I DOMENICA DOPO PENTECOSTE - Solennità della Santissima Trinità - Gv 15, 24-27
Dopo aver ascoltato la lettura dell’Esodo viene spontaneo pensare alla fatica fatta da Mosè che deve risalire sul monte per incontrare Dio, perché affrontare il mistero della Trinità è come essere di fronte a una parete di roccia o al percorrere un sentiero irto esposto sugli abissi delle vallate del nostro modo di pensare…
Ma ben guardare non è tanto la salita ad essere al centro del racconto. Mentre Mosè riceveva dall’Eterno le tavole dell’alleanza, il popolo in sua assenza si era costruito il vitello d’oro, e quando Mosè scese dal monte e lo vide, frantumò le tavole non solo come reazione di rabbia, ma anche per dire che quell’alleanza si era rotta, si era frantumata… Però poi appunto il profeta, l’uomo di Dio, avvertì la necessità di risalire, di tornare lassù, di tornare sul monte dove comprese che la gloria e il nome di Dio sono la misericordia, la fedeltà, l’amore.
Immaginiamo un Mosè redivivo che scende dal monte e viene in mezzo a noi, al popolo di Dio… avrebbe ragione di spezzare nuovamente le tavole perché, se noi diamo retta non alle parole, ma ai fatti, il vitello d’oro è sempre e ancora il dio della nostra società, non più rappresentato in forme arcaiche, ma quanta gente ancora balla intorno al totem della ricchezza, del guadagno, del potere!
Tutti sappiamo che la vera divinità che governa la nostra società è il profitto, chiamato in mille modi, ma è sempre presente, anche nei santuari… Ditemi voi se non c’è il vitello d’oro nelle piazze della società evoluta di oggi, che ha costruito intorno al vitello d’oro una cintura spaventosa di interessi, di mafie, di armi per la sua difesa.
Il dramma è che noi continuiamo a parlare di Dio – e siamo qui anche oggi – noi continuiamo a parlare di Dio, mentre indisturbata e sicura di sé la società danza intorno al vitello d’oro, unica vera onnipotenza.
La questione tra l’altro è che questo popolo a diversità di quello delle origini che fu oggetto delle ire di Mosè, non è funestato da nessuna ira, anzi se non sei partecipe della danza sei uno fuori dal mondo, dalla realtà, se non sei omologato, sei sfigato.
Lo vediamo anche in quel debole sforzo di fare un’Europa unita che si appoggia quasi esclusivamente sulla logica del mercato.
Il dramma è che quando si elaborò la mirabile teologia sulla Trinità, sul dogma si posò la spada di Costantino che disse: Chi non ci crede, lo ucciderò! Vuol dire che c’era perfino in quella teologia una specie di omogeneità allo spirito di potenza. E infatti una volta chiuso il mistero di Dio negli alti logaritmi teologici chi ne poteva parlare? Soltanto gli esperti.
Ben presto ci si dimenticò che il Dio di Gesù Cristo fu annunciato da un gruppo di analfabeti i quali non avevano nessuna preoccupazione di spiegare che Dio è Uno in Tre persone uguali tra loro, dato che nessuno si preoccupava di interrogarli su questa uguaglianza. Quel messaggio era un messaggio di salvezza e non la rivelazione di arcani segreti o di arcane dottrine.
Poi invece è avvenuto che questa dottrina sulla unità e trinità di Dio si è resa raffinatissima, tanto che chiunque ne osa parlare senza i titoli di studio adeguati incappa in gravissimi errori. Allora per evitare l’errore si impedisce la predicazione, o meglio, si monopolizza.
Con il bisogno di rendere il mistero di Dio credibile, accettabile e formulato secondo le regole del sapere umano, siamo arrivati a definire un dogma quello che costituisce il punto di riferimento ineludibile della fede cristiana: Dio è Padre, Figlio e Spirito santo, uno nella natura e trino nelle persone.
Se noi proviamo a spiegare a un bambino che cosa questo significhi ci accorgiamo come difficilmente un bambino entri in questa contraddizione logica dell’unità che si compone con la trinità.
Dico un bambino ma diciamo pure che siamo tutti bambini. Ad un certo punto il mistero diventa una tribolazione dell’intelletto senza riferimenti con la nostra vita pratica. In nome della Trinità ci si è sgozzati, si sono fatte guerre, cioè si è contradetto nei fatti ciò che si professava nella fede.
Avvenne nel cuore del Medioevo che quel santo dei santi che è Francesco d’Assisi potesse sì andare a predicare, purché non parlasse di Dio, dato che di Dio potevano parlare soltanto i chierici, gli esperti e lui era un laico.
Francesco con una specie di inconscia astuzia, tutta evangelica, predicava la misericordia, la povertà, il rispetto per la natura e la pace… e su questi temi lo lasciavano fare.
Però Francesco ripropose quello che le prime comunità di cristiani facevano con semplicità perché parlavano del Padre, del Figlio e dello Spirito sapendo che la comunione tra i fratres era il luogo della conoscenza del mistero di Dio.
Oggi ritorna urgente questo capovolgimento, dobbiamo fare un capovolgimento antropologico. Prima di parlare di Dio, parliamo di noi. Interroghiamoci se viviamo relazioni piene di rispetto, libere, fraterne… Non è un fatto irrilevante ai fini della comprensione della Trinità, anzi è la via giusta, quella indicata dal Signore.
La differenza tra il discorso di Gesù e il discorso dei teologi è che il discorso di Gesù lo capiscono i semplici e i bambini, quello dei teologi solo la casta degli specialisti. Il discorso di Gesù nella sua semplicità però è un discorso che risolve il mistero di Dio in una consegna della vita, in un modo di essere. Questo è fondamentale.
Secondo una suggestiva schematizzazione, un filosofo dice che nell’antichità il pensiero umano aveva assunto come suo centro di riflessione l’essere, il pensiero moderno ha assunto come suo centro di riflessione l’io, oggi e nel futuro dovrà assumere come centro di riflessione l’altro, l’alterità, la diversità.
Non si tratta di sognare un facile irenismo, di un futuro ingenuo fondato sull’amore… perché anche l’amore è vorace, in nome dell’amore divoriamo gli altri! L’amore spesso mira alla fusione, tende ad annullare l’alterità.
Questi sono i tempi in cui dobbiamo imparare a confrontarci con diversità enigmatiche che appaiono già all’orizzonte e di fronte alle quali le diversità che ci si propongono oggi nel vivere quotidiano sono banalità, ovvietà. Senza entrare nei temi della bioetica o della questione di genere, pensate alla necessità di confrontarci con altre esperienze di Dio totalmente diverse dalla nostra, e a fare i conti con la tentazione di metterle al bivio: o diventano come le nostre o vanno condannate, perché questo è stato il metodo del passato anche da parte della chiesa.
Noi dovremo accettare la diversità che è il luogo umano per conoscere il mistero di Dio.
L’illuminazione che ci viene dal mistero della Trinità è che Dio è uno ma non è solo.
Il Dio della fede cristiana è uno ma non è solo perché all’interno della sua unità c’è la sussistenza delle persone, cioè c’è l’alterità. Non solo Dio è altro dinanzi a me, ma al suo interno esiste questa circolarità in cui le persone sono in quanto altre e tuttavia in questa alterità si unificano nel dono reciproco perché l’alterità supera se stessa nel dono di sé.
E questo non è irrilevante per la vita e per il futuro dell’umanità. La pace, al di là di tutte le accezioni ideologiche e idealistiche, evanescenti e sentimentali è la convivenza dell’unione nell’alterità per cui il mistero della Trinità è come la condensazione di questa profonda vocazione dell’uomo.
Dobbiamo educare al rispetto dell’altro, del diverso. Dobbiamo inchinarci e trasmettere il senso di riverenza di fronte all’alterità che può essere quella della famiglia, del padre, della madre, del fratello e quella di ogni altro uomo e ogni donna.
È da questo primo passo che tutto dipende. Se nel rapporto con gli altri entro con il piglio della prepotenza, anche se sono un uomo di chiesa, sarò un prepotente e porterò con me questo peccato. Non è questa la logica che Paolo chiama il dominio della carne? Il dono dello Spirito è comunione. La carne è la mondanità, l’omologazione.
È per questo che persone che pure si vantano del nome di Cristo ci incutono il bisogno di difenderci da loro perché nascondono desiderio di dominio, negano l’alterità, sono oppressi dalla violenza di inglobare tutto nel proprio modo di vedere.
Mentre ci capita, ed è una vera Pentecoste, di essere sorpresi nel vedere persone che non sono arrivate nemmeno a porsi il problema del Dio uno e trino e che tuttavia hanno una profonda spiritualità perché vivono nel rispetto dell’altro.
(Es 33, 18-23; 34, 5-7a; Rm 8, 1-9b; Gv 15, 24-27)