VII DI PASQUA o Domenica dopo l’Ascensione - Gv 17, 1b.20-26
È struggente la preghiera di Gesù: struggente anzitutto per il contesto in cui il Signore si rivolge al Padre, durante l’ultima cena secondo Giovanni, o nel giardino del Getsemani secondo i Sinottici. Nel momento in cui Gesù prepara il congedo dai suoi amici e discepoli alza lo sguardo al Padre e lo prega affinché siano uniti, siano “uno” come lui e il Padre sono uno.
Poteva chiedere tante cose: ad esempio augurare salute, pace e prosperità, poteva domandare che andassero d’accordo, che fossero capaci di mediazioni e compromessi, perché si sa che la vita è fatta di questo.
Gesù chiede molto di più: che siano uno! Un termine di riferimento altissimo di una tensione importante: che i discepoli siano uno, come il Padre, il Figlio e lo Spirito sono uno, sono un amore unico.
Forse ne percepiamo un qualche significato nel desiderio di ogni padre e di ogni madre quando ormai anziani e prossimi alla morte desiderano e pregano i loro figli e le loro figlie di mantenere unita la famiglia, di volersi bene, di restare uniti.
Sappiamo che puntualmente, non dico sempre ma spesso, accade che nel giro di poco tempo finiscano per dividersi, per non parlarsi più, per chiudere i rapporti. In genere, la maggior parte delle volte la causa è il denaro, i beni che i genitori a fatica e con grande impegno hanno lasciato in ereditò ai loro figli, magari senza godersi granché.
Ed è appunto questo il secondo motivo di struggimento: la constatazione che quella preghiera sembra sia rimasta sospesa. Accanto a timidi segnali di unità, ancora oggi prevalgono le divisioni anche tra i discepoli di Gesù. Divisioni nelle stesse famiglie, divisioni tra i gruppi, divisioni nelle chiese che pure si dicono cristiane.
Se poi allarghiamo lo sguardo vediamo come le tensioni identitarie sembrano oggi prevalere sul desiderio di unità anche tra i popoli. Pur di fronte a una interdipendenza economica che è sempre più evidente e che dovrebbe farci pensare ‘in grande’, così come quella culturale, perché tutti riceviamo da tutti, perché la scoperta scientifica di un centro diventa patrimonio di tutti… ebbene nonostante questa forza che porta verso l’unità e l’interdipendenza, i nazionalismi che oggi vanno per la maggiore costruiscono il loro consenso sulla questione identitaria, sulla difesa dagli altri vissuti come pericolo, come ostacolo.
All’interno delle stesse nazioni, che pure hanno raggiunto l’unità a caro prezzo, affiorano rigurgiti di localismi, di identità “brevi” che sembrano riportare indietro l’orologio della storia.
Insomma siamo in un tempo in cui, dal livello personale e famigliare, fino a quello globale e internazionale, prevalgono le tensioni divisive, più che quelle all’unità. Ci sono periodi della storia in cui domina la capacità di costruire ponti e periodi altri in cui invece le energie di tanti sono impiegate per costruire muri, recinti, spazi esclusivi e protezionismi di vario tipo. Oggi pare che siamo nella piena espansione di questa fase.
Per questo la preghiera di Gesù risuona con tutta la sua profezia qui in mezzo a noi e ci interroghiamo: come la parola di Gesù può aiutarci a comprendere la nostra condizione umana che appare contraddittoria e come può aiutarci a far sì che la preghiera di Cristo non rimanga “sospesa”?
Torniamo a quella notte in cui, nell’arco di poche ore, l’unità di gruppo auspicata dal Signore andò letteralmente in frantumi. Giuda da una parte, Pietro per i fatti suoi, gli altri non si sa bene che fine abbiano fatto, dileguati fino a Pasqua…
Per contro Gesù persevera nell’amore e fonda sull’amore del Padre la sua capacità di amare e prega dicendo: Tutti siano uno, siano perfetti nell’unità… perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro. Non fa appello alla buona volontà dei discepoli, non li richiama al buon senso, o anche all’utilità dell’essere uniti, ma radica l’unità tra di loro sul fondamento dell’unità che sussiste tra lui e il Padre, vale a dire all’amore del Padre e di Gesù. Ed è un termine di riferimento che ci sconvolge: ci pare un amore altissimo, e soprattutto di che amore stiamo parlando? Perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.
Possiamo noi sapere qualcosa di questa profonda intimità tra il Padre e il Figlio, così come ci viene talvolta di intuire dell’intimità di due persone che si amano?
Se pensiamo all’amore tra Dio Padre e Gesù, la prima cosa che mi viene in mente è la confidenza, la preghiera. Gesù conosce l’amore del Padre nel momento in cui lo ascolta, nelle notti trascorse in intimità e preghiera con lui dove riceve la sua confidenza.
La frequentazione personale permette di ascoltare l’intimità. Così come Gesù ha pregato e ha confidato nel Padre, anche il discepolo impara l’amore di Dio e l’amore di Gesù nell’ascolto e nella confidenza. L’immagine più bella è quella di Giovanni che in quella sera stava appoggiato al fianco di Gesù e conobbe l’intimità e la profondità dell’amore di Cristo.
E poi nei gesti, ecco noi possiamo intuire qualcosa di questo amore del Padre e di Gesù dai gesti, da come si comportava Gesù, da come Gesù amava comprendiamo di quale amore è stato amato.
È una legge della vita, lo vediamo quotidianamente: se un bambino è amato e non intendo dire viziato o messo sul trono, perché allora diventa un tiranno, ma se è amato, ama. Se è ascoltato ascolta. Se è rispettato, sa cosa significa portare rispetto.
Gesù ama certamente i suoi amici e le sue amiche, ma soprattutto ama i poveri, ama i piccoli, ama gli esclusi, ama chi cerca e chi si interroga. In questo ci rendiamo conto che ha imparato da Dio Padre che ama così. Quindi non è un amore che omologa, che ama perché l’altro è uguale a me e mi restituisce l’amore; che ama perché si specchia nell’altro e lo trova coincidente con le sue attese e aspettative.
Chiediamo insieme il dono dello Spirito di Gesù, invochiamo il dono che ci fa amare di quell’amore che salva il mondo e l’umanità dall’autodistruzione.
C’è un amore che ci lega, un amore che stabilisce le radici, che si alimenta della reciprocità: è un po’ come per il fiore che affonda le sue radici nella terra per alimentarsi, per nutrirsi. Ma c’è un amore che sospinge il seme del fiore a uscire dalla terra, a bucare la zolla per emergere e fiorire in tutta la sua bellezza.
È questo amore di Gesù che ci attira a uscire dai nostri individualismi e personalismi, dalle nostre divisioni per fiorire nella vita e trasformare la terra in un giardino.
L’unità auspicata da Gesù mi pare più simile a un prato in fiore, ricco di ogni colore e di ogni forma, che non a una chiesa uniforme nella ortodossia e senza colore.
(Gv 17,1b.20-26)