III DI PASQUA - Gv 1, 29-34
(At 19, 1-7; Eb 9,11-15; Gv 1, 29-34)
Se noi vogliamo raccogliere l’invito del Battista che ci chiede di guardare nella direzione da lui indicata: Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, dove dobbiamo guardare per vedere questo agnello? La liturgia tra poco nel presentarvi il pane santificato mi farà ripetere proprio queste stesse parole: Ecco l’agnello di Dio!
Ed è lì che noi guardiamo e posiamo il nostro sguardo: su quel pane spezzato che è l’agnello di Dio. Forse questa immagine dell’agnello ci può apparire un poco fuori contesto, non solo perché siamo una società tecnologica, ma anche perché ogni giorno siamo immersi in una sorta di gara, in un confronto continuo con gli altri, in una perenne competizione dove essere agnelli significa essere perdenti, deboli, inefficaci.
Il Battista indicando Gesù come l’agnello di Dio, dice da quale parte sta Dio. Gesù è l’agnello dato da Dio, consegnato da Dio. Se ci pensiamo bene è un accostamento sorprendente tra due termini che evocano due mondi opposti: quello della fragilità, della vulnerabilità e quello dell’assolutezza e della divinità.
Quando il Battista indica Gesù con questo titolo, più probabilmente il suo pensiero andava all’immagine del Servo narrata da Isaia, anche perché il sostantivo «talja» in aramaico – la lingua parlata da Gesù – significa sia «agnello» che «servo».
Infatti, continua il Battista, cosa fa l’agnello di Dio? Toglie il peccato del mondo. Il testo greco usa il verbo portare “airein” che significa «prendere su di sé», «sollevare», quasi alzare sulle spalle… Ma, dicono gli esegeti, quando questo verbo viene collegato al concetto di peccato equivale a perdonare. Gesù viene come Agnello di Dio che perdona e riconcilia. Ma come, con quale mezzo questo agnello realizza il perdono di Dio? Come l’agnello di Dio perdona il peccato dell’uomo?
Qualcuno dice attraverso la sua innocenza, la sua purezza: e questa era l’idea del rito del capro espiatorio del Primo testamento, un innocente si carica del peccato del popolo e così tutti sono liberi.
Oppure, come dice la lettera agli Ebrei, anche Gesù può essere visto come una vittima sacrificale, ma si tratta di un’analogia che ha senso solo all’interno della visione biblica del culto in quanto memoriale dell’alleanza.
In realtà Gesù riconcilia il mondo con Dio non mediante un gesto cultuale, ma con il dono di sé, per il fatto che è colui mediante il quale Dio prende l’iniziativa offrendo agli uomini la riconciliazione con se stesso. Gesù presentandosi al Giordano inaugura una nuova e decisiva tappa nella relazione che unisce Dio all’umanità.
Infatti non si parla di peccati al plurale, ma di peccato del mondo, non parla solo dei miei peccati personali o di quelli del mio gruppo, della mia famiglia, ma «del peccato del mondo». Il peccato del mondo è la situazione di opposizione a Dio di tutta l’umanità, causata dall’incredulità. Incredulità che non è semplicemente il fatto di dire di non credere, incredulità è anche il peccato di quelli che dicono di credere, ma che poi non vivono di fede e, in questo senso, siamo tutti dentro il mondo salvato da Gesù.
La venuta di Dio nel mondo dunque non è alla stregua di una spedizione punitiva contro il male, non è che Gesù è venuto come Agnello per mettere le cose a posto, dividendo bene e male, ma è venuto e continua a venire per trarre il bene dal male, per vincere il male con il bene.
Giovanni quando scrive l’Apocalisse ne ha viste di tutti i colori, persecuzioni, martirii, ostracismi… eppure vede come al culmine della storia del mondo non ci stanno i potenti, i furbi, i lupi, ma Gesù come agnello immolato che sta ritto in piedi sul trono. Una condizione appunto per noi difficile da immaginare: sul trono ci sta la forza, la potenza, la ricchezza… Non un agnello immolato! Invece questa è la provocazione evangelica.
Ed è in questa esperienza divina che il Signore ci vuole immergere. Quando il Battista dice che Gesù è l’agnello di Dio che viene a battezzare nello Spirito santo, riconosce che il battesimo nello Spirito santo in qualche modo non è che si oppone al suo battesimo in acqua, ma di sicuro lo supera.
Se noi prendiamo alla lettera il verbo «battezzare» e lo intendiamo appunto come immersione, quello del Battista era un battesimo che intendeva esprimere una purificazione rituale. Chi veniva da lui per immergersi nell’acqua del Giordano, voleva un cambiamento di vita. Ma quante volte anche noi abbiamo cercato di correggere e cambiare qualcosa con la nostra sola volontà e non siamo arrivati a niente…
Gesù immergendoci nello Spirito santo, battezzandoci nello Spirito di Dio ci rende partecipi di un dono: viene come Agnello perdonando il peccato del mondo con il suo amore ci immerge nello stesso amore di Dio, nella vita di Dio.
Chi fa questa esperienza, chi accoglie questo dono, a sua volta cercherà di trasmettere il dono dello Spirito santo. E questa è la missione della chiesa, dei suoi discepoli. Infatti nel libro degli Atti abbiamo visto Paolo che a Efeso impone le mani, invocando lo Spirito santo su quei discepoli che addirittura non avevano mai sentito dire che esistesse uno Spirito santo!
Il gesto di imporre le mani rimarrà come segno di questa immersione e lo ripeterò anch’io tra poco prima sui doni e poi sulla nostra assemblea. Sui doni perché lo Spirito trasformi il pane e il vino nel corpo e sangue di Gesù e poi sulla nostra assemblea perché trasformi anche noi tutti, divisi e diversi, in un cuore solo e un’anima sola.
Ciascuno di noi è chiamato ad immergere la sua condizione e le situazioni che incontrerà nei prossimi giorni nella vita di Gesù, nel dono dello Spirito. Non dobbiamo immaginare di fare chissà che cosa, non è di certo un rito esoterico, significa immergere nell’amore di Dio, nell’amore di un Dio che si presenta a noi come Agnello, tutte le realtà della nostra vita.
«Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. Noi cristiani dobbiamo fare questo. Essere discepoli dell’Agnello significa non vivere come una “cittadella assediata”, ma come una città posta sul monte, aperta, accogliente, solidale. Vuol dire non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi» (Papa Francesco).
Certo che è difficile, il Signore ha detto fin dall’inizio ai suoi discepoli: «Ecco io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). Per questo abbiamo bisogno di ricordarci ogni domenica che Gesù è venuto a noi e viene a noi come Agnello che ci immerge nel perdono e nella riconciliazione e che proprio per questo diventa il nostro pastore. In ogni celebrazione fissando lo sguardo nel pane di Gesù ripetiamo le parole del Battista, dicendo: Ecco l’agnello di Dio! Torniamo ad attingere sempre qui, a nutrirci di questo pane spezzato per vincere la tentazione, che è la tentazione dei cristiani, dei laici, dei preti e dei vescovi di lasciarci accarezzare dal potere, dalla prepotenza e dall’arroganza. Torniamo a ripeterci senza stancarci, di domenica in domenica: Ecco l’agnello… Qui è il mondo con le sue contraddizioni e qui è il mistero di un Dio che si fa agnello in mezzo a lupi.