III DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 3, 1-13
«Come posso migliorare?». Potremmo tradurre così la domanda di Nicodemo a Gesù: «Come può nascere un uomo quando è vecchio?», che è come domandarsi: Come darci ancora qualche speranza? C’è qualcosa ancora che possiamo fare per migliorare questa umanità, questa società? O assistiamo impotenti alla decadenza?
Già il fatto che si ponga questa domanda fa di Nicodemo un personaggio speciale, come il suo nome, egli è un fariseo, un capo dei giudei, ma porta un nome greco: Nicodemo, lett. “colui che vince il popolo”, e noi lo comprendiamo nel senso che Nicodemo vince il modo di pensare comune, non si rassegna al vezzo diffuso: tanto le cose non le cambia nessuno… Nicodemo vince l’atteggiamento rinunciatario della massa, in questo senso vince il modo di pensare del popolo.
E di fronte alle parole di Gesù: «Se uno non nasce dall’alto/di nuovo, non può vedere il regno di Dio», reagisce per due volte con la domanda «come», come fa uno a rinascere di nuovo? E ancora: come può rinascere da acqua e da Spirito?
Notate l’insistenza ricorrente nelle due domande di Nicodemo a Gesù: dicci «come». Atteggiamento questo che suggerisce l’idea di una persona pragmatica, concreta che cerca una risposta: è un fariseo e uno dei capi è preoccupato della concretezza, della realtà.
Le tue parole, Gesù sembrano astratte, evanescenti, dicci come si fa concretamente a migliorare gli uomini?
Per dirla con Isaia: Come possiamo far diventare il deserto bello come un giardino? Come si fa affinché il diritto e la giustizia possano regnare nel giardino del mondo, così che possiamo abitare in “luoghi sicuri” e in una “dimora di pace”?
Il popolo non si è forse rassegnato all’inevitabilità del male? È andata in crisi la partecipazione; coinvolgimento e corresponsabilità sono termini desueti, fuori moda. Non ci siamo forse rassegnati anche noi a una vita di basso profilo? C’è ancora qualcuno che si dà da fare affinché il mondo diventi un giardino per tutti?
Siamo curvi e affaticati sulla nostra zolla, dedichiamo tempo ed energie all’aiuola del nostro particolare… incuranti se intorno a noi cresce il deserto, l’importante non è cercare, dialogare, confrontarsi. L’importante sembra essere difendersi, proteggersi.
Questo atteggiamento mi fa ricordare tanto l’atteggiamento di quando ero bambino, alla sera quando il papà voleva vedere il telegiornale, noi piccoli invece volevamo vedere i cartoni animati… Ma la parola di Dio oggi non ci trastulla con i cartoni animati, non ci lascia tornare a casa tranquilli, rassicurati. Ci viene chiesto di essere un po’ come Nicodemo, di vincere l’atteggiamento diffuso e prevalente nella massa e di tornare a porci le domande di Nicodemo: come possiamo migliorare gli uomini?
Il brano di vangelo non ci consegna completamente le parole del discorso del Cristo, si ferma su due punti.
1. Se vuoi migliorare il mondo, non devi aspettare che cambino gli altri, puoi provare a cambiare te stesso immergendoti nella vita in Cristo. Devi rinascere in acqua e spirito. Questa è l’immagine che ci parla del battesimo, del nostro battesimo. Il battesimo non è solo un rito che viene compiuto una volta per tutte: è un continuo nascere di nuovo nella vita di Gesù, nel modo di essere di Gesù, nel modo di pensare di Gesù, di amare e di soffrire di Gesù.
È un immergerci nell’oceano di Dio, di cui la vasca battesimale è immagine e punto di partenza.
2. E siccome Nicodemo incalza: ma come è possibile fare questo?
Gesù dice che concretamente, il vivere in lui, non è come seguire semplicemente un maestro. Così l’aveva salutato Nicodemo all’inizio del dialogo, quasi come per una captatio benevolentiae: «Rabbì sappiamo che sei venuto da Dio come maestro». Anche la Samaritana, al capitolo successivo, gli dirà «ma tu sei un profeta». Gesù non è solo un maestro e un profeta, è disceso dal cielo, è la mano di Dio, è il cuore di Dio, è il pensiero di Dio per noi, per me, per la Chiesa.
Come si migliora l’uomo? Facendolo rinascere in Cristo. Cosa significa questo? Significa diventare uomini secondo la misura di Cristo, non basta diventare preti, monaci o monache, perchè nemmeno questo stato garantisce di essere autentici, occorre diventare, nascere sempre, ogni giorno come uomini e donne secondo la misura di Cristo.
Questo non vuol dire che dobbiamo ricondurre tutto sotto l’etichetta «cristiano»: Dio non ci chiede di fare un’«economia cristiana», un’«arte cristiana», una «letteratura cristiana», una «politica cristiana», ma di fare bene, con il massimo di capacità, di cultura e di efficacia, la nostra vita, il nostro quotidiano.
Per cui se il mondo ascende sempre più in alto, pagando un prezzo enorme di dignità, di onestà, di rispetto, di giustizia… e va via via riducendo il mondo a un deserto di umanesimo e di solidarietà, il discepolo pensoso impara da Gesù a stare nel mondo da cristiano.
Guardiamo come agisce Gesù con questo cercatore di Dio che è Nicodemo: non oppone una catechesi, un’apologia della verità, ma costruisce con lui un dialogo libero e franco. Anzi a ben guardare tutto il vangelo di Giovanni ci rende famigliare questo modo di fare del Cristo: dialoga con tutti.
Ricorderete il dialogo appunto con la Samaritana, andiamo a rileggere tutto il dialogo con Nicodemo… dialoghi che ricordano sia pure da lontano il genere dei Dialoghi di Platone, dove Gesù è come un nuovo Socrate, che ha la capacità di far nascere il meglio che è in ogni uomo e donna.
Senza il dialogo serrato con Gesù né Nicodemo, né la donna di Samaria avrebbero avuto un futuro diverso e noi non saremmo qui oggi a parlarne, ancora dopo duemila anni.
È questo dialogo, fatto di passi avanti e passi indietro, un dialogo che rispetta i tempi e i passi di ciascuno, che permette a Nicodemo di arrivare al giorno in cui Gesù è ormai morto, quando Giuseppe d’Arimatea, anche lui discepolo nascosto, chiede a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù, scrive il vangelo di Giovanni: «Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di aloe» (19, 39). Nicodemo che finora non ha mosso un dito, ha solo tenuto una posizione rispettosa, ma defilata, alla fine si decide per Gesù, alla distanza viene fuori e spende una grande somma per seppellire il corpo del Signore.
Oggi sono tante le resistenze alla capacità di dialogare, oggi è più difficile dialogare di ieri, si radicalizzano le polarizzazioni ideologiche tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, si esasperano le diversità culturali, c’è la paura dell’altro… per questo tornano secondo me di grande attualità le parole di un grande uomo di dialogo, Paolo VI, che nell’agosto del 1964 scriveva: «La chiesa deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La chiesa si fa parola; la chiesa si fa dialogo, la chiesa si fa colloquio. Il dialogo è un modo di esercitare la missione apostolica. È l’arte spirituale della comunicazione. Suo carattere è la mitezza, quella che Cristo ci propose di imparare da lui stesso. Il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per l’amore che diffonde, per l’esempio che propone. Il dialogo non è comando, non è imposizione, è pacifico, evita i modi violenti e categorici è paziente, è generoso» (cfr Ecclesiam Suam 67.83).
Chiediamo al Signore di insegnarci quest’arte spirituale: forse diventando sempre più capaci di dialogo potremo permettere a tanti cercatori di Dio di rinascere al Cristo.
(Is 32, 15-20; Rm 5b-11; Gv 3, 1-13)