo scritto in greco è “Metanoei=te” – meta-noeite, letteralmente “al di là del pensiero”. Come “metafisica” significa oltre l’evidenza oggettiva, fisica appunto, dei dati misurabili dalla scienza. Come “metamorfosi” indica andare oltre la forma già data per un’altra forma… analogamente “metanoia”, andare oltre il pensiero, significa andare oltre quello che adesso ci viene spontaneo pensare, oltre il ragionamento attuale, al di là della razionalità, oltre la logica.

Quando Giovanni chiede alla gente di convertirsi chiede loro di andare oltre il loro modo di pensare, oltre i luoghi comuni… Per noi oggi cosa significa andare oltre il modo di pensare diffuso, oltre quello che dicono tutti? Significa ad esempio andare oltre la rassegnazione, oltre il complottismo, oltre il negazionismo (che di razionale ha ben poco), oltre anche quella logica diabolica che mette in capo a Dio la responsabilità punitiva della pandemia. Convertitevi, suona come un invito ad andare oltre tutti questi approcci che afferiscono alla nostra razionalità, al modo di pensare comune.

Il che non significa per noi oggi in piena pandemia, abbandonare la razionalità, non significa rinunciare alla scienza, alla medicina, alla ricerca… ci vorrebbe altro! Ma andare oltre, al di là…

E questo andare oltre ci conduce a incontrare significati altri, a domandarci il senso delle cose, il senso di questa situazione, a interrogarci più profondamente a livello spirituale.

Osserviamo la motivazione che Giovanni Battista adduce all’invito, anzi all’imperativo – perché il verbo è un imperativo presente – alla conversione che sarà ripreso anche da Gesù[1]: perché il regno dei cieli è vicino. Tu vai oltre la tua logica, vai al di là del tuo sentire… perché Dio è vicino.

Affermare che il regno di Dio che è vicino, per il Battista si intende riferito al tempo che è ormai prossimo, che sta per arrivare, perché intravvede la venuta del Messia. Quando lo dice Gesù, che Dio sia vicino, significa che lui è lì, accanto a te, perché Gesù è il Dio vicino.

Chi conduce Radio Maria dice che «Il coronavirus è un avvertimento della Madonna di Medjugorie all’umanità», nel senso che la pandemia è una punizione per costringerci alla conversione, mentre il Vangelo: guarda che Dio ti è vicino. In questa cosa il Signore non ti abbandona, è con te, è la tua forza. Sinceramente mi fido più del Vangelo.

Se Dio è vicino allora cambiano tante cose: mi lascio interrogare da questa vicinanza. Com’è che tu Dio sei vicino proprio quando l’uomo di religione dice che sei lontano?

La conversione etica si colloca a questo punto, come dice il Battista, perché quando sperimenti il Dio vicino, quando accogli la sua presenza, quando oltre all’emotività e alla razionalità, ti apri allo spirituale che Dio sollecita in te, quando ti rendi conto che con Dio vicino non puoi barare o fare finta di… allora fai frutti degni di conversione.

Non è che la pianta si sforza di fare frutti. La pianta se ha radici sane, nutrimento adeguato e luce giusta produce frutto. Se la nostra vita come un albero è nutrita bene, pensiamo alla pancia, ai sentimenti, alle emozioni… se ha radici sane, che sono la nostra formazione intellettuale, culturale, razionale… ha bisogno però della luce, ha bisogno del sole che la attira a sé, che fa uscire il seme dalla terra attirandolo col suo calore e che è appunto quel Dio vicino che attira la crescita della nostra vita, non per mortificarla, ma perché porti frutti.

Ascolta cosa ti sta dicendo Dio, cosa ti dice la vita, cosa ti dice il più intimo di te stesso. Fai salire quella linfa che scorre dentro di te e apriti allo spirituale che è in te e farai cose grandi.

Quante volte in una giornata le nostre azioni sono reazioni di pancia, d’orgoglio, di presunzione.

Molti pensieri sono nostre costruzioni mentali che poggiano su preconcetti, su pregiudizi…

Se riconosciamo che Dio è vicino, allora non ha senso dire che dobbiamo “salvare” il Natale, come viene spesso ripetuto in questi giorni. Non dimentichiamoci che Natale è la nascita di Colui che ci viene a salvare. Allora quale Natale dobbiamo salvare? Quello delle nostre tradizioni, delle nostre abitudini? e se invece a salvarci fosse proprio il sapere che Dio è già qui, è già vicino e che noi non dobbiamo salvare proprio un bel niente, ma dobbiamo lasciare che Dio sia Dio e non un nostro prodotto, un nostro manufatto. Perché Dio è vicino, ma è anche il sempre atteso.

Questo è in gioco nel nostro avvento ai tempi del Covid-19: ci fidiamo della parola del Battista, confermata anche da Gesù, che Dio è vicino, ma al tempo stesso attendiamo il ritorno di colui che tarda a venire, attendiamo che Gesù ritorni.

Sembra una contraddizione. Quante volte Gesù nel Vangelo dice di essere presente, di essere appunto vicino: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. E ancora: Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono mezzo a loro. Gesù è presente nella sua Parola, nell’Eucaristia, nella Chiesa, nei poveri, negli affamati, nei carcerati, nei malati, nei profughi e nei disperati, nei piccoli e negli scartati[2].

In tutte queste persone Gesù è presente, Dio si rende visibile realmente, ma allora perché lo aspettiamo ancora? Perché attendere se è già qui?

Come diceva un teologo antico, siamo di fronte a una questione seria: Capire come viene colui che è sempre presente[3]. Perché è con noi, ma non lo vediamo. È presente in tanti modi, ma non lo vediamo, nell’Eucaristia, nella Parola, nei fratelli… ma non lo vediamo. Ed è proprio lo stare in questa attesa ad essere vitale per noi, fecondo di frutti, capace di far fiorire la vita.

Pensate quanto sia sterile la vita di un teologo che non aspetta Dio perché crede di averlo rinchiuso in una dottrina. Pensate all’uomo di chiesa che non aspetta Dio perché crede di possederlo nel perimetro dell’istituzione. Ancora pensate al credente che non aspetta Dio perché crede di averlo soddisfatto nella sua esperienza o nelle sue devozioni.

Anche per me, non è affatto facile predicare domenica dopo domenica e fare i conti con la tentazione di possedere Dio e di disporre di lui.

Non è facile parlare di Dio a chi non crede e nello stesso tempo far loro chiaramente comprendere che io stesso non possiedo Dio, che anch’io lo aspetto. In questo siamo davvero tutti fratelli, perché siamo più veri, più umili, più umani quando lo aspettiamo che non quando crediamo di possederlo.

Certo Dio è già vicino, ma lui ci salva dalla dannazione dei nostri sentimenti e dei nostri ragionamenti, ci chiama a conversione, alla “metanoia”, ad andare oltre il nostro modo di pensare Dio, per attenderlo fino a quando non saremo immersi definitivamente nel suo amore.

[1] Mt 4,7: Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mc 1, 14: Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». At 2,38: E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo».

[2] Matteo 28,20; Matteo 18, 20; Matteo 25

[3] Gregorio di Nissa