I DOPO L’EPIFANIA - Battesimo del Signore - Mt 3, 13-17


Sono trascorsi quasi due giorni dall’epifania del Cristo ai sapienti Magi, che oggi la liturgia ci fa compiere un salto cronologico che sembra non ascoltare il lungo silenzio sull’infanzia di Gesù. Secondo il vangelo di Matteo trascorrono trent’anni e più da Betlemme fino al battesimo al Giordano, senza che abbia raccontarci qualcosa di lui.

La nostra curiosità vorrebbe sapere come Gesù ha vissuto la sua giovinezza, chi gli ha insegnato a leggere e a scrivere, come è diventato un uomo maturo… I vangeli non ci danno risposte. Possiamo solo dire che, negli anni immediatamente precedenti al battesimo, Gesù è stato discepolo del Battista nel deserto di Giuda, come Giovanni stesso ci testimonia nella sua predicazione messianica: «Chi viene dietro a me è più forte di me» (Mt 3,11), quindi Gesù è da annoverare tra i discepoli del Battista.

Ed è proprio in quanto discepolo che Gesù chiede a Giovanni, il suo rabbi, di ricevere l’immersione nelle acque del Giordano, mettendosi in una fila di peccatori che vogliono professare la volontà di conversione, di ritorno a Dio. Questa è la presentazione di Gesù adulto, il suo primo atto pubblico. Colui che è il Messia, l’Unto del Signore, il Salvatore di Israele, il Figlio di Dio venuto nel mondo… si presenta in fila con i peccatori, una presentazione che persegue quell’abbassamento, quella semplicità che fin dalla nascita preferisce non esibire le sue prerogative divine, o almeno quelle che noi presumiamo essere le sue prerogative divine.

Lui, il Cristo di Dio che non ha bisogno di battesimo per la remissione dei peccati, essendo senza peccato, non solo si mette in fila, ma trascorrerà il resto dei suoi anni sempre in mezzo ai peccatori, fino all’ultimo giorno quando anche la sua morte sulla croce sarà tra due malfattori. I farisei lo chiamavano, non a caso e non certo per fargli un complimento, «amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19). Eppure noi facciamo fatica ancora oggi ad accettare una manifestazione di questo genere, basti pensare ai titoli con cui riconosciamo Gesù, il suo concepimento, la sua nascita, le sue nature… fino ad arrivare a “Cristo re”!

È curioso come la tradizione cristiana non abbia mai pensato che “amico dei peccatori” potesse essere un titolo cristologico. Eppure questa è la prima uscita pubblica che segna le sue intenzioni dell’uomo, che dice il suo programma di vita.

Gesù viene dunque immerso da Giovanni nel Giordano, compie un gesto pasquale di discesa nel fiume di un’umanità smarrita, sfiduciata, stanca, per poi risalirne, non rimane in quelle acque, ne esce, profezia della sua resurrezione a vita nuova, e con lui trascina fuori tutti noi da quella schiavitù, da quella paura del peccato che ci tiene sempre schiavi.

A questo punto si aprono i cieli, segno che nel linguaggio biblico sta a suggerire la riapertura di una comunicazione tra Dio e l’umanità e lo Spirito santo scende come una colomba, dolcemente, su di lui e una voce proclama: «Questi è il mio Figlio, l’amato: mi piace proprio». Parole che accompagnano la vita come un carezza.

E ci si accorge subito quando una vita non è stata accompagnata dalla carezza della parola che dice: ti voglio bene. È la storia dell’umanità, è la storia di Adamo e di Eva, di sempre… per questo nel racconto l’evangelista cerca di evocare l’inizio, il principio, per dire che in Gesù si inaugura una nuova creazione, è lui il nuovo Adamo, il nuovo tipo di uomo, che viene accarezzato dallo spirito, con tutta la dolcezza della parola di Dio e solo un uomo così sarà capace di amare.

Prendiamo in considerazione come Gesù cambi profondamente il senso del battesimo. Di abluzioni, di bagni purificatori ce n’erano prima di lui e ce ne saranno ancora dopo di lui, ma la trasformazione che avviene qui al Giordano è unica: la parola di Dio trasforma il battesimo da atto di penitenza in annuncio di amicizia. Nell’immersione al Giordano la penitenza lascia il posto alla dichiarazione di un Dio che si fa nostro amico, compagno di viaggio. E la riprova viene dal fatto che i farisei quando vorranno criticare Gesù e deriderlo, lo chiameranno proprio così Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!  Siamo peccatori, ma in buona compagnia, Gesù è nostro amico.

Quando poi le prime comunità riproporranno il battesimo ai nuovi cristiani, ogni fonte battesimale torna a essere una specie di Giordano, presso le cui acque, l’adulto scende nella vasca, come Gesù era sceso nel Giordano, per sentirsi dire: Ti voglio proprio bene, sei mio amico, sei mio figlio.

Il battesimo esprimeva così il desiderio di associarsi a Gesù, di immergersi in questo amore. Per questo nessuna persona battezza se stessa. Uno può dire di amare Dio, di amare Gesù, di fare questo e quello… ma il Battesimo lo si riceve, così come i sacramenti della chiesa, il che dice una verità tanto importante quanto dimenticata, ovvero che non siamo noi ad entrare nell’amicizia e nella comunità di Cristo, quanto piuttosto il fatto che veniamo accolti nella comunità e nell’amicizia con Gesù, questo è un dono, che esige ovviamente la nostra risposta, ma al principio c’è l’amicizia di Gesù con noi poveri e confusi.

È la misericordia di Dio che ci viene incontro, non è l’esibizione dei nostri meriti che ci rende graditi a Dio. E la chiesa se vuole essere fedele all’amicizia di Gesù, è chiamata a farsi amica dei peccatori, non già per giustificare i loro peccati, ma perché ha fatto essa stessa l’esperienza che la parola che trasforma l’acqua del peccato in sorgente di vita che rigenera è l’essere amati. È solo l’amore che rigenera l’uomo nuovo.

Passare da un’idea di Chiesa cui siamo abituati da secoli, e che nonostante il Concilio, abbiamo ancora nella mente e nelle abitudini qual è il modello di chiesa gregoriana e tridentina, non è facile.

Abbiamo in testa un modello fondato su tre pilastri: «seminario, sacramenti e catechismo», un modello che appunto privilegia la sacramentalizzazione a scapito dei percorsi di formazione bilica; un modello che si concentra sui bambini e sulla cura animarum e sulla condotta morale degli adulti e fondato su relazioni comunicative unidirezionali: dal clero ai laici, dall’adulto al bambino, dal maschio alla femmina… Un modello giudicante perché si pensa come portatore unico di valori, investito di una missione moralizzatrice dei costumi.

Se non cambiamo noi, nel nostro Paese, tra poche decine d’anni sarà la realtà a sovvertire questa idea e figura di chiesa che si è presentata per secoli come istituzione pervasiva, superorganizzata, centralizzata nelle sue procedure formative e decisionali e rigida nelle sue forme rituali uguali ovunque… e finalmente sboccerà una figura più sinodale e dinamica di chiesa.

Non si tratta tanto di un modello nuovo cui dobbiamo far aderire la realtà, ma si tratta proprio di relativizzare ogni modello, e, pur mantenendo un minimo di struttura, far nascere piccole comunità capaci di vera fraternità che condividono il vangelo e capaci di esprimere al proprio interno carismi e ministeri, nel territorio dove vivono.

Non è banale, ma una chiesa dal volto amico, una chiesa che è capace di dire parole che accarezzano la disperazione del mondo, che immerge non ancora in un battesimo di purificazione per rinnovare il senso di colpa, ma che immerge nella stima, nell’amore, nel valore che tu sei… non si improvvisa.

Finché avremo laici in prevalenza passivi, poco formati, poco consapevoli dei propri diritti e doveri, dipendenti dal clero e una teologia debole marginalizzata dalle dinamiche censorie o autocensorie…. Ma è soprattutto intorno alle figure dei vescovi e dei preti che si coagulano possibilità e resistenze al cambiamento: sono loro i soggetti centrali della chiesa tridentina e che ne hanno il potere di cambiamento, ma non ne hanno – di solito- il sogno.

Non è il modello che ci interessa, è il processo che conta, un processo che prende il via dall’immersione nel Giordano, un processo che, come scrive Paolo ai cristiani di Efeso, segue l’esempio del Cristo, di uno che abbatte i muri, che abbatte quelle muraglie costruite con la colpa, con le prescrizioni, con i giudizi ipocriti.

Sarà benedetto quel giorno in cui la gente, i nostri contemporanei smetteranno di dire che i cristiani sono “quelli che vanno a messa”… per dire come si diceva di Cristo, ecco gli amici dei pubblicani e dei peccatori!

(Ef 2,13-22; Mt 3,13-17)