II DOPO PENTECOSTE - Lc 12, 22-31
audio 6 giugno 2021
Riusciremo mai a prendere sul serio le parole di Gesù? Ci preoccupiamo sempre di noi, di quello che vestiamo, di quello che mangiamo… vale a dire, ci collochiamo al centro della terra e ci consideriamo autorizzati a fare tutto quello che serve per noi.
Ebbene Gesù ci chiede di cambiare sguardo, di spostare la concentrazione su di noi per abbracciare ciò che ci sta intorno, al creato, alla terra, all’acqua, all’aria perché sono nelle nostre mani le condizioni di futuro dell’ecosistema.
Lo diceva papa Francesco nel messaggio all’ONU per la giornata di ieri: “Ci resta poco tempo – gli scienziati dicono i prossimi dieci anni – per ripristinare l’ecosistema”. “Ingiusto e sconsiderato” continuare sulla strada della distruzione dell’uomo e della natura.
Raccogliamo l’invito di Gesù ad allargare lo sguardo così morbosamente ripiegato su di noi. Il cambiamento dello sguardo è una responsabilità etica: significa riuscire a comprendere il prezzo e le condizioni del nostro benessere, il prezzo che ora facciamo pagare all’aria, ai fiumi, alla terra, sapendo che il conto finale potrebbe essere molto più drammatico.
Se fino alla seconda rivoluzione industriale, la biosfera (oceani e foreste) assorbiva senza difficoltà la debole quantità di biossido di carbonio emessa nell’atmosfera, la sua concentrazione oggi è aumentata del 50%. Così che la biosfera non assorbe più le eccedenze di gas serra da noi prodotte.
Gli scenari immaginabili, se raggiungiamo la soglia dei +5°C, sono letteralmente apocalittici: la risalita del livello delle acque favorirebbe le inondazioni di coste densamente popolate, assisteremmo al moltiplicarsi delle migrazioni climatiche, alla siccità e a diluvi più frequenti e intensi, agli incendi, alla distruzione della foresta amazzonica, alla rarefazione delle risorse di acqua potabile…
Portiamo qui nella liturgia cristiana il grido del dono di Dio che è il creato e rispondiamo a questo grido con il desiderio e la volontà di cambiare.
Non si tratta di fare l’apologia di una decrescita che porterebbe all’immensa tragedia sociale di milioni di lavoratori disoccupati.
Dobbiamo promuovere un’altra crescita che faccia i conti con il limite e la finitezza delle risorse energetiche fossili e con la lentezza di riproduzione delle energie rinnovabili, si tratta di compiere una transizione ecologica.
La transizione ecologica è il processo grazie al quale le nostre società potrebbero passare da un’organizzazione economica incentrata essenzialmente sul consumo di energie fossili, che produce tra l’altro emissioni massicce di gas serra, a un’economia sempre meno energivora e inquinante.
È una transizione che sta ai prossimi decenni come l’invenzione della stampa sta al XV secolo o la rivoluzione industriale ai secoli XVIII e XIX.
Concretamente cosa significa?
Tre cose stanno in cima alla classifica delle cose da fare: il passo più immediato è senz’altro il rinnovamento termico, che ha lo scopo di ridurre drasticamente il consumo di energia da parte degli edifici, prima voragine energetica delle nostre economie attuali.
Il secondo cantiere che tocca la seconda fonte di consumo di energie fossili è la mobilità: aereo, auto, treno. Si potrebbe continuare l’abitudine acquisita in questo tempo di pandemia di organizzare videoconferenze anziché spostarci da un continente all’altro, o anche più semplicemente da un paese all’altro, per una riunione di lavoro.
L’urbanizzazione delle nostre città esige un ripensamento della rete del trasporto pubblico… e via di questo passo. Quindi quando andremo a dare fiducia ai nostri rappresentanti nella politica, verifichiamo quale sarà il loro impegno da questo punto di vista.
Un terzo cantiere infine è quello della trasformazione delle nostre modalità di produzione dell’energia: probabilmente non si potranno chiudere tutte le centrali a carbone, ma si potrebbe almeno investire massicciamente sulle fonti di energia non carbonica in modo da arrivare a fare a meno del carbone, almeno a livello europeo.
Noi abbiamo molte riserve di petrolio, di carbone e di gas nel nostro pianeta: se dovessimo arrivare a prelevare la totalità delle riserve conosciute, completeremmo nel giro di poco tempo il lavoro di rendere la terra inabitabile.
Lo sguardo che Gesù ci chiede di cambiare è una responsabilità storica: o noi riusciamo a innescare questa transizione ecologica e se ne parlerà nei libri di stori di fine secolo, ma se non vi riusciremo, forse se ne parlerà tra due generazioni, ma in termini ben diversi.
La questione ambientale non va trattata solo dal punto di vista tecnico o solo da quello etico di una etica generale e comune, ma anche da un punto di vista spirituale. Ascoltami figlio e impara la scienza, diceva il saggio ben Sirah nella prima lettura rivolgendosi al figlio. Occorre che torniamo ad imparare la scienza iscritta nell’ordine delle cose, impariamo a coniugare insieme il rispetto per l’ambiente e uno sviluppo sostenibile.
È quello che Gesù ci chiede nella conclusione della pagina di oggi, quando dice: Cercate il regno del Padre e queste cose vi saranno date in aggiunta. Gesù non auspica che gli uomini e le donne smettano di lavorare perché tanto ci sarebbe un vestito per tutti come per i fiori e cibo per tutti come per gli uccelli del cielo!
Piuttosto la questione che innesca un vero e proprio cambio di paradigma è dettata dalla domanda implicita: che cosa cerchiamo mentre lavoriamo e trasformiamo e creiamo economie? cerchiamo il regno di Dio, il regno del Padre come dice Gesù, o piuttosto cerchiamo il nostro utile, il nostro vantaggio?
Le nostre tecnologie, le nostre strategie economiche hanno come scopo il regno di Dio? e non si tratta di fare della teocrazia, ma di penetrare il mistero di Dio, in quella sapienza nella logica profonda delle cose, per cui il regno di Dio, il regnare del Padre anche per chi non crede significa rispetto del creato e costruire una società giusta, solidale e fraterna.
Siamo ospiti in questo mondo, siamo tutti migranti anche se non ci muoviamo da casa nostra se non per andare in vacanza, perché la terra è di Dio.
No, siamo onesti, noi non cerchiamo questo, noi sacralizziamo i nostri interessi, il nostro profitto, assecondiamo l’impulso del dominio e dello sfruttamento, e per questi obiettivi siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo. Noi siamo, per dirla con Paolo, uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia (v.18). Soffochiamo la verità dei doni di Dio nello sfruttamento iniquo, ingiusto, disumano per arricchire.
E una società rattrappita dentro lo schema del paradigma tecnocratico che mira a ottenere più risorse, più prodotti, più benessere, con sempre meno sforzi, meno investimenti, meno partecipazione non ha un grande futuro davanti a sé.
La terra viene incontro alla vita dell’uomo assai prima che l’uomo sappia volere la vita. È un’esperienza che nasce nel segno della meraviglia e della gratitudine e che ci deve insegnare a prenderci cura dei beni comuni, di ciò che è cum munus, ciò che è ricevuto in quanto dono per tutti.
Abbiamo bisogno, un bisogno vitale, di allargare lo sguardo capace di abbracciare tutto ciò che è comune come la terra che calpestiamo e l’aria che respiriamo.
Troviamo il tempo di passeggiare da soli, in silenzio, impariamo a vedere con attenzione gli alberi, i fiori, i ruscelli, i sassi, gli uccelli che volano… ci insegneranno cose che nessun maestro potrà dirci.
Se crediamo che l’Homo sapiens valga più dell’Homo oeconomicus, allora vale la pena impegnarci ognuno di noi per la propria parte, in questo cammino di transizione ecologica.[1]
(Sir 16,24-30; Lc 12,22-31)
[1] Cf. Gael Giraud, Transizione ecologica, EMI 2016