II DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Gv 5, 19-24
Possiamo cercare di comprendere il discorso articolato di Gesù tenendo conto del contesto in cui vengono pronunciate queste parole: si tratta della risposta ad un’accusa ben precisa, infatti i Giudei cercavano di ucciderlo poiché non solo violava il sabato, ma osava chiamare Dio proprio Padre, mettendosi alla pari con Dio (5,18).
Oggi derubricheremmo queste parole a delirio, a espressioni di uno ‘fuori di testa’… che fastidio potrebbe dare uno che dicesse del suo rapporto personale con Dio? Verrebbe facilmente ritenuta una questione individuale. Invece le parole di Gesù che dicono qualcosa di intimo e profondo della sua relazione di Figlio col Padre, suscitano una reazione violenta.
E cosa dice Gesù? Una cosa molto semplice: io faccio il mestiere di mio Padre e se mio Padre è Dio imparo il mestiere di Dio. Come succedeva anche da noi fino a qualche anno fa e come accade forse in qualche parte del mondo ancora oggi: il figlio, affiancando e osservando, impara il mestiere del padre, gli ‘ruba il mestiere’.
Ora quale è il mestiere di Dio che Gesù va imparando? Quello di dare vita, far vivere… non si tratta di imparare a guidare il culto o a dire le preghiere, la questione è ben più radicale: far vivere. Il mestiere di Dio che Gesù porta avanti è far vivere fino al punto di risuscitare dai morti, di far vivere la vita anche oltre la morte.
Noi sappiamo dalla scienza che quello della vita è un processo lunghissimo e lentissimo, che dura da più di tre miliardi di anni nel corso dei quali ha assunto forme diverse e adattamenti vari, si è modificato ed evoluto… La scienza cerca di penetrare l’enigma della vita e della sua origine che rimane misterioso e inspiegabile, ma che è affascinante continuare a sondare e a scoprire, perché il macrocosmo e il microcosmo sono e continuano ad essere per noi oggetto di scoperta e di meraviglia. Ora la scienza ci incuriosisce con la ricerca del come sono andate e del come vanno le cose.
Il racconto biblico, che sta sullo sfondo del discorso di Gesù circa la sua relazione col Padre creatore di vita, non si preoccupa di descrivere come sia avvenuta la creazione, ma il perché. Se il racconto scientifico cerca di scoprire come, il Vangelo ci dice che Gesù continuando il mestiere del Padre che è far vivere, ci dà l’orizzonte di senso verso il quale la creazione avanza e cammina.
Domandiamoci allora se abbiamo interiorizzato il mestiere di Dio che Gesù porta avanti, quello di far vivere. Stiamo anche noi imparando il mestiere di Dio? Davvero la nostra fede è per la vita? Le nostre azioni, le nostre scelte, i nostri comportamenti sono per far vivere? oppure siamo forieri di morte?
Sicuramente è contrario al mestiere di Dio chi compra e vende armi, chi procura guerre e inquinamento, chi non rispetta il diverso, l’altro fino a eliminarlo, chi non apprezza la vita fragile e debole in tutte le sue forme… ma anche la ristrettezza mentale, l’angustia degli orizzonti possono non corrispondere al mestiere di Dio di far vivere, perché la vita è un uscire costantemente da noi stessi, da quel già noto che ci appartiene. La vita è evoluzione, è un continuo superamento di sé, è vittoria sulla bestia che è in noi.
Abbiamo una barriera mentale costituita dal mito delle origini, per cui immaginiamo che in principio fosse tutto bello, tutto buono, e da qui deriva una antropologia ottimista e ingenua che vede l’uomo buono in origine per cui ora è necessario lasciarlo libero, lasciarlo naturale, lasciarlo spontaneo così che sarà capace di generosità, amore, bellezza. Ma è un inganno, realisticamente non è vero.
Se non ti ribelli alla tirannia della tua passione con la forza dell’ascetismo, se non ti ribelli alla dittatura dell’istinto, se non ti ribelli alla tua pigrizia e alla tendenza a sfruttare gli altri, se non reagisci alla rigidità della tua opinione, se non ti ribelli alla calcificazione delle idee che hai ereditato, se non ti ribelli alla rigidità della tua appartenenza… come puoi pensare di far crescere la vita? Crescerà il tuo io, la tua superbia, il tuo ego, ma non continuerai il mestiere di Dio, il lavoro di Gesù che è dare vita e far fiorire l’esistenza. Soffocherai il dono dello Spirito santo che è tutto rinnovamento, rigenerazione, apertura, impegno e libertà.
Allora possiamo ben comprendere come la questione del rapporto con Dio non sia semplicemente un dato personale: per cambiare il mondo, per modificare l’andamento delle cose è decisiva la relazione con Dio, quella relazione che Gesù ha condiviso con noi e di cui ci ha fatto partecipi. Il posto privilegiato per cambiare il mondo è la nostra anima. Il campo più grande per il progresso della storia fino all’incontro con Cristo è la tua anima.
Infatti oggi constatiamo per l’ennesima volta quanto sia vero: per anni, in nome di un’antropologia facile e ingenua, abbiamo abdicato alla nostra responsabilità di educare, poi quando emerge tutto il disagio e la violenza che abbiamo conosciuto anche in queste settimane, allora le cose si fanno complesse e invochiamo la punizione, il castigo, la repressione… ben sapendo che questo atteggiamento non cambia le condizioni perché le cose accadano. Anziché sostenere le famiglie, anziché mettere in campo un esercito di educatori e di formatori, accresciamo le pene e il numero di agenti di polizia! Se Dio avesse fatto così nella nostra biografia, probabilmente qui non ci sarebbe nessuno. Invece ha messo sul nostro cammino persone e occasioni per far rifiorire la nostra vita.
Tutto ciò che vediamo e per cui abbiamo reazioni viscerali è come la schiuma sulle onde di un mare la cui profondità è ben oltre, nel rapporto con Dio, un rapporto che avvolge tutto, il creato, le persone, le cose…
(Gv 5,19-24)