III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59


audio 7 marzo 2021

È suggestivo per noi celebrare la domenica di Abramo proprio nel mentre papa Francesco compie il suo viaggio in Iraq. Ieri era a Ur dei Caldei da dove, con la partenza di Abramo riconosciuto padre delle tre religioni monoteiste, tutto ebbe inizio.

Vedere papa Francesco nell’assolata piana di Ur insieme con gli altri rappresentanti religiosi ci fa sperare, ci offre consolazione e fiducia.

Qui, ha detto papa Francesco, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra.

Ora noi siamo molto lontani dal considerarci veramente fratelli con gli ebrei e i musulmani: basta vedere quanto sangue è stato versato dai figli di Abramo negli ultimi secoli. Anche il nostro tempo è testimone di violenze, discriminazioni, guerre… eppure tutti si vantano di essere discendenti di Abramo, del grande patriarca. Come dicono gli interlocutori di Gesù nel vangelo di oggi che sbattono in faccia a Gesù il loro certificato. Guarda qui: noi siamo discendenza del grande patriarca!

La complessità della pagina di oggi è dovuta proprio alla fatica di seguire il pensiero di Gesù che intende spostare il discorso da un piano che oggi definiremmo dogmatico a un piano spirituale, da un piano formale a uno sostanziale, vitale.

Prendiamo la prima frase del vangelo di oggi, quando Gesù dice: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. È una provocazione tosta, alla quale reagiscono: noi la verità la sappiamo, siamo discendenti di Abramo, cosa vuoi insegnarci?

Per loro la verità è intesa come oggetto, come idea posseduta, come principio teologico. Ora passare dalla religione come dogma, come verità esterna, come un dato astratto a cui sottomettersi, a riconoscere che Gesù è la verità di Dio, che nel suo volto intravvediamo i tratti del volto del Padre, e che questa verità è appunto una persona che libera, e che non libera solamente dalla schiavitù del peccato secondo la formulazione tradizionale della morale, ma che libera in rapporto alla vita e che stare nella verità che è Gesù è vita e non astrazione… ecco non è affatto scontato.

È un cambiamento straordinario perché fa passare dal paradigma di una verità che si applica alla vita, che irrompe dall’esterno e che scende dall’alto a normare il nostro comportamento, a una verità che rende vita la vita, una verità svincolata dal teorico perché è grazia e spirito.

Gesù non apporta semplicemente né aggiunge un’altra verità religiosa concettuale, un altro insegnamento, una dottrina, ma insegna a intendere la vita come luogo teologico, a intenderla spiritualmente, a passare dall’essere in vita a fare in modo che la vita sia vita.

Questo è letteralmente l’inaudito nel senso proprio del termine che non si è mai sentito fino ad ora sulla terra e che di conseguenza gli interlocutori non vogliono e non possono ascoltare.

Gesù ci fa passare dallo stabilito, che sono le verità sedimentate e dall’ovvio, ciò che ci viene in mente naturalmente, alla verità di Dio che è vita che non muore mai, vita che lo vede in relazione continua col Padre e con lo Spirito.

Abramo non sarebbe mai partito ascoltando un’idea, una verità astratta. Non si sarebbe messo in gioco con tutto quello che era, per ascoltare un principio, ma se si è messo in cammino, e sappiamo cosa abbia significato quel cammino, è perché ha accolto la relazione con Dio e ha così acceso una relazione vera con la vita.

A questo livello, come diceva papa Francesco nella chiesa di Bagdad dove vennero massacrati 48 fedeli sirocattolici: Chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti.

Per le idee litighiamo, ci dividiamo, ci separiamo e possiamo anche fare guerre e perseguitare usando il nome di Dio. Ma in nome di un Dio che è vita, no.

Da che cosa devono essere liberati gli interlocutori di Gesù? Da che cosa dobbiamo essere liberati noi? Dall’aver ucciso lo spirito, dall’aver lapidato lo spirito della vita e aver reso il Dio che dialoga con Abramo, un dio monolitico, rigido e autoritario.

Provassimo a immaginare la bellezza del disegno di Dio con un’immagine che Papa Francesco ha proposto alle chiese presenti in Iraq, ogni chiesa con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, è come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte.

Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie (5 marzo 2021).

C’è un’ultima riflessione che mi suggerisce l’immagine del tappeto: non facciamo fatica a pensare quali sono le mani che tessono con delicatezza, determinazione e abilità i fili del tappeto… spesso sono mani di donna. Domani celebriamo l’8 marzo, giornata della donna, e credo che mai come in questo tempo abbiamo bisogno delle mani di donna che sappiano tessere i fili del tappeto della convivenza civile nella nostra storia.

Le femministe spesso ci accusano di adorare un Dio maschio perché adoriamo un Dio Padre: non è proprio così. È vero che noi adoriamo un Dio Padre, ma che è anche Figlio e Spirito. E lo Spirito seguendo l’interpretazione dei Padri lo possiamo accostare alla femminilità, come dice lo stesso termine ebraico ruah, che è un sostantivo femminile.

Però è vera quella critica, in effetti a livello di religione di massa, la nostra è la religione del Padreterno: abbiamo diffuso un concetto molto monolitico e massiccio e virile di Dio. Così che nel modo di intendere quotidiano diventa facilmente il padre padrone. Gesù insiste nel renderci partecipi della sua relazione vitale col Padre e con lo Spirito, una relazione viva, non un’obbedienza cieca a un padre padrone autoritario. La relazione spirituale è una relazione vitale.

Per questo, come è stato per Abramo non dovremmo mai dimenticare la sua relazione con Sara. E personalmente sarebbe meraviglioso se questa domenica potessimo imparare a chiamarla “la domenica di Sara e di Abramo”. Non per essere politicamente corretti, ma perché potremmo fare un passo avanti nell’aver acquisito una dimensione pienamente umana della nostra fede che non prescinda dal femminile che è un dono di Dio.

Anche perché sappiamo come nella tessitura di quel tappeto disegnato da Dio forse più facilmente le mani femminili possono essere capaci di sciogliere quelle tensioni che sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità. Sono nodi che portiamo dentro di noi; del resto, siamo tutti peccatori. Tuttavia, questi nodi possono essere sciolti dalla Grazia, da un amore più grande; possono essere allentati dal perdono e dal dialogo fraterno, portando pazientemente i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2) e rafforzandosi a vicenda nei momenti di prova e di difficoltà.

Anche questa è una liberazione che ci aspetta. Infatti più che di libertà la scrittura parla di liberazione, perché essere liberi è una condizione mai raggiunta definitivamente. Non si possiede la libertà una volta per tutte, è un processo continuo che ci fa stare come Sara e Abramo sempre in cammino.

Concludeva l’incontro interreligioso papa Francesco con queste parole che sono una consegna anche per ciascuno di noi: Noi, fratelli e sorelle di diverse religioni, ci siamo trovati qui, a casa, e da qui, insieme, vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio: che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra (Ur, 6 marzo 2021).

(Gv 8, 31-59)