III DI AVVENTO - Lc 7, 18-28


Per comprendere l’angosciata domanda di Giovanni a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?», dobbiamo anche noi scendere con  lui nel buio della prigione di Macheronte nella quale è rinchiuso.

Il profeta, quel libero spirito del deserto che gridava l’arrivo della giustizia di Dio, ora è ridotto all’impotenza, non può battezzare più nessuno e le sue parole rimangono soffocate dentro le pareti della sua cella, represse dalla prepotenza di Erode.

Come se non bastasse la prova del carcere, Giovanni è sconvolto da quello che gli viene riferito su Gesù di Nazaret, al punto che sembra dire: «Ma come io ti ho annunciato e presentato come “Colui che sta per venire in Israele e per Israele” (cfr. At 13,23-24), io ho dato fiato alle voci dei profeti, ho annunciato il tempo dell’ira di Dio, il suo giudizio è imminente, la scure è posta alla radice degli alberi, le piante infruttifere saranno presto tagliate e gettate nel fuoco, un battesimo in Spirito Santo e fuoco brucerà le scorie come il ventilabro ripulisce l’aia.

Sono ormai trascorsi parecchi mesi, sono in prigione e la scure si sta avvicinando al mio collo più che a quello dei malvagi! Sarebbe questa l’ora in cui Dio premia i giusti e punisce gli empi? Non sono sempre i deboli a pagare il caro prezzo dell’ingiustizia?

E sento dire dai miei discepoli che vengo­no a trovarmi, che tu Gesù di Nazaret vai insegnando qua e là, guarisci i lebbrosi che incontri e qualche malato o paralitico, scacci gli spiriti immondi, te la intendi e mangi e bevi con i pubblicani, ti metti intor­no un’accozzaglia eterogenea di discepoli, hai guarito anche il servo di un centurio­ne romano, vai perdonando i peccatori…

Sembri essere un messia che pesca con la lenza, invece di fare la grande retata salvifica dei figli di Israele! Ma non ti accorgi che la situazione del mondo resta quella di prima?

Dove sta il fuoco del fonditore, la lisciva dei lavandai, la purificazione definitiva dei figli di Levi, il culto finalmente gradito al Signore, come quello degli anni lontani?

Dove sta il mondo nuovo, la liberazione di Gerusalemme dal pec­cato e dall’empietà? Dove è la visita dell’Eterno al suo popolo, di cui ci par­lano i profeti e tutte le Scritture?

Io, sembra dire Giovanni, non amo alimentare le critiche che si vanno spargendo alle tue spalle sul tuo conto, e con questa ambasceria ti pon­go apertamente la questione di fondo: Sei tu quello di cui io ho parlato, colui che sta venendo, o dobbiamo aspettare un altro ancora?».

Questo sembra essere il pensiero di Giovanni sotteso alla domanda che pone a Gesù.

Ed è anche il nostro pensiero quando scendiamo nel buio della prova, della delusione, della sofferenza e del dolore: che Dio non faccia quello che vogliamo noi è un dato di fatto. Dio non fa ciò per cui lo preghiamo: «Signore ti chiedo una grazia, un segno, un miracolo…».

Così molta gente attraversando la notte della prova per un dolore, per una sofferenza, non approda alla fede, anzi se ne allontana arrabbiata, disgustata e indurita nel cuore: «Ho pregato il Signore e non mi ha ascoltato! Non ha fatto quello che gli ho chiesto!»… e allora non crede più.

Giovanni non perde la fede perchè Gesù non fa quello che gli chiede, Giovanni non è una canna di bambù piegata da ogni avvenimento, piuttosto è come una quercia che resiste alle intemperie.

La prova che sta attraversando non gli fa perdere la fede in Dio, ma gli insegna a rileggere la Scrittura a partire da come agisce e come parla Gesù, non il contrario: è il Cristo il criterio di comprensione delle Scritture, è nel suo modo di essere che conosciamo il modo di essere del Padre.

Gesù dà la prova che la scure del giudizio divino non è l’ira, ma la misericordia. L’ultima parola di Dio non è la condanna, ma il perdono. La visita del Messia non è il fuoco che distrugge, ma quello dello Spirito che vivifica.

Questa mi sembra la prima grande perla della parola di Dio di oggi: la prova della fede, il dolore della vita, le aspettative deluse nei confronti dell’Eterno, non mettono in discussione la fede, ma mettono in discussione l’immagine che noi ci siamo fatti della fede e di Dio stesso.

Non solo, ma se anche per un attimo andassimo dietro all’ipotesi di Giovanni che Gesù non sia colui che deve venire, la conseguenza sarebbe drammatica per lo stesso Giovanni che si troverebbe costretto a domandarsi: «Allora chi sono io?».

Giovanni si troverebbe costretto suo malgrado a rimettere in questione la sua vita, oltre quella di Dio.

«Se l’immagine di Dio non è quella che avevo in mente io, allora chi sono io? Un illuso? Un visionario? Un esaltato fuori dal tempo e dalla storia?».

E la cosa ci riguarda da vicino perchè se Gesù non fosse il Cristo, chi saremmo noi? Che cosa sono io senza il Cristo? Potrò essere un uomo religioso, ma senza fede! Chi sono io senza Cristo?

Rispondere a questa domanda è la discriminante tra l’ideologia e la sequela, tra fede e religione. O io seguo la mia idea di Cristo e paradossalmente chiedo a lui di fare quello che ritengo giusto, oppure imparo da lui che apre gli occhi ai ciechi, che fa camminare gli zoppi, che purifica i lebbrosi, fa udire i sordi, risuscita i morti e annuncia il Vangelo ai poveri. Se imparo a seguirlo allora anch’io mi prenderò cura dell’altro, perchè se questo fa il Cristo, a maggior ragione lo farà anche il cristiano.

Un pomeriggio sul piazzale della chiesa, rivedevo una coppia di giovani genitori che portavano al parco giochi il loro piccolo, affetto dalla sindrome che noi chiamiamo «Down», dal nome di chi ha descritto questa patologia, ma che suggerisce anche l’idea di qualcosa o di qualcuno che va in basso, che è giù… Un bimbo peraltro che i genitori hanno fortemente voluto e accettato.

Perchè un conto è volere e un conto è accettare: un figlio lo vuoi volentieri, lo cerchi a tutti i costi, ma accettare che sia down è un’altra cosa. È un bimbo meraviglioso, amatissimo, il suo sorriso è strepitoso!

Dopo che abbiamo parlato e si sono allontanati, mi si avvicina un signore «normale» e mi dice: «Com’è triste che ci siano dei bambini così».

Questo è un esempio di cecità. Il signor «normale» è cieco, perchè incapace di vedere la felicità del piccolo sulle spalle del papà che lo porta al parco giochi. Il signor «normale» guarda la realtà attraverso le sue teorie e la sua ideologia. Quel piccolo è molto più felice di lui!

Noi ci costruiamo delle gabbie mentali nelle quali costringiamo la realtà così come la vorremmo, classifichiamo le persone prima ancora di averle ascoltate, fabbrichiamo pregiudizi, guardiamo i fatti attraverso i nostri schemi e non sappiamo vedere la gioia nel sorriso di un bimbo.

Non è che a forza di dirci cristiani e credendo di esserlo, ci siamo vaccinati, ci siamo resi immuni e indifferenti allo scandalo del Vangelo?

Il vangelo è uno scandalo ancora oggi per chi lo vive. Ma davvero domandiamoci: cosa siamo noi senza il Cristo?

Senza un Dio che si curva sulle nostre ferite, sulle nostre incapacità e ci rialza, chi siamo noi? Anzi, con un Dio così dobbiamo chiederci chi sia il vero prigioniero: Giovanni il Precursore o Erode Antipa? Chi è la persona felice: il signor «normale» o quel piccolo “down” sulle spalle del papà?

(Is 45, 1-8; Rm 9, 1-5; Lc 7, 18-28)