III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59
(Gv 8, 31-59)
Può esserci di aiuto nel meditare sulla pagina di oggi, che appare complessa, partire dalla cornice per poi entrare nel tema del quadro. Cominciamo osservando quanto si dice all’inizio e quello che accade alla fine del brano evangelico.
All’inizio Gesù si rivolge a quei Giudei che gli avevano creduto. Gesù parla con gente che sembra disposta ad ascoltarlo. Tuttavia di quegli stessi Giudei nell’ultimo versetto si dice che raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui. Cosa è successo? Come è possibile passare così rapidamente da un atteggiamento di fede nei confronti del Signore, a volerlo lapidare? Anzi dovremmo domandarci: ma in che cosa credevano costoro se prima si dispongono ad ascoltare Gesù e poi lo vogliono eliminare?
Avevano creduto nelle parole di Gesù, certo non avevano creduto in lui. Credere in lui non è affatto una questione di parole, ma è questione di pratica, di vita concreta.
Che la fede sia ridotta a una questione di parole, accade fino ad oggi in maniera anche troppo facile. Ce ne rendiamo conto anzitutto quando ci guardiamo intorno: molti che pure a parole si dicono non credenti, in realtà sembrano ai nostri occhi più credenti di molti che invece sono praticanti. E viceversa.
Ce ne rendiamo conto guardandoci intorno, ma ce ne rendiamo conto anche, e anzi soprattutto, guardandoci dentro. Il dubbio che la nostra stessa fede possa essere soltanto una questione di parole ci appartiene. Quel dubbio qualche volta affiora alla coscienza e lo allontaniamo magari in fretta, perché potrebbe farci soffrire e costringerci a rivedere alcune abitudini, alcuni giudizi e a ripensare ai nostri modi di essere.
E oggi nel nostro cammino quaresimale siamo messi nella condizione di dare spazio a questo interrogativo e di chiederci: «Cosa cambierebbe nella mia vita, se non credessi più?» e ancora: «Che cosa sarei io senza di te Signore?».
Nel caso in cui la nostra risposta dovesse essere: «Non cambierebbe quasi nulla; cesserei certo d’andare in Chiesa; ma negli impegni di tutti i giorni, tutto continuerebbe ad andare avanti come adesso», – allora dovrei concludere che la mia fede è solo una questione di parole.
E proprio qui, a questo punto tocchiamo il tema centrale del quadro: questa non è la fede di Abramo, di cui pur tanto si vantano gli interlocutori di Gesù. «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo» dice loro il Signore.
Quali sono le opere di Abramo?
Abramo credette alla promessa di Dio e ci credette fino alla morte senza aspettarne la conferma, perché di fatto la terra promessa non diverrà mai la sua terra. Andrà prima a Betel, poi nel Negev, poi in Egitto e poi in Edom senza mai possedere nulla. Chiamato alla fede, Abramo vive di fede e nella fede muore, unico possesso sarà quel pezzo di terra dove sorge la caverna di Macpela nella quale seppellisce la moglie Sara e dove poi sarà seppellito lui stesso.
Una seconda opera significativa di Abramo è quando alle querce di Mamre accoglie la visita dei tre ospiti sconosciuti. È l’ora più calda del giorno, l’ora della siesta eppure imbandisce la tavola e ai mette lui stesso a servire gli stranieri. C’è qui il grande esempio di ospitalità biblica nella quale si rivela il mistero della presenza di Dio in ogni incontro con l’estraneo, con il forestiero, con lo straniero e che Gesù tradurrà in quell’avevo fame, ero forestiero, ero malato… (Mt 25).
Un’altra opera importante è la preghiera nella quale Abramo intercede presso Dio affinché non distrugga Sodoma, la città peccatrice. Abramo intercede con l’Eterno, considerando la possibilità di trovare magari nella città cinquanta giusti, o forse quaranta, trenta, venti… fino a ipotizzarne dieci. Ecco, Dio – a causa dei giusti – è disposto a perdonare. Gesù porterà a pienezza questa opera annunciando il perdono e la riconciliazione come le uniche possibilità di futuro e di rigenerazione non solo della Chiesa, ma della stessa società.
L’ultima opera di Abramo, che penso ricordiamo di più, è quando dopo aver finalmente avuto un figlio, Isacco, riceve dal Signore l’ordine di sacrificarlo. È questa una notte oscura per Abramo: deve accettare che quel Dio su cui poteva contare, il suo Dio, disponga di lui e lo contraddica nelle cose più care. L’Eterno saggia cosa c’è veramente nel suo cuore, di quale fede sia capace. Messo di fronte al caso limite Abramo crede e obbedisce.
Dunque la testimonianza di Abramo è lì a ricordarci che la fede non sono le parole che diciamo, ma sono i fatti: l’ospitalità, il perdono, il dono di noi stessi.
Ed è alla testimonianza di fede di Abramo che Gesù rimanda i Giudei che avevano creduto in lui, a loro chiede una verifica pratica della loro fede: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Rimanere fedeli alla parola significa appunto metterla in pratica ed è così che si è davvero suoi discepoli. Soltanto a prezzo di una tale conversione sarà possibile conoscere la verità, che è Cristo stesso, e conoscere lui, senza limitarsi a credere a delle parole, rende liberi.
Perché libero davvero è chi può dare la vita per ciò in cui crede. Una libertà così intesa chiede altro che la possibilità di seguire i propri desideri spontanei. La spontaneità è vaga e fluttuante: quello che in un certo momento convince, il giorno dopo non convince più. Libero davvero è soltanto chi ha una verità certa e non voglie mutevoli.
Chi non ha una verità certa, è schiavo, anche se può fare tutto quello che gli pare. Egli infatti fa ciò che neppure conosce. Proprio perché fa quello che non sa, fa quello che neppure vuole; se ne accorge solo dopo. In tal senso appunto è schiavo del suo peccato. Il peccato infatti consiste nel lasciare che la nostra vita sia trascinata da desideri e pensieri, che non sono scelti e diventano come un padrone sconosciuto.
Facciamo fatica a comprendere questa verità, come già facevano fatica quei Giudei. Effettivamente, è cosa difficile da comprendere. Ma quasi tutto quello che conta nella vita è difficile da comprendere.
Vediamo ogni giorno in molti modi che il risentimento, l’invidia, la voglia invincibile di umiliare l’altro che è migliore di noi, e mille altri sentimenti vili come questi ci comandano e noi non sappiamo come sottrarci alla loro tirannia. Appunto dal risentimento sono guidati i Giudei, che, dopo aver creduto per un attimo nelle parole di Gesù, prendono le pietre per ucciderlo.
Dio ci renda lungimiranti, capaci di vedere la nostra schiavitù, e dunque anche desiderosi di esserne liberati. Troviamo in questa settimana il tempo per fermarci e nel silenzio lasciarci raggiungere dalla domanda che ci aiuta a fare verità dentro di noi: Cosa sarei io senza di te Signore?