VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 10, 40-42
Abbiamo ascoltato le battute conclusive del cap. 10 di Matteo, capitolo in cui l’evangelista raccoglie un insieme di indicazioni di Gesù rivolte ai Dodici sul come essere missionari. Il Signore aveva esordito dicendo: Vi mando come pecore in mezzo ai lupi, senza oro né argento, né bisaccia, né sandali… un discorso esigente, dove Matteo disegna il modo di vivere la missione dei discepoli secondo i tratti che aveva visto in Gesù stesso, appunto un predicatore disadorno, essenziale, senza curie, senza cortigiani… affatto preoccupato del consenso.
Nei tre versetti di oggi la prima cosa che emerge con evidenza è l’incalzare del verbo accogliere che ricorre sei volte sulla bocca di Gesù: Chi accoglie voi, accoglie me, chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. E poi continua: Chi accoglie un profeta… chi accoglie un giusto…
Cosa accade quando accogli?
La lettera agli Ebrei, cioè indirizzata ai figli d’Israele diventati seguaci di Cristo, ricorda un esempio biblico di ospitalità che è emblematico perché ricorda come il patriarca Abramo praticando l’ospitalità gli accadde di accogliere degli angeli!
Analogamente Elia (850 anni prima di Gesù) prima viene nutrito dai corvi che condividono con lui il cibo, poi viene accolto e ospitato da una povera vedova libanese di Sarepta (vicino a Sidone). Anzi dobbiamo riconoscere che in qualche modo Elia le impone di essere accolto. Il profeta chiede, domanda del pane a una donna che non ne ha nemmeno per il proprio figlio!
Parafrasando la pagina di Elia, potremmo dire che oggi abbiamo numerosi profeti che ci chiedono pane: i poveri, i migranti sono profeti per noi. E si sa che nessun è profeta in patria, perché non è affatto semplice accogliere un profeta: spesso la sua stessa presenza è scomoda, interroga, scuote, fa discutere, provoca.
Così succede quando accogli un giusto, dice Gesù, uno che cerca giustizia. E chi è che oggi cerca giustizia, se non il profugo, il rifugiato?
Ma si sa che accogliere oggi è difficile. È un tema sul quale facilmente ci dividiamo: «Ognuno stia a casa sua, abbiamo già tanti problemi noi!». Ripetono in tanti oggi. E allora ogni Paese afferma: chiudiamo le frontiere, costruiamo muri tra noi e gli altri Paesi. «Gli italiani in Italia, gli stranieri a casa loro».
Il ragionamento è tanto convincente che si potrebbe andare oltre: che ogni regione italiana si tenga i suoi! Basta con questa mescolanza, con questo girare, se esistono le regioni un motivo ci sarà… e allora chiudiamo le frontiere tra le regioni e le cose andranno meglio per tutti.
Anzi, all’interno di ogni regione sarebbe meglio che ogni provincia si gestisca da sé, perché non è che siamo tutti uguali, bisogna preservare il lombardo, il pugliese, il veneto…
E poi per dirla tutta, anche nell’ambito delle stesse province non è che tutti i comuni possono porsi il problema dei migranti, dei profughi: ci sono questioni di bilancio. Allora sarebbe bene che le polizie municipali istituiscano delle frontiere tra i comuni prima che sia troppo tardi!
Effettivamente però, c’è il problema che le città sono divise in quartieri, si sa, ogni quartiere ha già i suoi problemi: magari col supporto della Protezione Civile, che è specializzata nelle emergenze, si potrebbero agevolmente installare dei posti di blocco tra i diversi quartieri, in particolare al confine con quelli popolari. In fondo, piccolo è bello… e chiuso è ancora più bello.
Ora che ci penso, quella famiglia del quinto piano, con quel continuo via vai di stranieri, senza considerare gli odori quando cucinano, i rumori che fanno… magari potremmo chiedere all’amministratore di montare immediatamente delle cancellate tra un piano e l’altro del condominio!
Ma perché mio figlio mi guarda così? Ma come, mio marito, mia moglie è così cambiata? Mi sa che di notte sia meglio chiudere a chiave la mia stanza da letto, non si sa mai!
Ricordate le parole della canzone di Fossati:
Sarà la musica che gira intorno quella che non ha futuro … saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro.
Siamo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro. Il muro non è altro che la proiezione fisica del muro mentale che è in te (A. Camilleri).
Il muro è nella testa, prima ancora che nel cuore. Per questo torniamo ad ascoltare la parola di Dio, che ci ricorda, come dice la lettera agli Ebrei: Non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli. Ospitalità, in gr. φιλοξενία, lett. amicizia per lo straniero, che diventa accoglienza concreta, principio etico fondamentale nella cultura greca, lo stesso per intenderci che accomuna ancora oggi le genti del deserto del Gobi o del Sahara.
Se pratichi l’ospitalità, dice la seconda lettura, ti capita di accogliere gli angeli, senza saperlo. L’angelo chi è? È una parola di Dio sul futuro, è parola che va oltre la cronaca, è la parola di Dio che dischiude nuove possibilità. Proprio quando tu non sai, non vedi futuro, hai paura, accogli quello che la vita ti fa incontrare, non cercare nel passato la tua sicurezza. Accogli.
Se non sei aperto all’accoglienza ti chiudi e ti limiti a difendere il tuo passato. Noi facciamo fatica a credere che l’ospitalità sia una porta sul futuro, infatti l’Europa, continente debole e cieco, continua a erigere muri, grazie agli imprenditori della paura che la fomentano giocando sulla discrasia tra realtà e percezione della realtà.
I muri che in alcuni Paesi dell’Europa si stanno continuando ad innalzare non fermeranno chi scappa dalle guerre, perché cercheranno altre strade, rafforzando in questo modo i trafficanti di uomini. Sarebbe piuttosto il caso di creare un sistema di corridoi umanitari, per evitare la crescita della tratta di esseri umani oggi gestita da mafie e terrorismo.
Non commettiamo l’errore di guardare a queste nostre sorelle e fratelli esclusivamente come numeri, sebbene per qualcuno è solo di questo che si sta parlando. Neppure parliamo solo di lavoratori, quasi piegando l’immigrazione solo a un funzionalismo economico. Dovremmo piuttosto imparare tutti a parlare di mobilità umana e non di immigrazione riferendoci a queste persone come una dimensione della rigenerazione del nostro Paese. La mobilità è solo un aspetto della loro vita che è piena di progetti personali e famigliari, attese per il loro futuro e per quello dei loro figli. Nei migranti ci sono storie e insegnamenti di cui tutti dovremmo beneficiare per la nostra crescita umana e anche spirituale. La vera frontiera è la piena integrazione, qui sta il futuro.
All’incontro internazionale di Assisi, il sociologo Bauman disse: «La storia dell’umanità può essere riassunta in molti modi, uno dei quali è la progressiva espansione del pronome ‘noi’. Un ‘noi’ che si è contrapposto per secoli agli ‘altri’, ai ‘loro’». Oggi sembra che gestiamo da primitivi una realtà cosmopolita e complessa, incapaci di riconoscere che siamo tutti dipendenti gli uni dagli altri e non si può tornare indietro. «C’è bisogno di promuovere una cultura del dialogo, di una vera e propria rivoluzione culturale».
Fino a ieri il ‘noi’ di mio nonno era una valle della bergamasca. Per le nostre generazioni il ‘noi’ è l’Europa. Ma quello delle generazioni future sarà sempre più il mondo.
Lo scorso anno papa Francesco a Sarajevo incontrando i giovani disse: «Voi siete la prima generazione dopo la guerra. Fiori di primavera che vogliono andare avanti e non tornare a quel che ci rende nemici gli uni gli altri. Vogliamo essere un ‘noi’… Tu sei musulmano, tu sei ebreo, tu sei ortodosso, tu sei cattolico… ma siamo ‘noi’. Questo è fare la pace! Una vocazione grande: mai costruire muri, soltanto ponti».
Chiediamo al Signore di essere almeno come i corvi di Elia e di saper portare cibo al profeta, saper offrirgli il nutrimento necessario, perché se vogliamo avviare un processo culturale, un cambiamento di atteggiamento nell’accoglienza dobbiamo cominciare da un gesto tanto semplice quanto indispensabile e necessario, qual’è dare un bicchiere d’acqua, offrire un pezzo di pane. Come i corvi di Elia.
(1Re 17, 6-16; Eb 13, 1-8; Mt 10, 40-42)