II DOPO PENTECOSTE - Mt 6, 25-33


Penso che tutti noi ci ritroviamo in queste parole di Gesù, infatti partecipiamo all’affanno e alla preoccupazione di tanta la gente. È anche vero che forse fino qualche tempo fa le persone nascondevano meglio questa ansia, mentre oggi la si vede scritta sui volti, sono tanti infatti coloro che incontriamo per strada o in metropolitana con il volto segnato da mille preoccupazioni.

D’altra parte ci verrebbe da dire: ma come si fa di questi tempi a non avere preoccupazioni, a non affannarsi? Bisognerebbe vivere fuori dal mondo!

Cosa ci insegna Gesù, oggi?

Le immagini sono molto belle: gli uccelli del cielo, i gigli del campo, l’erba verde del prato, e poi ci sono le azioni che dicono il lavoro e  l’impegno dell’uomo e della donna: seminare, mietere, organizzare i granai e poi la tessitura e la filatura … tutto è accompagnato dall’imperativo: non preoccupatevi!

Un imperativo formulato in maniera negativa per dire quello che non bisogna fare e sostenuto dalla motivazione: il Padre vostro sa che ne avete bisogno, ed è da questa motivazione che Gesù ci conduce all’imperativo positivo: cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia. È questo il punto d’arrivo del discorso del Signore.

Gesù non ci invita ad una sapienza umana che sappia abbandonarsi alla provvidenza che regola il corso naturale delle cose: sarebbe superficiale una lettura di questo genere perché la provvidenza di Dio suppone naturalmente la collaborazione dell’uomo, così come gli uccelli del cielo vanno a cercare il cibo e i gigli del campo affondano le loro radici nella terra per trarne alimento, ad ognuno di noi è chiesto di fare del proprio lavoro una collaborazione alla creazione. Gli uccelli del cielo sono un esempio non di pigrizia, ma di libertà dall’ansia.

Non dobbiamo neanche pensare che il Signore ci inviti a non prendere in considerazione le nostre preoccupazioni per nasconderle o soffocarle, come succede a molte persone che ricorrono in modo spregiudicato ai farmaci, o le affogano nell’alcool o nelle droghe, non è questa la via che Gesù ci propone, non si tratta di non guardare in faccia le nostre preoccupazioni e ansietà.

Neppure mi sembra che Gesù ci insegni quell’atteggiamento fatalista tipico di chi magari non crede e di fronte alle preoccupazioni della vita, a un problema di salute o altro, si abbandona al destino: è così e bisogna semplicemente prenderne atto. È un atteggiamento nobile, ma che non può dare pace.

Se noi comprendiamo il discorso di Gesù a partire dall’ultima sua frase, ci rendiamo conto che la riflessione deve farsi più impegnativa: cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia.

In questione è il regno di Dio, non immediatamente la nostra tranquillità e la nostra pace quotidiana. Quel regno di Dio che è il cuore della predicazione di Gesù e non è un caso che il cartello posto sulla sua croce dichiari: Questi è Gesù il re dei Giudei (Mt 27, 37). Così anche quando si tratta di presentare come operi questo regno, Gesù lo fa con le parabole che non mirano tanto a descriverlo, perché il regno di Dio è dentro di noi, anche se è ancora da venire; è presente e vicino, ma è anche promesso, nel senso che non è evidente, non può essere mostrato e tanto meno dimostrato, non può essere identificato con alcuna realtà terrena, anche se è segretamente presente come lievito nella pasta, cioè nella vita di tutti i giorni.

Il regno di Dio opera in maniera discreta, silenziosa; l’Eterno opera nella profanità dell’esistenza quotidiana, è come un filo d’oro presente nella trama, talvolta grigia, della nostra vita. Ed è bellissimo che Gesù abbia saputo vedere questo filo d’oro che noi, senza di lui, non vedremmo.

Infatti oggi il Signore dice anche a noi: cercate! Perché appunto il regno c’è già, vive e opera, tocca a noi cercarlo. Anzi nella preghiera che poco sopra queste parole Gesù ha insegnato – siamo nel cuore del Discorso della Montagna -, ci invita a pregare il Padre perché venga il tuo regno, nel senso che non lo costruiamo noi, il regno è di Dio, è frutto della sua decisione e non dei nostri sforzi.

Nel mondo, nonostante la nostra incredulità, il regno di Dio opera, ci sono persone che vivono come Gesù, che donano la loro vita, che cercano di fare proprio il suo modo di essere, di amare e di soffrire.

Certo il regno di Dio, ci insegna Gesù, è vicino ai malati, ai poveri, ai peccatori, agli affamati; il regno è un vangelo per gli ultimi che diventano primi davanti a Dio, per gli esclusi che vengono inclusi nel suo regno.

La giustizia di Dio è davvero diversa dal nostro modo di intendere i rapporti tra le persone, con le cose e con il mondo. Ci rendiamo conto che il regno di Dio è il nostro mondo capovolto, ecco perché i potenti della terra temono quando qualcuno vive davvero il Vangelo di Gesù, ed è lo stesso motivo per cui il Signore è stato arrestato, processato, condannato a morte e giustiziato.  Il mondo nel quale l’uomo è padrone e signore, non sopporta un mondo nel quale Dio è re e signore.

Alla luce di queste considerazioni, proviamo a domandarci: che cosa mi preoccupa in questo periodo?

Le risposte saranno diverse per ciascuno di noi, un problema di salute personale, di salute magari dei nostri parenti o amici; un problema di lavoro, di relazione o altro.

Dopo esserci detti ciò che più ci preoccupa, proviamo a chiederci: come guardo tale preoccupazione alla luce delle parole del vangelo di Gesù?

Mi trovo ad essere un uomo “di poca fede” oppure un uomo che si fida del vangelo? Come le parole di Gesù mi aiutano a ridimensionare le mie preoccupazioni, talora ossessive e assillanti?

Le nostre umane preoccupazioni non sono scartate perché ci affidiamo a ciò che Dio dispone o perché lasciamo stoicamente che il destino operi, oppure perché, la ricchezza e la povertà non hanno significato per l’uomo superiore! Sono scartate perché cerchiamo il regno.

In fondo la pagina di Matteo è un commento al venga il tuo regno del Padre nostro, in paragone al dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ciò che ci chiede Gesù è il primato di Dio, non un primato generico, astratto, bensì il primato del Padre che con il dono del Figlio ci rende figli con lui, e quando le nostre preoccupazioni non sono sottomesse alla preoccupazione fondamentale del regno, diventano fonte di angoscia, di ansietà, di inutile logorio e finiscono per farci del male. Non è respingendole con procedimenti psicologici o biochimici che otterremo un vantaggio, bensì unicamente rimettendo al centro della nostra vita il primato di Dio.

Questo è un grande messaggio di consolazione, sono parole di cui sentiamo il bisogno perché dilatano il nostro cuore, sono parole che ci indicano un tesoro più grande, un bene più immenso, in modo che alla luce di tale bene le stesse preoccupazioni riacquistino il loro giusto posto e il loro senso.

(Mt 6, 25-33)