V DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 22, 34-40
(Dt 6, 4-12; Mt 22, 34-40)
Sicuramente vi sarà capitato qualche volta di osservare un rocciatore mentre affronta in palestra o su una parete di roccia, magari un settimo grado, dove per quanto possano mancare appigli e fessure, tuttavia per andare avanti deve trovare almeno un appoggio per un piede e un altro per una mano.
Ecco per quanto possiamo incontrare complessità e difficoltà nella vita, non abbiamo da temere nulla, perché avremo sempre una via d’uscita, una speranza se anche noi troviamo almeno due appoggi, due appigli cui aggrapparci soprattutto nei momenti critici, nei passaggi difficili. E penso che un primo esercizio per ciascuno di noi potrebbe consistere nell’ interrogarsi quali siano gli appoggi fondamentali sui quali ha fatto leva soprattutto nei passaggi critici della propria vita.
Ma prima dobbiamo fare un passo indietro e, per restare nella metafora del rocciatore, dobbiamo chiederci: che cosa spinge uno ad affrontare rischi, fatiche, sacrifici? A sostenere allenamenti e a non indugiare nell’ozio e nella pigrizia?
C’è qualcosa in più che stimola, che dà quello slancio che coinvolge tutta la persona… ed è quella sete che il nostro rocciatore ascolta emergere dal proprio intimo, una sete e una passione che lo sospinge a salire e a non rimanere paralizzato sui due appigli e a cercarne un terzo! È ascoltando questa spinta interiore che cerca sempre un altro appiglio su cui far leva per uno slancio ulteriore, per un movimento in avanti.
Ecco, abbandonando la metafora del rocciatore, prima di parlare dei due appigli che sono i due comandamenti che Gesù indica nel vangelo di Matteo quale concretizzazione etica del discepolo e che si coniugano con il verbo amare, vi invito a prestare attenzione al primo verbo che ricorre nella lettura del Deuteronomio e che recita così: Ascolta Israele il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Il primo verbo, prima ancora di amare, è: ascolta!
E che cosa devi ascoltare? Ascolta come l’Eterno ti ama, come lui è l’unico per te e tu sei l’unico per lui. Ascolta quanto sei amato. Ascolta la tua storia e vedi come Dio ti ha sempre accompagnato e sostenuto, ascolta come la sua fedeltà non è mai venuta meno anche quando tu lo sentivi lontano. Ascolta!
Questa è la condizione che precede ogni nostra iniziativa, ogni nostro impegno. Come scrive p. Ghislain Lafont, fra gli organi dei sensi, l’orecchio è l’unico a stare fuori dalle nostre prese: non lo dominiamo affatto. Il nostro orecchio è sempre aperto.
E questa constatazione esprime bene la nostra condizione: il primo comandamento non è di praticare la carità, ma di accogliere l’amore di Dio per me. Saper ascoltare come l’amore dell’Eterno attraversa la nostra esistenza.
Se ci astraiamo da questo fondamento, fonderemo la nostra religione sulla legge e non sull’amore ricevuto, ma su una legge – che pure è uno strumento pedagogico –che così pervertita diventa asfissiante e mortifera.
E lo possiamo capire al volo, perché ciò che tradisce chi fa della legge la sua forza è la soddisfazione di accusare, di umiliare l’altro, ciò che rivela questa mentalità è la necessità di ergersi a giudice del cammino degli altri senza riconoscere l’agire di Dio in loro.
Ascolta e ricorda ecco la struttura interiore del credente: ascolta l’amore di Dio per te, mentre ricordi come la sua misericordia ha nutrito i tuoi giorni!
Ascolta e ricorda costituisce il fondamento spirituale dell’esperienza del popolo ebraico: proprio queste parole sono diventate la preghiera quotidiana, anzi queste parole, come scrive un ebreo fiorentino (Alfonso Pacifici): Col bacio della mamma, hanno cullato il sonno dei bimbi d’Israele sui loro lettini, ogni sera da migliaia di anni; queste parole mormorate dalle labbra di tutti i morenti d’Israele, sono state come il loro saluto a quello sconosciuto di là verso cui già si fissavano i loro occhi; queste parole, rotte dai singhiozzi e dal pianto, sono state il saluto ultimo dei figli all’anima cara dei loro genitori nel momento supremo del suo staccarsi di qua, da migliaia di anni.
Su questo fondamento, su questo slancio vitale, Gesù passa allora ad indicare i due riferimenti incrollabili, i due punti di appoggio che vanno oltre e al di là delle singole norme e regole. Il primo è: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.
E l’altro è: Amerai il tuo prossimo come te stesso.
Gesù rispondendo al fariseo, afferma che se uno ascolta Dio e si rende conto del suo amore, non può che rispondere con un affetto che abbraccia tutta l’esistenza: con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Ci sorprende questa insistenza su un affetto totalizzante.
Ma solo l’Eterno è da amare così, perché nel momento in cui ami una persona con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente è a lei che affidi la tua vita e la fai diventare il tuo dio. E nel momento in cui la tua vita dipende da un altro, da un’altra ti crei delle aspettative che lei o lui o non potrà mai soddisfare perché sono nella stessa tua condizione e ciò sarà causa di frustrazione, di delusione e di fraintendimento.
Mentre l’amore per il prossimo è un amore che ha come riferimento l’amore che tu hai per te stesso.
Proviamo a pensare appunto ai momenti critici della nostra vita, a quei passaggi esposti in parete in cui ci pareva di precipitare: allora, in quei momenti la parola di un amico, la presenza discreta di un affetto che hanno semplicemente condiviso e non ci hanno lasciato soli, sono stati importanti e ci hanno aiutato a fare quel che era sufficiente e necessario in quel momento.
Ma anche qui, quanti fraintendimenti e quanta sofferenza mi trovo spesso a raccogliere perché abbiamo idealizzato l’amore per l’altro a un livello mitico ed eroico. Ci sentiamo in colpa perché ci vogliamo bene e ci sono cristiani che non si permettono quelle piccole gioie della vita che li renderebbero più sereni e felici, in nome di un malinteso altruismo.
Gesù ci ammonisce che siamo capaci di amare l’altro nella misura in cui vogliamo bene a noi stessi. Mi sembra un principio di grande salute mentale e spirituale.
Non nel senso dei capricci ovviamente, ma nel senso di tornare al fondamento da cui siamo partiti. Sono amato da Dio, sono perdonato dall’Eterno la cui fedeltà mi accompagna, e così anche l’altro che è vicino a me con tutti i suoi limiti e i suoi errori è amato da lui. Allora, chi sono io per non amarlo, almeno come figlio di Dio?
E questo costituisce per la tradizione biblica il primo fondamento della pedagogia e dell’educazione dei figli: Queste parole che oggi ti do, ti stiano fisse nel cuore, le ripeterai ai tuoi figli …
Sono davvero queste le parole che ripetiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti? Che cosa trasmettiamo ai nostri piccoli? Se non la capacità di ascoltare e di ricordare perché crescano nella certezza di essere amati da Dio?
Forse educare sarà per qualcuno anche questione di accorgimenti e di trucchi, ma il nostro errore consiste soprattutto nel fatto che siamo smemorati e arriviamo a pensare di esserci fatti da noi stessi, dimenticando che nella nostra vita l’Eterno ci ha amato e ci ama ogni giorno.
Per questo siamo qui ogni domenica ad ascoltare la Parola e a fare memoria dell’amore di Dio che Gesù ci ha donato, per imparare ad amare.