DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Mt 21, 10-17
(Mt 21, 10-17)
Ascoltando il racconto di Matteo non ho potuto fare a meno di collegare quanto ha fatto Gesù nel tempio di Gerusalemme, con quanto ha fatto e ancora sta continuando a fare papa Francesco per la Chiesa e nella Chiesa. Pensiamo all’insistente richiamo alla conversione del nostro modo di essere cristiani, sia laici, preti o vescovi; ma penso anche al coraggio di intervenire sulle strutture stesse della Chiesa, affinché siano a servizio del Vangelo di Gesù e non al servizio del potere, delle invidie e della meschinità mondana.
Cerchiamo anzitutto di comprendere l’intenzione di Gesù nel compiere questo gesto di entrare nel tempio e di scacciare i venditori e rovesciare tavoli e sedie… perché se alla fine del cap. 21 Matteo scrive: I capi dei sacerdoti e i farisei cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla perché lo considerava un profeta (v.46), conferma che Gesù ha fatto un gesto dirompente.
È una scena che sorprende anche noi perché Gesù si è sempre presentato tranquillo e pacato, anche se deciso e determinato nel dire le cose senza paura delle reazioni. Vederlo oggi ribaltare tavoli e sedie ci deve far pensare che forse proprio questa cosa era importante per lui. Tanto importante che anche il Figlio di Dio ha perso la pazienza!
Perché Gesù agisce in questo modo? Cosa vuole dirci davvero? Ci aiuta il ricordo di papa Paolo VI, oggi beato, che nell’Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) rimettendo al centro l’annuncio del Vangelo, diceva: «Il mondo esige e si aspetta da noi semplicità di vita, spirito di preghiera, carità verso tutti e specialmente verso i piccoli e i poveri, ubbidienza e umiltà, distacco da noi stessi e rinuncia. Senza questo contrassegno di santità, la nostra parola difficilmente si aprirà la strada nel cuore dell’uomo del nostro tempo, ma rischia di essere vana e infeconda (EN 76). Il Signore entra nel tempio e ribalta tavoli e sedie per dirci: Guardate di convertirvi, smettetela di vedere gli errori fuori di qui e negli altri, il Vangelo prima ancora di essere oggetto di annuncio all’esterno, è per noi, per la nostra conversione. Occorre una chiesa sottomessa al Vangelo e che proprio per questo si fa materna e misericordiosa verso tutti…
E noi che oggi celebriamo in diocesi la festa della Dedicazione del Duomo, della casa della chiesa diocesana, ci lasciamo raggiungere dalla provocazione di Gesù e ci chiediamo: se venisse papa Francesco oggi nel nostro Duomo, cosa ci direbbe? Quali tavoli e sedie ribalterebbe? Quale appello rivolgerebbe a noi cristiani di Milano?
Forse le stesse cose che Gesù ha detto nel tempio ai suoi frequentatori e ai suoi organizzatori, ovvero che sia casa di preghiera, che sia povera (ne fate un covo di ladri), ma anche una terza, che è il gesto di Gesù stesso, quando raccoglie intorno a sé ciechi, storpi e bambini.
Potremmo dire che queste sono le tre conversioni per la chiesa milanese di oggi: diventare casa di preghiera, chiesa povera e chiesa dei poveri, appunto dei ciechi, storpi e bambini.
Perché povera? Perché, dice papa Francesco, l’alternativa è chiara, se non è povera è mondana. Scrive nella Evangelii gaudium: «Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”.
In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi.
In altri, la medesima mondanità spirituale si nasconde dietro il fascino di poter mostrare conquiste sociali e politiche, o in una vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, o in un’attrazione per le dinamiche di autostima e di realizzazione autoreferenziale.
Si può anche tradurre in diversi modi di mostrarsi a se stessi coinvolti in una densa vita sociale piena di viaggi, riunioni, cene, ricevimenti. Oppure si esplica in un funzionalismo manageriale, carico di statistiche, pianificazioni e valutazioni, dove il principale beneficiario non è il Popolo di Dio ma piuttosto la Chiesa come organizzazione.
In tutti i casi, è priva del sigillo di Cristo incarnato, crocifisso e risuscitato, si rinchiude in gruppi di élite, non va realmente in cerca dei lontani né delle immense moltitudini assetate di Cristo. Non c’è più fervore evangelico, ma il godimento spurio di un autocompiacimento egocentrico» (95).
Anche nella chiesa ambrosiana è vivo un certo sentimento di autocompiacimento e di autoreferenzialità… anche la chiesa ambrosiana si presenta come una chiesa potente di mezzi e di numeri, ma Francesco vuole una chiesa semplice, perché così la vuole Gesù.
Infatti è solo una chiesa povera che diventa capace di stare con i poveri, come fa Gesù nel vangelo che nel tempio accoglie ciechi, storpi e bambini. Non si tratta di una chiesa che fa delle cose «per» i poveri, ma di una chiesa fatta dai poveri, dalle povertà dei suoi figli che sono poveri di relazioni, di futuro, di speranza… quante povertà! E ognuno con la propria.
Anche il Sinodo straordinario che si è appena concluso ha voluto dire una parola di speranza perché Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce di una fiaccola portata in mezzo alla gente… (28) e si è parlato appunto dei divorziati, dei separati e delle coppie e famiglie ferite. Come pure delle persone omosessuali che, dice il Sinodo, hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana. Come può la chiesa accogliere nella fraternità se non è povera e misericordiosa?
Infine c’è la terza conversione della chiesa, quella conversione cui Gesù stesso ricorda essere la funzione del tempio, ovvero «casa di preghiera». Pare strano che Gesù debba richiamare il tempio e la chiesa ad essere casa di preghiera, diamo per scontato che lì si preghi e che si sappia pregare. Forse perché noi pensiamo che pregare coincida con il «dire le preghiere», oppure sia corrispondente e a certi stati d’animo di spontaneità, di emozione…. Ma non è così semplice né scontato.
Infatti Gesù con le parole di Isaia dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera (per tutti i popoli 56,7), nel senso più immediato che nel tempio, come in una chiesa si viene a pregare, qui si impara a pregare. La stessa liturgia cristiana è una scuola di preghiera, ma non è su questo che mi soffermo, anche perché Gesù in rapporto al tempio annuncerà che non ne rimarrà pietra su pietra (Mt 21), relativizzando quindi la costruzione, perché il punto d’incontro tra Dio e noi, è lo stesso Gesù. È lui il nuovo tempio che gli avversari vorranno distruggere e crederanno di averlo fatto, ma lui il terzo giorno è risorto!
In questo senso i cristiani sono coloro che non hanno più tempio: con la venuta di Cristo un tempio materiale, un edificio non è più il segno per eccellenza della presenza di Dio tra noi. Il nostro modo di incontrare Dio non sarà più di salire al tempio. Del resto anche gli israeliti potevano recarvisi e svolgervi riti splendidi, spettacolari, suggestivi, ma senza portarvi il cuore e quindi senza realizzare una vera comunione con Dio. Il luogo della presenza di Dio per noi, in cui Dio è si manifestato e in cui possiamo incontrarlo è l’umanità di Gesù. Il tempio è l’umanità di Gesù.
La preghiera sarà allora il punto d’incontro tra l’umanità di Gesù e la nostra umanità, il luogo dell’incontro con Dio è il legame che c’è con Gesù Cristo. Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv 14,9) e ancora una volta non anzitutto con gli occhi o con le parole, ma rileggendo nel Vangelo la nostra vita, la verità di noi stessi…
Mi vengono alla mente le parole di Montini quando, rivolgendosi alla Diocesi con la lettera pastorale (1955), compose questa stupenda preghiera:
“O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario: per vivere in Comunione con Dio Padre;
per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi;
per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Tu ci sei necessario,
o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,
per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla;
per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;
per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano,
per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini,
i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.
Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza
e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario, o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione,
e per avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per imparare l’amore vero e camminare nella gioia
e nella forza della tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa,
fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli”.
Preghiamo insieme perché la nostra chiesa sia casa di preghiera, sia chiesa povera e sia chiesa di poveri.