I DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE - Lc 9, 7-11


(Lc 9, 7-11)

La parola di Dio ci aiuta ancora una volta a comprendere e a guardare con discernimento la nostra vita, quello che accade intorno a noi, mentre ci misuriamo con un fondamentalismo che ci preoccupa e ci fa paura. La storia ce lo ricorda: in nome di un’idea, di un’ideologia l’uomo ha da sempre compiuto le più grandi violenze e ingiustizie. E questo non riguarda solo il fondamentalismo islamico, perché se non facciamo discernimento, anche noi, come già accaduto nel passato, possiamo scivolare per reazione in una deriva violenta e ottusa.

Ascoltiamo da questa prospettiva il vangelo di oggi che introduce in maniera curiosa la figura del re Erode, si tratta di Erode il tetrarca figlio di Erode il Grande, dico curiosa perché quando Erode sente parlare di Gesù, reagisce in due modi secondo l’evangelista Luca. All’inizio al v.7: non sapeva che cosa pensare; e poi, dopo aver sentito quello che dice la gente, al v.9: cercava di vederlo.

Ecco teniamo presente queste due cose perché sono la prospettiva nella quale facciamo discernimento. Anzitutto Erode, re viziato e corrotto, per capriccio aveva tolto di mezzo Giovanni il Precursore, sente parlare di Gesù e «non sa cosa pensare» di lui. E che cosa fa Gesù da mettere in confusione il re? È detto in sintesi nell’ultimo versetto del brano di oggi: parlava del regno di Dio e guariva quanti avevano bisogno di cure. Due cose semplici compie Gesù: parla di Dio e si prende cura di chi ha bisogno. È questo vangelo di straordinaria semplicità che sconvolge il re.

Mi diceva una giovane in questi giorni: «Mi sono riaccostata alla fede non per i riti, non per la struttura, non per… ma per la semplicità di Gesù». È stata una boccata d’ossigeno anche per me, perché non siamo più abituati alla semplicità, all’essenzialità… eppure Gesù è così ci rimanda dritti a ciò che conta e che dura: parlare di Dio e aiutare chi ha bisogno.

Ed è proprio questo che sconvolge Erode, al punto che non sapeva che cosa pensare. La semplicità sorprende e sconvolge. A noi quando capita di essere sconcertati al punto di non saper cosa pensare? Quando siamo spiazzati? Nel momento in cui ci siamo costruiti nella nostra mente un film, un castello di possibilità e di scenari e invece poi la situazione, la relazione, l’atteggiamento dell’altro o dell’altra ci hanno spiazzato e ci hanno mandato in confusione.

Magari come Erode pensavamo di aver risolto il problema eliminando la causa «tagliando la testa al toro» come si suol dire e lui l’aveva tagliata davvero a Giovanni, ma il problema in realtà è poi riemerso in tutta la sua forza! Ma come? Chi è uno che parla di Dio e si prende cura degli sfigati? Non è il solito rivoluzionario, il sovversivo di turno, l’idealista capace di tirarsi dietro quattro sgangherati disposti a tutto per un’idea.

Prima domanda: Gesù ci sorprende? Ci lasciamo ancora sorprendere o lo abbiamo rinchiuso in quattro categorie teologicamente precise e l’abbiamo imbalsamato? Secondo Martin Buber, grande pensatore ebreo del ‘900, ci sono due tipi di fede: l’uomo che crede in Dio, cioè ascolta Dio e l’uomo che crede in una dottrina. Se la rivelazione fosse soltanto una comunicazione di verità divine all’intelligenza umana, ci basterebbe un bigino, un manuale, un catechismo appunto, sapremmo tutto di Gesù, di Dio… ma fuori dal tempo, fuori dalla storia.

Martini, di cui ricordiamo oggi il secondo anniversario della morte, diceva ad Assisi nel 1985 in margine a un convegno sul Concilio: «Io sono convinto, e lo ripeto sovente, che per un cristiano di oggi è difficile, per non dire impossibile, perseverare nella fede, in un mondo tanto complesso e difficile come è il nostro, senza un nutrimento anche personale della Scrittura».  Non è una semplice esortazione all’uso della Bibbia, è in questione proprio la fede. È difficile, se non impossibile perseverare nella fede senza un nutrimento anche personale della Scrittura. Martini sapeva bene come il rischio del nostro credo sia quello di dimenticare il Mittente in favore del contenuto. Ecco perché abbiamo sempre bisogno di rimetterci in ascolto della parola di Dio.

A uno scolaro venne chiesto un giorno di raffigurare l’uomo moderno e l’uomo biblico: disegnò l’uomo moderno con due occhi grandissimi, e l’uomo biblico invece con due orecchie grandissime. Perché l’uomo biblico ascolta la Parola, mentre il moderno vuol vedere lo spettacolo.

Ascoltare la parola di Dio non significa che tutti dobbiamo diventare biblisti, esperti di esegesi, di ermeneutica biblica… ma se, come dice il Concilio, il nostro punto di partenza è l’intuizione della rivelazione di Dio come storia, allora la storia è importante. La vita dell’uomo con le sue gioie e i suoi drammi, le prove e le conquiste sono il luogo dove il vangelo di Gesù diventa come diciamo sempre parola di Dio.

Gesù sorprende perché parla di un Dio che regna nella vita di tutti i giorni e Gesù dice anche che il modo in cui regna Dio è di prendersi cura degli scarti, degli ultimi, di quelli che non lo votano, di coloro che non fanno pressione sociale e tantomeno opinione pubblica. Che è il contrario di quello che normalmente fa Erode e per questo finisce nello sconcerto.

Infatti, ecco la seconda reazione del re, «lo vuole vedere», ma non lo vedrà, almeno non subito. A Erode sarà dato di stare a quattr’occhi con Gesù, ma quando il Signore dopo essere stato arrestato e portato dal Sinedrio gli verrà condotto innanzi: Vedendo Gesù Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo per aver sentito parlare di lui e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui (23, 8). In quell’occasione, continua Luca, Erode incalza Gesù di domande (gli faceva molte domande v.9), ma lui niente. Neanche una parola, perché quello voleva vedere miracoli e non era affatto disposto ad ascoltare! Erode spazientito lo insultò, scrive sempre Luca, si fece beffe di lui, gli mise un mantello di quelli con cui giravano i matti, così da metterlo in ridicolo nel tratto di strada che percorre per andare da Pilato. Non solo, annota sempre Luca 23, 12: In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti vi era stata inimicizia. Erode cercava di vedere Gesù così come si va a vedere un fenomeno da baraccone, ma non riesce ad ascoltare un uomo che parla di un Dio che regna prendendosi cura di chi ha bisogno.

Ecco la seconda domanda: quanto della mia preghiera è cercare di vedere il miracolo e quanto è ascoltare la parola di Gesù che illumina la vita? Cosa sarebbe successo se Gesù avesse accettato di fare qualche miracolo davanti a Erode? Sarebbe diventata subito religione di stato! Cosa sarebbe accaduto se Gesù avesse fatto un patto con Erode: «Tu da una parte e io dall’altra, così non ci pestiamo i piedi e vedrai che tutto va bene…»? non avrebbe detto di nuovo al mondo!

Gesù invece sfugge alle manipolazioni di Erode e sfugge anche alle nostre per continuare a parlare di come Dio regna guarendo coloro che hanno bisogno di cure. Ma noi parliamo di Dio così? O parliamo delle nostre idee di Dio? Per questo dobbiamo tornare alla parola di Dio meditata personalmente, solo allora saremo chiesa non scontata, non appiattita sulle logiche del potere e tanto meno arroccata in difesa di un’idea.

È una responsabilità storica in questo momento in cui Dio viene ridotto a un’idea e viene utilizzato per giustificare la violenza e l’ingiustizia tornare alla semplicità e all’essenzialità dell’annuncio di Dio. Lo esprimeva in maniera davvero straordinaria Etty Hillesum in una preghiera della domenica mattina del 14 luglio 1942 mentre era rinchiusa nel campo di concentramento: «Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Una cosa però diventa sempre più chiara per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati degli altri uomini» (D 713).