V DI PASQUA - Gv 17, 1b-11
Che cosa chiederemo al Signore oggi? Quale sarà la domanda che gli rivolgeremo nella nostra preghiera? Ognuno di noi si presenta a lui col proprio fardello di gioie e dolori, di speranze e di bisogni chiedendogli un aiuto, un sostegno, una grazia… abbiamo sempre qualcosa da chiedere all’infinita misericordia di Dio.
Se poi uno è anche bravo riesce a farsi voce anche del dolore del mondo per presentare al Signore il grido dei giusti perseguitati, dei piccoli non amati, delle donne sfruttate… affinché faccia qualcosa lui, visto che noi proprio non ce la facciamo a cambiare il mondo.
Ora, se c’è una cosa che non possiamo mai smettere di fare, è proprio partire dall’ascolto ciò che si muove dentro di noi per poi comprenderlo alla luce del vangelo e domandarci: cosa fa Gesù? Qual è la sua preghiera?
Poteva pregare per sé, per avere salva la vita: il momento era drammatico, siamo nel Cenacolo o nel Getsemani non sappiamo, e aveva tutti i motivi per chiedere un intervento decisivo e importante.
Invece in questa bellissima e intensa preghiera tratta dal cap.17 del vangelo di Giovanni – abbiamo ascoltato solo la prima parte -, Gesù nel suo alzare gli occhi al cielo, ancor prima delle parole, invita noi che siamo tirati di qua e di là da tante cose, ad accogliere una prospettiva altra. L’alzare gli occhi al cielo di Gesù ha un valore evocativo potentissimo: il Signore orienta la sua mente e il suo cuore verso il Padre, perché anche noi abbiamo a orientarci nella stessa direzione.
Nel momento drammatico, di più alta tensione nella sua vita, Gesù si ritira in un giardino come a cercare quella pace che il contatto con la natura può ancora trasmettere e inoltre cerca anche la compagnia degli amici e delle persone che ama.
Infatti siamo fatti così: di relazioni con le persone che amiamo e di relazioni con il mondo e il creato, ma c’è una relazione che è la dimensione più profonda della vita spirituale ed è la relazione con il Padre.
Nel rivolgere gli occhi al cielo Gesù non si ripiega su sé stesso, ma apre la vita sulla dimensione spirituale, quella dimensione che ingloba le altre e le comprende…
Inoltriamoci un poco dentro questa relazione di Gesù col Padre e chiediamoci cosa sta a cuore a Gesù? Cosa chiede al Padre? Chiede le stesse cose che chiederemmo noi?
A me colpiscono due domande che Gesù rivolge al Padre: la prima è il ricorrere di questo verbo glorificare. Sta andando alla morte e alla morte di croce e Gesù parla della sua ora come l’ora della gloria. Come a dire che l’ora della croce è l’ora della gloria. Una considerazione che non corrisponde proprio alla nostra idea di gloria, che equivale piuttosto al successo, alla fama, alla notorietà… tutte cose che da sempre l’uomo insegue per sentirsi pienamente vivo e realizzato.
Mentre si appresta a consegnare la propria vita, Gesù dice ai discepoli che la gloria è vera non quando è rivolta a sé stessi, quando accresce il proprio io e la propria superbia, ma come fa Dio e come ha fatto Gesù stesso, si manifesta quando esprime l’amore estremo per noi.
Ora al termine della sua vita Gesù si pone davanti al Padre come il Figlio che ha portato a termine la missione ricevuta di manifestare di quale amore è capace Dio, un amore che paga a caro prezzo. Questa gloria del Padre, è la gloria di Gesù.
Curiosamente in ebraico il termine gloria indica letteralmente il peso di Dio (kabod), vale a dire la sua consistenza nella storia… che non è appunto la fama, la potenza, i denari, il successo… ma il peso di Dio nella storia umana è il grande amore con cui ci ha amati in Cristo e continua ad amarci, fino a donare se stesso, la sua vita.
È evidente il contrasto con la gloria del mondo: se vuoi la gloria del mondo devi emergere sugli altri, devi sgomitare e ricavare il tuo posto e il tuo ruolo per essere considerato, per essere apprezzato. La tua gloria ha come prezzo l’umiliazione di altri, di tanti altri. Lo vediamo ogni giorno: se sei un dittatore conquisterai la tua gloria calpestando i diritti umani. Se sei avido, guadagnerai la tua fama sfruttando il lavoro degli altri. Se sei narciso accrescerai la tua fama sull’umiliazione di chi è tuo competitor.
Gesù ci riposiziona in una dimensione spirituale che non è affatto evanescente e fuori dalla realtà, anzi, se la gloria di Gesù è la sua croce, vuol dire che per amare davvero devi metterci del tuo, devi pagare il prezzo del tuo orgoglio, della tua superbia, del tuo narcisismo.
La gloria di Dio non è fatta di incenso e di turiboli, di processioni e di stucchi dorati… ma è la capacità di amare fino al dono di sé.
C’è una seconda cosa che Gesù chiede al Padre nella sua preghiera e che è ben espressa proprio nel versetto finale: Padre santo, custodiscili nel tuo nome perché siano una cosa sola, come noi.
Gesù, consapevole di ciò cui sta andando incontro, porta nella sua preghiera coloro che lo hanno seguito e che lui ha amato, i discepoli e le discepole, gli apostoli e gli amici. E questo appare molto umano, un sentimento nel quale anche noi riusciamo a identificarci.
Ma la consapevolezza del Signore dice anche altro, perché conosce bene il nostro cuore e sa di dover chiedere al Padre qualcosa che i suoi amici non sapranno custodire, qualcosa che faranno fatica a realizzare: che siano una cosa sola, che siano uno. Finché c’era lui presente era la sua persona motivo di unità nonostante le diversità, ma ora che lui non sarà più fisicamente con loro, chiede al Padre il dono dell’unità.
Per di più un’unità fondata sul come noi, dice Gesù. Da non intendere alla maniera di un paragone, piuttosto come fondamento: siccome il Padre, il Figlio e lo Spirito sono una comunione profonda nella loro diversità, è desiderio di Gesù che lo siamo anche noi.
Gesù riconosce che, prima di essere uno sforzo degli uomini, l’unità ha la sua fonte e il suo modello nell’unità di Dio stesso.
Dunque non l’unità della fusione dove ci si annienta, nemmeno quella dell’uniformità, per cui non si danno differenze e tutti la pensano alla stessa maniera. Ma una comunione nella diversità, un’unità nella sinfonia delle storie e delle consuetudini diverse, degli stati di vita e delle scelte personali diversi, come recita un principio caro ad Agostino che non fa male ricordare oggi: «In certis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas».
Nelle cose certe l’unità, nelle cose dubbie la libertà, in tutto e sopra tutto l’amore.
Principio che vale anche nelle relazioni tra le chiese dove le parole di Gesù: Che tutti siano uno, sono diventate la parola d’ordine del movimento ecumenico.
Ma prendiamo ad esempio il fatto che oggi celebriamo la Pasqua con i fratelli e le sorelle ortodosse: purtroppo abbiamo ancora date diverse per celebrare la Pasqua, ma pur avendo tradizioni diverse, celebriamo lo stesso Gesù risorto.
L’unità delle chiese, come quella delle persone d’altronde, così come la invoca Gesù, è essere uno nello spendersi per amore, è il convergere nell’amore in quanto questa è l’unità che sussiste tra lui e il Padre e lo Spirito.
Quel come noi non è uniformità, né omologazione, non cancella le differenze.
Ora raccogliendo questo invito di Gesù, di quale unità saremo capaci? Quella che abbiamo in testa noi? Ma ognuno di noi ha un’idea diversa.
Gli antichi cristiani ricorrevano alla metafora delle pietre vive, non dei mattoni che compongono un edificio. Ora mentre i mattoni sono uguali, le pietre sono diverse, ognuna a proprio modo. L’unità dei cristiani, l’unità della famiglia umana non è l’uniformità dei mattoni, come quella che vorrebbero alcuni, ma delle pietre.
La tendenza mondana è quella di fare unione omologando le persone, riducendole a massa, a folla, dove paradossalmente vige l’ognuno per sé e non c’è comunione, ma solo rivalità, guerre, violenze. L’uniformità non crea comunione, ma paradossalmente divisione e competizione.
Invochiamo il dono dello Spirito perché non diventi vero anche per noi il rimprovero di Stefano ai suoi contemporanei: Testardi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito santo.
Se questa è stata la domanda di Gesù al Padre nelle sue ultime ore di vita, è perché anche noi teniamo viva questa tensione spirituale: il Signore prega perché noi siamo uniti come lui, il Padre e lo Spirito così da immergere l’umanità nell’oceano dell’amore, che è la gloria di Dio, questa sì è una gloria che sa tenere insieme il tutto.
(At 7; Gv 17,1-11)