IV DI QUARESIMA o Domenica del Cieco - Gv 9, 1-38b
(Gv 9, 1-38)
Ascoltando il dialogo serrato del vangelo, ci siamo resi conto della tensione che lungo il racconto si accresce intorno a Gesù: da una parte, i farisei e altri che sono presunti vedenti, ma che in realtà sono accecati e poi vediamo perché. E dall’altra parte, un cieco che torna a vedere e che deve imparare a distinguere e riconoscere le cose e le persone. Infatti passando attraverso alcune resistenze, come quelle della sua famiglia e di chi gli sta intorno, arriverà a riconoscere in Gesù il figlio di Dio.
Qui si parla di noi, potremmo dire, delle nostre ombre e delle nostre luci. Si parla della nostra umanità, delle nostre società da sempre abitate da quei presunti illuminati simili ai farisei e ai giudei del tempo di Gesù che di fronte all’evidenza di un uomo, che prima era cieco e che ora ci vede, sono talmente accecati nei loro interessi da essere disposti a dire che non era proprio così vero che quel tizio fosse cieco! Era una messa in scena.
Guardiamoci intorno e chiediamoci: dove troviamo le persone più ottuse oggi? Chi sono le persone accecate che incontriamo nella nostra vita? Conosciamo persone abbagliate dalle lusinghe del denaro, del potere?
In queste settimane papa Francesco ci ha indicato due esempi di persone così. Il primo esempio ce l’ha indicato quando il 21 marzo scorso nell’incontro per ricordare le vittime delle mafie, rivolgendosi proprio a coloro che ha definito «i grandi assenti» a quell’incontro, i protagonisti assenti, gli uomini e le donne mafiosi ha rivolto loro poche parole, ma chiarissime: “Questa vita che vivete adesso, non vi darà piacere, non vi darà gioia, non vi darà felicità. Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi, è denaro insanguinato, è potere insanguinato, e non potrete portarlo nell’altra vita. … Piangete un po’ e convertitevi”.
Come dire che non c’è peggior cieco di chi vive in un sistema malavitoso, in un’organizzazione criminale, appunto come i mafiosi, i camorristi e gli ndranghetisti che non solo vivono e coltivano un sistema malvagio, ma lo ammantano di una certa religiosità, fatta di santini, di madonne e di processioni… E usando la devozione religiosa, tradiscono il Vangelo e bestemmiano il nome di Dio. Sono talmente accecati nella loro corruzione che non vedono Dio come Padre e tanto meno gli altri come fratelli.
Un altro esempio di cecità papa Francesco lo ha indicato all’incontro con i nostri politici quando ha stigmatizzato l’atteggiamento di chi di loro vive lontano dalla realtà della gente, di chi di loro si chiude entro anguste logiche di fazione, di ideologie e di interessi. E poi, in continuità con il tema della corruzione rivolto ai mafiosi, ricordando le autorità del tempo che hanno condannato Gesù, ha detto: “Tutti noi che siamo qui siamo peccatori. Ma questi erano più che peccatori. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. È tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti.”
Certo tutti siamo peccatori e per il peccatore è sempre possibile il ravvedimento, dice papa Francesco, ma per il corrotto cronico la via della conversione è assai più ardua e improbabile, perché è accecato e non vede altro che quello che vuol vedere. È importante e necessario che sappiamo vedere, appunto, quei livelli di corruzione, di ingiustizia e di falsa religiosità che crescono intorno a noi.
Ma se non vogliamo fare la fine dei farisei, dobbiamo chiedere anche a noi stessi: sono anch’io così cieco e ottuso? Sono così sicuro di me da essere certo di vedere bene, oppure, come il cieco del Vangelo, mi rendo conto che devo sempre più imparare a saper vedere dentro di me?
Non devo forse anch’io continuare la mia conversione, il mio progressivo cammino di liberazione dello sguardo? Notate infatti come di fronte alla monolitica presunzione di vedere dei farisei, il Signore invece accompagna pazientemente quell’uomo cieco in un cammino progressivo di liberazione dello sguardo e del cuore. Dopo che gli è stata tolta la tenda grigia che aveva davanti agli occhi, come succede quando cade la cataratta, guidato dalla parola di Gesù, passo dopo passo, comincia a vedere, poi impara a distinguere chi ha intorno e che cosa vogliono da lui, infine arriva a riconoscere in Gesù il figlio di Dio.
Vedere, distinguere e riconoscere è il cammino che Gesù compie insieme al cieco nato. E quindi o noi ci mettiamo in questa condizione per cui abbiamo bisogno che Gesù continui a liberare il nostro sguardo, oppure finiamo per essere come quei cristiani che dicono che ciechi sono gli altri, i non credenti…
Se – come diciamo – l’occhio è lo specchio dell’anima, il primo discernimento è del nostro cuore, della nostra anima e lì impariamo a distinguere una malattia dell’occhio tipica dei credenti che è l’invidia. L’etimologia infatti «in-videre» ci aiuta a capire che l’invidia significa avere un occhio cattivo fino a non vedere più l’altro, fino a volerne la sparizione o addirittura la morte. Oggi i sociologi dicono che l’invidia è un male sociale assai diffuso, soprattutto verso chi guadagna di più e dispone di più ricchezze.
Chi ha raffigurato bene l’invidia è Giotto nella Cappella degli Scrovegni, dove appare una donna anziana, avvolta dalle fiamme che indicano il suo tormento interiore e dalla cui bocca esce un serpente che si ritorce contro i suoi occhi. Le sue orecchie spropositate narrano la sua attitudine alla curiosità, ad ascoltare maldicenze per nutrirsi di contestazione e antagonismo, concorrenza e gelosia…
Non era questo il clima intorno a Gesù in quei giorni? E sappiamo dove condurrà.
Ma accanto al saper distinguere, c’è l’altro lavoro che non finisce mai e che ci impedisce di diventare come quei farisei e contemporanei di Gesù ed è appunto riconoscere che Gesù è un mistero più grande della nostra esperienza di lui.
Il Signore ha delle parole e dei gesti che arrivano direttamente dentro il nostro cuore. Se un uomo così è stato possibile, c’è ancora speranza per l’umanità. Se dal grembo della storia umana è venuto fuori un uomo come Gesù, allora davvero un altro mondo è possibile. Si può essere uomini così come lo è stato lui.
Ma proprio per questo, riconosciamo che non si è mai cristiani una volta per tutte. In questi ultimi anni, specialmente, abbiamo ridotto l’essere cristiano a una categoria sociologica che si identifica con particolari mondi e gruppi sociali e con determinati comportamenti esteriori.
In realtà anche oggi il segno raccontato dal vangelo di Giovanni ci ricorda che l’essere cristiano o rimane ancorato alla tensione della sequela e dell’ascolto della parola di Cristo, e quindi siamo nella condizione non tanto di «essere cristiani», ma di «diventare cristiani» (Kierkegaard), oppure si sclerotizza come se fosse un marchio, come uno status cui si appartiene quasi per nascita e che si può esibire come si esibisce un nastrino o un gagliardetto all’occhiello della giacca.
Vogliamo pregare perché il Signore in questa quaresima continui ad accompagnarci nell’interminabile cammino di liberazione dalla nostra presunzione, dall’invidia, dal pregiudizio… se noi ci manteniamo in questo stato di continua sequela di Gesù, anche il nostro essere chiesa sarà tanto più vero, e saprà accostare al Vangelo perché, per usare un’immagine cara a don Michele Do, il nostro essere chiesa sarà simile agli occhiali: la loro perfezione si ha quando non si avvertono più. È come le lenti a contatto che servono per vedere, senza essere viste.