CIRCONCISIONE DEL SIGNORE - Lc 2, 18-21


(Nm 6, 22-27; Fil 2, 5-11; Lc 2, 18-21)

Saper dire grazie è importante, sempre, ma soprattutto dopo un anno faticoso, difficile, un anno troppo lungo per chi ha sofferto molto. Grazie è una di quelle parole che trovano la loro radice nella charis nella grazia, nella carezza di Dio, nel dono. Proprio per questo dire grazie è importante soprattutto se è costoso: diventa una risorsa straordinaria per continuare a sperare e a camminare.

«Stiamo soffrendo le doglie del parto. Sta nascendo qualcosa di nuovo, ma ancora non ce ne accorgiamo» scriveva un editorialista oggi. Soffriamo anche perché non riusciamo, collettivamente, a vedere un bambino dentro il travaglio. «E quando non si intravvede un bambino, non si vede salvezza, è fatica senza premio, manca la gioia. Dovremmo allenare gli occhi a vedere più lontano e diversamente, e scorgere in mezzo a noi e dentro di noi i luoghi e le persone dove stanno avvenendo cose nuove» (Luigino Bruni).

Se vogliamo mettere con fiducia i piedi nel futuro senza paura e senza angoscia, ma anche senza la smania di controllarlo e di prevederlo ad ogni costo, allora continuiamo e non stanchiamoci mai di metterci in ascolto della parola di Dio. Di fronte al futuro, a quello che non conosciamo, rinnoviamo la certezza che la parola di Dio «è lampada ai miei passi», come dice il salmo, è lampada ai nostri passi.

1.La lettura del libro dei Numeri ci ha fatto ascoltare il testo della benedizione che Aronne dovrà rivolgere al suo popolo: Ti benedica il Signore, faccia risplendere il suo volto per te, rivolga a te il suo volto… Le stesse parole le abbiamo ripetute con il salmo 66, ed è proprio un bel modo di guardare al futuro: chiediamo al Signore che la luce del suo volto ci benedica, ci accompagni e, appunto, sia luce nei momenti bui e tristi e sia pace nei momenti complessi.

Ma se poi ci chiediamo cosa significhi che il volto di Dio ci benedica e comprendiamo il contesto del libro dei Numeri da cui è tratta questa benedizione, ci rendiamo conto che essa giunge al termine di una lunga serie di indicazioni di atteggiamenti e di norme che organizzano e regolamentano la vita del popolo in cammino nel deserto. Se tu rispetti le cose, se non rubi, se non uccidi, se non commetti ingiustizia, se ti mantieni fedele nella preghiera… se il tuo cuore non sarà diviso… ecco il Signore ti benedice e con te benedice il tuo popolo.

Vista così la benedizione non è un gesto magico, non diventano parole esoteriche pronunciate da uno stregone con chissà quale forza occulta, ma la benedizione di Dio sono l’uomo e la donna che vivono la giustizia, la rettitudine, la fedeltà. Il volto di Dio si riflette sul volto di un popolo che vive quello che è proprio di Dio: appunto l’amore, la misericordia, la giustizia, l’onestà… Dio non può benedirti se sei ingiusto, se tratti male l’altro, se pensi solo a te stesso… non ti benedice se emargini, se discrimini, se imbrogli… perché lui non è così.

Al termine di un anno diciamo grazie allora a tutti coloro che hanno vissuto così, a quegli imprenditori che continuano a rischiare risorse, energie per salvare il lavoro e vanno avanti nonostante tutto; alle maestre e agli insegnanti cui affidiamo i nostri figli e che mandano avanti una scuola ferita, impoverita e disprezzata; a coloro che accompagnano le disperazioni di tanti poveri e emarginati; a coloro che curano i nostri anziani e ammalati con una dolcezza infinita nonostante i continui tagli… a coloro cui nessuno mai dice «grazie».

La benedizione ci rimanda alla nostra responsabilità, alla nostra capacità di rispondere fedelmente alla vocazione che l’Eterno ha deposto nel cuore di ciascuno. La benedizione è Dio che può dire bene di te, di me, di tutti noi quando nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti, anche se attraversiamo il deserto, rimaniamo fedeli alla nostra coscienza, al senso del bene e del giusto che Lui ci ha posto dentro.

2.Non solo, Paolo nella lettera ai cristiani di Filippi, scrivendo ai cristiani di quella città che è stata la prima città europea ad accogliere il Vangelo, li invita ad avere gli stessi sentimenti di Cristo. Come dire che la parola di Dio ci chiede di iniziare il nuovo anno con coscienza e responsabilità, ma addirittura con i sentimenti di Cristo. Se poi andiamo a vedere cosa intende Paolo per i sentimenti di Cristo, ci rendiamo conto, non senza scandalo, che siamo di fronte a tutto il contrario di quello che normalmente ci auguriamo in questi giorni.

I sentimenti di Cristo non sono stati la ricerca del successo, una lunga vita, la salute, il potere… tutte cose che potremmo dire “normali” e che noi riteniamo essere segno della benedizione di Dio. Non è proprio così. Non è che perché ti vanno bene le cose allora sei benedetto da Dio, non è che perché sei ricco, perché sei in salute, perché hai successo che allora ti puoi ritenere benedetto, perché questo può accadere anche a un disgraziato, a un delinquente, anzi in genere funziona più così.

Sono pochi verbi che dicono i sentimenti di Cristo: da ricco che era vuotò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte… Scusate, ma peggio di così!?

3.Quando Luca nel vangelo ci racconta dei pastori che tornarono glorificando e lodando Dio: cosa hanno sentito e visto i pastori per essere così contenti? Cosa sono corsi a vedere? Un uomo di successo? Un uomo di potere? Uno ricco sfondato?

Hanno trovato un bambino avvolto in fasce. Dio è un bambino, questo scoprirono. Questo scopriremo in tutto il Vangelo. Dio è il più piccolo di tutti, perché l’amore si fa piccolo e servo. Quando comprendiamo questo, abbandoniamo l’immagine religiosa di Dio che è la causa di ogni ateismo e di ogni male nel mondo, l’idea di un dio potente che ha tutto in mano e che però ha bisogno dei suoi combattenti che devono difenderlo e fare la guerra e scannarsi nel suo nome… Dio è un bambino che oggi è avvolto in fasce, domani lo vedremo avvolto in bende nel sepolcro che viene deposto sulla tavola come pane spezzato. Questo è il Dio di Gesù. Non c’è altro Dio fuori di questi, se non gli idoli delle nostre tradizioni e delle nostre fissazioni.

Si racconta che tra i pastori che erano stati chiamati per andare a vedere il Bambino, ce ne fosse uno che non voleva saperne. Gli altri non si capacitavano di questo rifiuto, fino a quando ebbe il coraggio di dire: ma voi avete racimolato tutti qualcosa chi da mangiare, chi da vestire, invece io non ho proprio niente da portare a questo bambino… Insomma tanto dissero e fecero gli altri che si decise ad accompagnarli, ma non senza vergogna e confusione. Quando arrivarono Maria aveva tra le braccia il bambino e accolse con riconoscenza i pastori che portavano i doni, però per poter ricevere questi doni Maria fece cenno al pastore che aveva visto con le mani libere e, per poter prendere i doni degli altri pastori, depose il bambino tra le sue braccia.

Chi aveva meno ebbe di più. La nostra povertà è il luogo dove riceviamo Dio. Con le mani libere, con il cuore libero possiamo accogliere il dono di Dio. Ecco allora le due cose per cui vi invito a pregare insieme oggi.

Anzitutto che il Signore ci doni la forza di iniziare l’anno scegliendo ancora una volta di vivere nella giustizia, nell’onestà, nel rispetto degli altri e del creato, nella solidarietà, nella passione per il bene comune, così che il Signore ci benedica e possiamo guardare avanti con fiducia, con speranza. Ci liberi l’Eterno dal pensiero che tornare indietro sia il modo migliore per andare avanti. È la tentazione di ogni generazione: rimpiangere la propria infanzia. Ho letto di qualcuno che decanta gli anni Settanta come l’epoca più sicura e tranquilla dell’attuale. Gli anni Settanta: quando si sparava per la strada e si rapivano i bambini. Sarà per questo che in un’indagine recente emerge che il 70,3% dei giovani vede gli adulti frustrati (Università di Padova)?

A me sembra che l’antidoto a questa frustrazione consista nel cercare di vivere bene la nostra esistenza personale, regalandoci momenti di silenzio e di contemplazione, autentici serbatoi di energia morale, spirituale e fisica. Il meglio di noi stessi forse lo diamo proprio quando riusciamo a fermarci un poco, a recuperare una dimensione meno esposta ai venti di un mondo costantemente inquieto e, spesso, rissoso.

C’è una seconda cosa per cui preghiamo oggi e la suggestione ci viene da papa Francesco che seguendo la tradizione iniziata da Paolo VI nel 1968, fa del 1° gennaio la giornata mondiale di preghiera per la pace. E il tema riprende la riflessione di prima, perché sappiamo quanto sia illusorio cercare di stare bene da soli, c’è un anelito insopprimibile in ogni donna e in ogni uomo che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere e da abbracciare.

Papa Francesco ci provoca a pensare che la Fraternità è il nuovo nome della pace, questo è il tema del suo messaggio. La fraternità come dimensione essenziale all’uomo… senza di essa diventa impossibile costruire una società giusta, una pace solida. E, dice il papa, questa è una vera e propria vocazione che apprendiamo in famiglia, perché la famiglia è la sorgente di ogni fraternità, dove si impara a formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri.

Certo, non mancano le difficoltà che sembrano smentire nei fatti questa vocazione: basti pensare agli oltre sessanta Stati coinvolti in focolai di guerra (24 in Africa, 15 in Asia, 8 in Medio Oriente, 5 nelle Americhe, 8 in Europa) e sono circa 500 i gruppi armati che si fronteggiano… e le industri belliche non conoscono crisi.

Ma noi crediamo che l’amore di Dio quando è accolto e vissuto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell’esistenza e dei rapporti con gli altri: poiché vi è un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli, dice Francesco.

Accogliamo il dono dell’anno che ci viene incontro: sarà l’anno dei mondiali brasiliani, delle elezioni europee… ma vogliamo augurarci che sarà anche l’anno in cui non perderemo più tempo a lamentarci, a invidiare, a rinfacciare… ma piuttosto sarà l’anno in cui rimetterci in gioco con passione e gioia ed essere benedizione di Dio.