GIOVEDI’ SANTO - ULTIMA CENA DEL SIGNORE - Mt 26, 17-75


Vorrei cominciare proprio da qui, dal pianto amaro di Pietro, da quelle lacrime che dicono molto più di tante parole, anzi le lacrime arrivano proprio quando le parole sono insufficienti e avvertiamo l’incapacità di tenere insieme la nostra affettività, il nostro sentimento e la nostra ragione, il nostro pensiero.

L’esperienza di Pietro è stata proprio questa e guardate che se fosse stato solo un fatto di cui vergognarsi, gli evangelisti avrebbero fatto di tutto per dimenticarlo e per non far fare a Pietro una brutta figura. Ma non si tratta semplicemente di una brutta figura. Pietro dà voce, anzi dà lacrime, alla fatica di aver seguito Gesù, di averlo amato, di aver lasciato il suo lavoro, la sua sicurezza economica, tutto quello che normalmente una persona si costruisce per sé e per la sua famiglia e di trovarsi ora di fronte a una situazione che sembra mandare tutto all’aria: le cose hanno preso una strada senza ritorno e si mettono davvero male per Gesù e Pietro non si capacita del modo con cui lui sta in questa situazione.

Anzitutto colpisce la sua calma, la sua consapevolezza nel senso che pur avendo compreso di essere tradito, di subire un’ingiustizia, Gesù al tempo stesso consegnando il pane e il vino della cena pasquale dice: «Ecco la mia vita donata a voi». Il corpo come pane spezzato, il sangue versato come sigillo di un’alleanza che è per sempre.

Quindi c’è in Gesù una chiara consapevolezza, viene consegnato, tradito, ma al tempo stesso è lui si consegna, e questa è la tradizione, la vera tradizione. Però Gesù prova anche tristezza, delusione, anzi nel Getsemani è in angoscia e cerca il sostegno dei suoi amici più vicini e chiama a pregare insieme a sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Non ce la fa a pregare da solo, vuole qualcuno insieme. E quel calice che prima aveva offerto con serenità adesso diventa un calice di cui farebbe volentieri a meno!

Ma c’è un terzo atteggiamento di Gesù che sorprende ed è il suo silenzio: subisce in silenzio il processo di Caifa, dei capi dei sacerdoti e del Sinedrio. Gesù rimane in silenzio. In silenzio rimane di fronte agli sputi, agli schiaffi.

Ecco di fronte a queste cose è difficile riconoscere il figlio di Dio, perché Pietro e noi con lui, siamo abituati all’idea della potenza di Dio. Il primo testamento ha raccontato di un Dio che apre le acque del mar Rosso, che stermina l’esercito egiziano… un Dio al quale nulla è impossibile, un Dio che può divorare col fuoco i peccatori… Non solo, ma il Primo testamento educa il credente a credere che Dio odia il male con tutte le sue forze e per questo è un Dio che distrugge il male, lo annienta… da qui la collera di Dio, l’ira di Dio perché non c’è pace tra Dio e il male.

Tutto questo è vero e rimane vero, però davanti a Gesù, il figlio amatissimo, queste categorie vanno in crisi. Gesù rimane uno scandalo per chi lo ha seguito fin qui. Difficile accettare che il figlio di Dio sia debole, che non sappia farsi valere, non sappia difendersi… ecco il paradosso del Dio potente che in realtà appare assai debole. Gesù era stato annunciato come salvatore che vince il male e tuttavia sembra avere una voce così fievole che il male può soffocarla. Dio non annienta, Dio non distrugge, anzi si lascia irridere dalla scommessa di chi dice: Fa’ il profeta per noi, chi ti ha colpito?

Pietro non sembra rassegnarsi e a queste cose dobbiamo dargli atto che è un uomo generoso, ha appena ricevuto l’Eucaristia, sa che Gesù è in serio pericolo e cosa dice? Se dovessi morire con te! Quel «con te» è essenziale nella vita cristiana. Pietro lo dice credendo di conoscere Gesù, ma si sbaglia. Crede di avere l’idea giusta di Dio, ma non ce l’ha proprio, perché nessuno ha la vera idea di Dio, se non fino a quando ha conosciuto il Crocifisso.

E quando nel Getsemani Gesù lo chiama insieme a pochi altri a pregare insieme e vede il volto del Cristo spaventato e angosciato il dubbio diventa preoccupazione: questo sarebbe il Messia? Come può essere figlio di Dio un uomo così conciato? Ridotto a uno straccio? Nel sonno di Pietro c’è il sonno di chi non può accettare e non riesce a condividere. Gesù deve pregare da solo e ogni volta che sceglie i discepoli provoca uno choc. E poi, quando arrivano per arrestare Gesù, Pietro tira fuori la spada e sarebbe disposto a morire da eroe come ce ne sono stati tanti, ma non ci sta a morire senza alcuna reazione, senza tentare una qualche resistenza.

Eppure proprio lì viene sconfessato da Gesù stesso: Metti la spada nel fodero! In un incontro a Gerusalemme espressi a Martini il mio stupore non tanto per il gesto, ma per il fatto che Pietro girasse armato, mi sembrava potesse essere un problema bisognoso di una qualche spiegazione. Martini mi disse che probabilmente proprio perché Pietro e gli altri con Gesù frequentavano luoghi isolati in qualche modo dovevano difendersi dai delinquenti.

Comunque Gesù sconfessa pubblicamente Pietro che non capisce più nulla e si domanda perché mai il Signore lo abbia chiamato a seguirlo, se proprio voleva andare a morire. E così al v.56: «Tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono». Non biasimiamoli subito: noi saremmo scappati già da prima! I discepoli sono allo sbando. Pietro, la roccia, sembra sgretolarsi e non sa più nemmeno cosa si debba fare, non sa più chi è questo Gesù che viene abbandonato da Dio. Lo segue «da lontano», scrive Matteo. Non osa stargli vicino perché ormai non sa più che cosa deve fare… eppure non può non seguirlo. Pietro gli vuole bene, ma non sa cosa pensare. La risposta che dà alla serva: Non conosco quell’uomo, è una risposta vera, è anche, se vogliamo, un atto di vigliaccheria ma che non nasce dalla paura pura, bensì dallo smarrimento totale. Veramente non sa più chi sia questo Gesù, è un enigma per lui. Gli vuole bene, ma non sa più cosa pensare e cosa fare.

Gesù aveva avvertito Pietro che avrebbe vissuto una crisi terribile: Prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte. Quando sente il canto del gallo, la coscienza di Pietro si abbandona a un pianto liberatorio: «Non sono un vigliacco, solo ti voglio bene e non volevo che ti facessero del male. Ma tu Signore lo sapevi che sarebbe stato difficile per me, ma se hai voluto questi fatti e se corrispondono al tuo piano, allora significa che sono anche il piano di Dio».

Pietro piange amaramente, ma solo allora comincia a intravedere tra le lacrime che l’Eterno è capace di un amore simile, di un amore che si rivela nel Cristo schiaffeggiato, insultato, tradito da Giuda e rinnegato da lui stesso e che va a morire. E va a morire per me che sono un verme, che per tutta la vita non sono riuscito a capire cosa voleva.

E forse proprio adesso comprendiamo che se Gesù ha vissuto così, allora anche noi siamo chiamati a vivere così tra di noi, mettendoci al servizio gli uni degli altri; lasciandoci spezzare come il pane e lasciandoci consegnare perché la logica del potere e della violenza sono vinte solo dal di dentro, implodono su se stesse se il nostro amore si arrischia fino in fondo, fino al punto di lavarci i piedi gli uni gli altri.

Così noi che celebriamo l’eucaristia ogni domenica, e forse anche ogni giorno, non siamo esenti da questa drammatica esperienza: facciamo la comunione, ma non sempre capiamo Gesù, ci sia dato almeno di piangere amaro come Pietro!

Signore Gesù, tu sai che anche noi, come gli apostoli,

siamo portati a respingere il tuo messaggio difficile

e non sappiamo seguirti come e fin dove tu vai,

ma immaginiamo una sequela a nostro uso

e respingiamo quella sequela che tu prepari per noi ogni giorno.

Illumina, o Signore, la nostra mente,

riscalda il nostro cuore perché possiamo comprendere

ciò che tu vuoi da noi,

cioè la nostra povera offerta di fronte a te.