V DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Mt 22, 34-40
Non credo di essere l’unico a pensare che queste parole del Cristo vengano a risuonare in un deserto, in un mondo disincantato e disilluso… l’amore tutt’al più riguarda gli affetti e le relazioni più vicine, ma ormai siamo incapaci di pensare che l’amore possa mandare avanti il mondo, non solo perché sono parole audaci per ciascuno di noi, sono parole alte, forse al di sopra delle nostre possibilità, ma anche perché ci sembra di registrarne l’inevitabile fallimento storico: non è così che va avanti il mondo!
Qual è il grande comandamento oggi? Pensa a te stesso, fatti i fatti tuoi! Lo gridano le grandi potenze, così si chiamano, chiuse nell’autoreferenzialità, ma lo urlano tutti coloro che danno voce al mal di pancia della paura, dell’insicurezza… non solo ma addirittura è sulla bocca di coloro che dicono di farsi paladini dei valori cristiani!
Il fallimento è storico e sembra svuotare il Vangelo della sua stessa forza: non serve amare, perdonare… Quello che conta è da che parte stai. Se sei della mia parte o se sei mio avversario e quindi nemico contro il quale devo difendere i miei interessi.
Credo che anzitutto dobbiamo fare il possibile, smentire, impedire che il Vangelo subisca questa manipolazione. Dobbiamo svergognare chi ci viene a dire che è dalla parte dei valori cristiani, solo perché gli servono dei voti in più e non è capace di tradurre il principio dell’amore in diritti e doveri, e non ha il coraggio di una visione delle cose e del mondo, ma vede solo il suo tornaconto particolare e immediato.
Succede a noi, fautori di una cultura dell’esclusione e della presunzione di essere superiori, quello che accadeva ai tempi del Deuteronomio. Il libro del Deuteronomio, lett. Seconda legge, in ebraico Devarim (parole) avvertiva come condizione capace di far regredire il popolo, il fatto che dimenticasse la storia da dove veniva, avesse perso la consapevolezza di essere un popolo che era stato liberato e ora correva il rischio di tornare ad essere schiavo non più del faraone d’Egitto, ma del faraone di se stesso.
Non a caso il primo verbo che Dio rivolge al popolo, in un testo che ancora oggi potremmo dire è la professione di fede di Israele, non è “credi”, non è “fai”, non è “prega”, ma nemmeno “ama”… il primo verbo è “ascolta”! Poi segue l’imperativo ad amare… quando nella nostra professione di fede il verbo amare non c’è proprio mai una volta!
Questa è la legge di Dio, è parola di Dio che dice: Ascolta! Se non hai la disponibilità ad ascoltare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze… non ami, non puoi amare. Perché?
Lo dice bene nei vv. 10-12 che sembrano rispecchiare la nostra condizione: quando tu vivi nell’abbondanza, quando abbiamo case piene di ogni bene, quando siamo sazi… siamo più inclini a dimenticare ciò che il Signore ha fatto per noi. È quella inclinazione autistica della vita umana che nei tempi di crisi tende inevitabilmente a rafforzarsi e a sclerotizzarsi, dove i confini diventano muraglie, cessano di essere porosi, acquistano la consistenza del cemento armato.
Nella controversa legge sullo Ius soli questa distanza tra le parole e i fatti mette in evidenza l’ipocrisia del potere. Come si fa a negare il diritto alla cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri con regolare permesso di soggiorno da almeno 5 anni?
Che razza di nazione è quella nella quale si continuano a discriminare i compagni di scuola dei nostri ragazzi di pelle diversa e solo perché “una cosa giusta fatta al momento sbagliato può diventare una cosa sbagliata”?
Ma perché allora siamo finiti nel “momento sbagliato”? È sbagliato lasciare campo libero alle menzogne del leghismo secondo cui i clandestini diventerebbero così nostri concittadini appena sbarcati sul suolo italiano!
Proviamo a pensare al legame familiare che, forse più di ogni altro, ci offre un esempio significativo di amore vero e di giusta cittadinanza. Non si diventa padri o madri semplicemente perché si genera biologicamente una vita. La vita del figlio è tale solo se viene simbolicamente adottata, accolta, accudita e amata al di là del sangue e della stirpe.
C’è genitorialità solo se ci assumiamo la responsabilità illimitata che il prendersi cura della vita di un figlio comporta. Questa nozione di responsabilità non è mai un fatto di sangue, ma implica un consenso, un atto, una decisione simbolica.
Allo stesso modo lo Stato ha il dovere etico di adottare, vale a dire di riconoscere come suoi cittadini, coloro che non solo e non tanto nascono nel suo territorio, ma che si riconoscono come parte integrante di quello Stato contribuendo alla sua vita.
Diversamente l’idea che la cittadinanza sia un diritto vincolato al sangue è un’idea fondamentale del «Mein Kampf» di Hitler. L’origine del razzismo e di ogni genere di fanatismo hanno sempre come loro fondamento l’ideale della purezza etnica che esclude il pluralismo.
I rigurgiti nazionalisti, etnici, populisti, sovranisti che caratterizzano la scena politica non solo nazionale ma internazionale cavalcano irresistibilmente questa onda fino a diventare paradossali, vale a dire mentre vogliono essere assoluti, diventano sempre più frammentati, parziali, prigionieri del particolarismo. Ma la vita della città senza contaminazione è destinata all’imbarbarimento esaltato della setta, alla psicologia totalitaria delle masse.
Scriveva don Mazzolari: “Il mondo imbarbarisce se scateniamo la belva che è in ognuno di noi. L’ “ordine nuovo” incomincia se qualcuno si sforza di divenire un uomo nuovo”.
Non è antistorico il comandamento dell’amore, anzi ha bisogno di traduzioni, di mediazioni che si chiamano cultura dell’incontro, politiche di integrazione e che sono il più grande antidoto ad ogni forma di violenza compresa quella del terrorismo.
Non si è mai capaci di amare, anzi è un’arte che non si finisce mai d’imparare, così come non si è mai preparati a un cambiamento, a un problema. Pensate come ci modifica l’esperienza dell’attraversamento di una malattia: non riporta mai la vita a com’era prima, ma la può rendere più ricca, più sensibile, più intensa. Se mettiamo fiducia nel comandamento dell’amore e viviamo così il nostro tempo, ciò che consideravamo con paura e angoscia può diventare un’occasione che ci rigenera, che ci permette di mettere le basi per l’umanità di domani.
L’integrazione cura la dissociazione; l’esperienza del riconoscimento cura l’odio; la cultura dell’incontro cura il senso di segregazione.
La battaglia per lo Ius soli è una battaglia di civiltà dal respiro ampio. Non riflette un colore politico. Per questa ragione i numeri non dovrebbero essere tutto. In gioco non è un semplice guadagno elettorale ma il senso stesso del mondo, della vita, del nostro essere umani.
Ed è forse in questo senso che Gesù nel citare il primo e più grande comandamento riporta tali e quali le parole del Deuteronomio, ma cambia solo una parola, una parolina soltanto. Non parla più di amare Dio con tutte le forze, ma di amare Dio con tutta la tua mente!
Che non significa un amore intellettuale, altrimenti prima non avrebbe chiesto di amare con tutto il cuore e con tutta l’anima… Ma è vero che l’amore si nutre dell’atteggiamento della mente che è l’ascolto.
Ascolta e ama. Ascolta quello che di te non vorresti essere, non vorresti sembrare e comprenderai le povertà di chi ti è vicino.
Ascolta ciò che l’antipatico smuove nella tua pigra coscienza e ti scuote, ti fa arrabbiare perché tocca in te qualche nervo scoperto.
Ascolta lo straniero che irrompe in quelle che consideri le tue strade, le tue case, le tue abitudini e ascoltando cambierai la mappa mentale dei tuoi riferimenti ossessivi.
Ascolta e aprirai così la tua mente, saprai amare. Senza ascolto dimentichi la strada che hai fatto, dimentichi la pazienza che ti è stata data.
Ascolta e amerai non come conseguenza di un atto di buona volontà, ma come atto di apertura della mente che diventa allora capace non solo di replicare schemi e modelli del passato, ma di abbracciare il nuovo che avanza, che è alle porte, anzi che è già dentro le nostre città.
Ascolta e ama. E non sarà mai il momento sbagliato.
(Dt 6,4-12; Mt 22,34-40)