II DOPO PENTECOSTE - Mt 5, 43-48


Non ci sorprende che nelle piazze del mondo abbiano cominciato a cadere le statue. Quanta ingiustizia e quanta sofferenza sono state inflitte negli anni se oggi esplode nelle strade delle città tanta rabbia e tanto odio? Ce lo dobbiamo chiedere, senza la paura di mettere in discussione la nostra tanto celebrata civiltà. A quale prezzo abbiamo ottenuto e continuiamo ad alimentare il nostro stile di vita?

Abbiamo diviso il mondo in bianchi e neri, ricchi e poveri, nord e sud, residenti e immigrati… in chi si arricchisce e in chi muore bruciato in una baracca, guardie e carcerati; in chi s’imbarca e in chi chiude i porti; insomma c’è sempre una divisione tra “noi e loro”.

Il cadere delle statue può essere anche un segno liberatorio, ma il rischio è che a queste se ne sostituiscano altre… magari non saranno peggiori, ma il pericolo appunto è che non siano in grado se non di riprodurre la logica malata dello sfruttamento e dell’ingiustizia. Perché questa è la logica diabolica che accompagna la storia del mondo: dividerci per avere più terra, dividerci per avere più denaro, dividerci per avere più potere. L’altro anziché un dono, l’altro anziché essere uno, come dice l’ultima frase della lettura del Siracide, di cui prenderci cura, è uno da scartare, da eliminare, da buttare in mare. E lo facciamo realmente.

In questi mesi il governo italiano, oltre a tenere in vita i decreti sicurezza che ostacolano i salvataggi in mare, ha bloccato le navi del soccorso civile, chiuso i porti con il pretesto del Covid e disposto il sostanziale arretramento della Guardia costiera e dei pattugliatori.

Salvo poi continuare a vendere armi a regimi autoritari, come facciamo con l’Egitto! Questo sì è necessario urlare e gridare e questo ci aspetteremmo dai nostri vescovi. Il contratto per la fornitura militare all’Egitto è la negazione di un principio fondamentale: Non fare affari con regimi totalitari! Oltre ad essere uno schiaffo per i genitori che hanno avuto un figlio ucciso da quel regime.

Fino a quando le ragioni del profitto saranno sempre più importanti della giustizia e del bene comune, non cambierà la storia.

Pensiamo davvero che i problemi si possano risolvere così? Non è che alimentando l’ingiustizia, usando la violenza e l’indifferenza contro donne e bambini, ignorando la sofferenza di tanta parte dell’umanità… tutto questo poi troverà un modo per riscattarsi? Quale mondo stiamo costruendo? Quale umanità vogliamo? Stiamo alimentando i conflitti di domani.

Come dice anche Paolo scrivendo ai Romani, quando in ben tre versetti (29-31) elenca le cattiverie di cui l’uomo è capace. Sono le ventuno della Roma di ieri, ma non bastano forse a descrivere quelle di cui siamo capaci noi oggi: Colmi di ogni ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia.

È possibile che sia davvero solo questa la logica che manda avanti il mondo? È a questo che educhiamo i nostri bambini? Non abbiamo alternative?

Gesù si installa proprio nel bel mezzo della conflittualità, delle tensioni sociali che c’erano anche nel suo tempo per aprire un’altra possibilità, per iniziare un’altra strada che tutti possiamo percorrere.

Avete inteso che fu detto… ed è quello che si fa sempre anche oggi, amiamo i nostri e odiamo gli altri. Eppure io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano.

Sono parole che difficilmente ascolteremo sulle labbra di coloro che si servono della religione… magari citeranno il rosario, si rifaranno al cuore Immacolato di Maria, ma non potranno mai tollerare queste parole di Gesù: Ama i tuoi nemici e prega per quelli che ti perseguitano.

Questa è la discriminante rigorosa e precisa tra una religione oppio dei popoli, per dirla con un’espressione desueta, e il Vangelo. Certo a noi viene da pensare che questa parola di Gesù sia impraticabile, sia un idealismo fuori dal mondo. Ebbene se guardiamo a Cristo ci rendiamo conto che non è affatto impossibile. Anzi questa è la vera alternativa.

Un omone grande grosso va da un saggio per metterlo in difficoltà con un uccellino chiuso tra le sue mani enormi e possenti. E domanda al saggio: «È vivo o è morto?». Il saggio pensa tra sé: «Se dico che è vivo allora lui con le mani che si ritrova, con un minimo movimento impercettibile lo stritola. Ma se dico che è morto, apre la mano e l’uccellino vola via». «Allora incalza quello, è vivo o è morto?» e il saggio: «È come vuoi tu».

La soluzione si trova passando a un altro piano, dipende da come tu la vuoi condurre e dove vuoi arrivare. Diceva Einstein: «Ogni soluzione di un problema si trova a un livello diverso del problema», perché bisogna saperlo guardare da un altro punto di vista, da un’altra prospettiva.

La prospettiva indicata dal Cristo è che amiamo i nemici, non perché loro sono cambiati e sono migliorati… ma perché Dio lo fa a prescindere. Dio fa sorgere il sole sui giusti e sugli ingiusti.

E allora se noi vogliamo essere figli di questo stranissimo Padre, comporta che impariamo da lui… e renderci conto che anche noi siamo oggetto e siamo destinatari della sua pazienza e del suo amore.

Si tratta di entrare in noi stessi, di cominciare a riconoscere le nostre ombre interiori per dare un nome ai nostri sentimenti e pensieri contrastanti e vedere quanta misericordia ha Dio per noi. È imparando ad amare i nostri nemici interiori, che potremo sviluppare la compassione necessaria per amare anche quelli esteriori.

Non è questione come scrive Matteo di perfezione. Gesù non avrebbe mai potuto parlare così. Né in ebraico, né in aramaico esiste un termine, ma nemmeno il concetto di perfezione. Sarebbe in contraddizione con quanto detto prima: Dio mi ama proprio perché non sono perfetto, come di fatto non sono, e dunque?

Luca rende in maniera più precisa il pensiero del Cristo: Siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro (Lc 6,36). Non parla di perfezione così come la intendiamo noi, ma di quella perfezione di Dio nell’amore che arriva ad abbracciare e ad amare anche chi non ha alcun titolo per meritarselo.

L’alternativa di Gesù consiste soprattutto nel cambio di prospettiva nel vedere le cose. Se anziché livellarci sul piano della reciprocità che ci viene spontaneo, innalziamo lo sguardo al Padre, ci rendiamo conto di una possibilità nuova, di una via d’uscita diversa.

Questo ci dice che il cuore della morale cristiana non è una norma nuova, un precetto più bello, o una legge innovativa… lo sappiamo che non sono queste cose a cambiare il modo di vivere, lo possono aggiustare e moderare… ma la vera prospettiva capace di cambiare le cose è l’aver accolto l’invito di Gesù a guardare il Padre, perché anche per Lui la forza di un modo altro di stare al mondo è in questa comunione di vita con Dio e nello Spirito Santo.

L’anima profonda di queste norme è un’anima contemplativa.

L’amore di Dio che fa piovere e fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi è un amore che nell’esperienza della fede sa trasformare e cambiare le persone.

Quante volte alcune persone rimangono cattive e malvage perché nessuno ha creduto nella loro possibilità di cambiare, nella loro possibile bontà.

Ricordo una storia di Dostoevskij. Sapete che si ispira molto nelle sue opere ai ricordi del carcere. Infatti ina novella ricorda che un giorno di Pasqua, mentre era appunto in prigione, fu data della vodka ai condannati, tanto per fare un po’ di festa.

Un condannato per reati comuni si ubriacò e, grande grosso com’era, cominciò a menare gli altri e a ferire delle persone. A fatica le guardie con i bastoni riuscirono a bloccarlo.

Un carcerato per motivi politici, un polacco che passeggiava con Dostoevskij disse: Come mi fa schifo quella persona! E Dostoevskij stava per acconsentire a questo senso del disprezzo, quando gli sopravvenne un ricordo della lontana infanzia.

Mi ritrovai bambino di sei anni nella fattoria della mia casa. Ero lontano qualche centinaio di metri dalla mia casa, vedevo in lontananza un contadino, grezzo, che non parlava mai, che tutti consideravano un deficiente e un cattivo, che stava arando. Era l’unica persona viva in quel tratto di steppa davanti alla mia casa. A un certo punto mi parve di sentire un grido: Al lupo, al lupo! Io spaventato, non sapendo dove correre, mi misi a correre verso l’unica persona viva che era vicina a me, verso quel contadino. E quando arrivai a pochi metri da lui, gridai: Al lupo, al lupo; ci stanno inseguendo i lupi!

E quel contadino, che sembrava così rozzo, mi prese in braccio e con tanta tenerezza mi disse: Non avere paura, non c’è nessun lupo, te lo sei sognato tu il lupo. Scoppiai in pianto sentendomi accarezzato e amato così intensamente da quella persona.

Dostoevskij conclude: Ogni volta che vedo una persona che mi sento di disprezzare, mi ricordo di quell’episodio. E penso che dentro a ogni cuore, anche il più indurito, il più cattivo, il più inselvatichito, può nascere un sentimento di affetto; basta che noi schiudiamo il nostro cuore e diamo l’occasione a queste persone di fare un gesto di affetto e di tenerezza.

Non è questo l’amore al quale ci invita Gesù? Siamo inclusivi, siamo compassionevoli anche verso i nemici perché Dio fa così. Essi sono amati da Dio né più né meno di quanto lo siamo noi. Anzi se il nemico non fosse solo un intralcio, un problema, ma fosse anche altro?

Ha ragione Paul Illich quando scrive che «Un fanatico è debole perché i suoi avversari hanno su di lui un potere segreto».

E se il nemico fosse un dono? Il nemico un dono perché ci rivela cosa abbiamo in cuore, perché ci dona la possibilità di una terza via che non è la reazione violenta per eliminarlo, né semplicemente quella passiva di chi subisce… ma è un dono che ci fa conoscere meglio il volto di Dio, ci rivela il suo amore.

Facciamo pure cadere le statue, ma se vogliamo che non ce ne debbano essere altre un giorno da abbattere, riconosciamo che il nemico non è semplicemente un ostacolo che ci impedisce di essere bravi davanti a Dio, ma addirittura la strada che ci rivela di che cosa è capace il Dio di Gesù.

(Sir 17,1-14; Rm 1, 22-25.28-32; Mt 5, 2.43-48)