DOMENICA DI CRISTO RE - Ultima domenica dell’anno liturgico - Mt 25, 31-46


Domenica scorsa Gesù ci narrava il modo di regnare di Dio che non è assimilabile al modo in cui gli uomini re e le donne regine, regnano sui loro territori e possedimenti, perché Dio non usa violenza, non ricorre alla coercizione, non agisce con l’arroganza del potere che pure gli permetterebbe di dominare. Dio non è così.

Ebbene, allora com’è? La sorpresa che ci viene dal vangelo di oggi è che il massimo del potere che Dio ha è quello di umanizzarsi, di diventare umano.

A ben guardare già Daniele 170 anni circa prima di Gesù, intuiva una cosa del genere nel bel mentre dell’ennesima campagna militare contro Gerusalemme. Ci sarà un futuro diverso? Qual è il futuro che Dio ha in serbo per noi? Risposta: un figlio d’uomo! Un figlio d’uomo?

Ma anche qui, non si tratta di un figlio d’uomo dotato di super poteri, non è uno che viene come irromperebbe sulla scena l’eroe della mitologia che sconfigge le forze negative con eventi strepitosi e forze sovrumane… Siamo stanchi e disillusi, è stanca e disillusa l’umanità di questi superuomini che promettono cambiamenti e poi finiscono per replicare lo stesso schema di prepotenza e di odio, che in realtà non cambia l’umanità che pare invece essere sempre allo stesso punto.

La vera novità, il vero cambiamento sta nel fatto che viene un figlio d’uomo ma è un figlio d’uomo che prova la fame, la sete, che sale sui barconi della disperazione o sui pick-up che attraversano il deserto, che sta nudo e senza guardaroba, che sta piagato sul letto della malattia e della sofferenza, o addirittura che è in prigione.

Questi è Dio. E Dio in Gesù prende questa strada non perché indugi al pietismo, non fa così perché noi abbiamo a provare pietà e ci lasciamo imbonire per un istante, ma perché il cambiamento può avvenire soltanto se partiamo da lì, se avviamo un’alternativa umana non fatta di idee, di proclami, di teorie sociali, ma costituita dal popolo degli affamati, degli assetati, dei malati, dei forestieri…

Prima ancora di entrare nei dettagli delle singole condizioni elencate da Gesù, dobbiamo riconoscere che ne abbiamo sempre fatto una lettura individualista, anche di queste parole di Gesù. Non avvertiamo più la consistenza di essere popolo, di partecipare tutti allo stesso destino, alla stessa umanità, perché ognuno sta chiuso nel suo particolare, nel suo appartamento, oppresso dai suoi problemi.

Così succede che quando abbiamo a che fare con le strutture pubbliche ci pare di essere dei sudditi che devono solo pagare. Ci lasciamo trattare come animali da mungere.

Quando abbiamo a che fare col mercato, siamo solo dei consumatori da imbrogliare e da imbonire con illusioni che parlano sempre di vantaggi e di sconti, quando in realtà non è così.

Quando abbiamo a che fare con la religione, ci lasciamo opprimere dal senso di colpa che ci fa stare sempre un passo indietro senza mai assumerci la dignità di popolo di Dio. Come diceva quel presunto teologo sul terremoto: fa’ in modo che la gente si senta in colpa così la puoi portare in chiesa! Costui avrà anche studiato il catechismo, ma non ha letto il Vangelo.

Gesù si identifica in un popolo di affamati, di assetati, di forestieri, di sfigati… che non si lasciano ingannare da facili promesse e che non si lasciano opprimere, perché sono loro che possono cominciare un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza, della paura e della chiusura.

Quando Gesù si identifica in queste sei condizioni umane, non sollecita la nostra pietà, ma rivela la nostra dignità e lascia che la dignità dell’altro ci interroghi e ci provochi. E tutto questo è paradossale perché per un verso Gesù si presenta come il punto di convergenza di tutta la storia umana, il punto Omega, in lui confluiscono tutti i torrenti e rivoli, fiumi e ruscelli di umanità: è il Signore del tempo e della storia verso cui tutto si orienta. È il giudice di fronte al quale si palesano le contraddizioni della storia umana.

Una scena solenne, eppure appena voltiamo pagina, nel capitolo successivo questo Signore verso il quale confluisce tutta la storia umana, in realtà viene arrestato, processato, condannato e crocifisso. Ed è una situazione paradossale che rivela proprio in questa apparente contraddizione come Dio regna, qual è il modo in cui Gesù esercita la sua regalità.

È un re giudice e pastore che viene crocifisso e subisce la morte, ma che tornerà, e non solo tornerà alla fine della storia, continua oggi ancora a venire nel mentre si identifica con quelle situazioni umane che vengono ripetute come un ritornello, come se dovessimo impararle a memoria: Gesù sta con il popolo degli affamati, degli assetati, dei forestieri, dei malati… per far saltare il primato del denaro e mettere di nuovo al centro l’essere umano.

Ieri papa Francesco, nel terzo incontro mondiale dei movimenti popolari diceva due cose che ci devono far riflettere e che interrogano il modo di essere cristiani per noi oggi. Anzitutto diceva che nonostante siamo di fronte a un certo sviluppo, dobbiamo registrare anche una certa atrofia, una certa paralisi.

Dobbiamo aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale. Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune “protesi” cosmetiche che non sono vero sviluppo: crescita economica, progressi tecnologici, maggiore “efficienza” per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano inglobandoci tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto… Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato, di questa casa comune.

E poi diceva una seconda cosa, evidente e sotto gli occhi di tutto il mondo perché ogni volta che incrociamo gli occhi dei bambini chiusi nei campi profughi dobbiamo riconoscere l’evidente “bancarotta” dell’umanità.

Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente. La paura indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro.

Se c’è un’immagine di quello che deve essere il popolo di Dio oggi e che potremmo tenere nel cuore, è l’immagine che suggerisce Luigi Pintor, un non credente, quando scrivendo la sua biografia “Servabo” e parlando della malattia della moglie, dice: «Non c’è in una vita intera cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi».

Non dice che bisogna chinarsi per rialzare l’altro, ma dice che bisogna chinarsi affinché l’altro, usandoti come sostegno, si possa rialzare.

Tocca a noi decidere se vogliamo essere parte del popolo che sta dalla parte dell’umanità di Dio, o se invece lasciamo che le nostre coscienze, le nostre vite, i nostri cuori si atrofizzino, si paralizzino.

Non è una scelta indifferente, perché scegliendo di stare dalla parte dell’umanità di Dio, entriamo in una logica di corresponsabilità, di necessità del cambiamento, e non ci rassegniamo a chiuderci nel nostro piccolo mondo. Altrimenti, vuol dire che anche noi entriamo a far parte di quelli che costruiscono muri. Muri che rinchiudono alcuni e che esiliano altri. E così abbiamo cittadini murati, terrorizzati, inchiodati dalla paura

Una paura che viene alimentata, manipolata… Ma la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli, cinici e indifferenti.

Sempre ieri papa Francesco invitava a pregare per tutti coloro che hanno paura, preghiamo Dio, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti. Dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura. Preghiamo che Dio dia loro coraggio e che in questo anno della misericordia possa ammorbidire i nostri cuori.

La misericordia non è facile, non è facile… richiede coraggio. Per questo Gesù ci dice: «Non abbiate paura» (Mt 14,27), perché la misericordia è il miglior antidoto contro la paura. E’ molto meglio degli antidepressivi e degli ansiolitici. Molto più efficace dei muri, delle inferriate, degli allarmi e delle armi. Ed è gratis: è un dono di Dio. Cari fratelli e sorelle, tutti i muri cadono. Tutti. Non lasciamoci ingannare.

(Dn 7, 9-10.13-14; Mt 25, 31-46)