V DOPO PENTECOSTE - Gv 12, 35-50
Continuando ad ascoltare la storia della salvezza, il racconto dell’economia di Dio nella vicenda del mondo, dopo la creazione e il peccato di Sodoma e Gomorra, incontriamo la figura di Abramo e più precisamente il fatto che Abramo sia destinatario di un’iniziativa di Dio definita come alleanza, «berit» in ebraico, «testamentum» in latino.
Quando diciamo che la Bibbia è composta dall’Antico o meglio dal Primo testamento e dal Nuovo testamento, il sostantivo “testamento” non sta ad indicare il documento in cui sono scritte le ultime volontà di una persona, ma sta per «alleanza» appunto.
Cos’è l’alleanza? È un patto che lega e vincola due o più contraenti per un comune interesse e obiettivo, ma contrariamente alle nostre politiche e diplomazie dove le alleanze sono definite dai rapporti di forza e di potere per determinare e controllare gli equilibri economici, politici e strategici… In Genesi l’Eterno decide di sua iniziativa di dare fiducia ad Abramo, a un forestiero, anzi a un clandestino che non ha un pezzo di terra che gli appartenga e che si sta muovendo attraverso territori già ben presidiati e occupati da altre popolazioni inseguendo una promessa: la promessa di una discendenza e di una terra.
Quella tra il Signore e Abramo è dunque un’alleanza asimmetrica nel senso che i due contraenti non sono per nulla sullo stesso piano. L’Eterno sceglie un clandestino come Abramo, come uno al quale affidare la propria fiducia. È il più forte che si pone in una posizione debole, come se Dio avesse bisogno di Abramo, per dire la sua volontà, la sua intenzione e il suo desiderio profondo, anzi Dio è davvero caparbio in questo suo desiderio se il termine «alleanza» nella prima lettura ricorre almeno 11 volte!
Un desiderio che nella storia verrà reiterato più volte fino a concretizzarsi in maniera definitiva in Gesù: Gesù è il segno inequivocabile dell’intenzione di Dio di stringere amicizia con l’uomo.
Ma per contro dobbiamo domandarci: che cosa si aspetta l’Eterno dall’alleanza con Abramo?
Stando alla lettura di oggi (Gen 17, 1-16) una cosa sola è chiesta ed è sorprendente, perchè Dio domanda ad Abramo, che ha novantanove anni, un segno doloroso per la sua età: la circoncisione.
Perchè tra tutti i segni con cui Dio poteva chiedere a quell’uomo di rendere visibile l’alleanza ha scelto la circoncisione?
Questa pratica se compiuta su adulti, provoca febbre e dolori acuti, così che il patriarca si trova a soffrire non per una malattia, ma per il fatto di avere impresso nella propria carne il segno dell’alleanza.
Non dobbiamo dimenticare che a quel tempo la circoncisione era anche una forma di iniziazione al matrimonio, non è forse per questo significato che il Signore la sceglie come segno concreto della sua volontà? per dire il suo desiderio d’amore per Abramo e per l’umanità, per un’umanità che in qualche modo va iniziata all’amore del suo Signore.
La questione è che è un’iniziazione dolorosa.
L’alleanza con Dio non è semplicemente un privilegio spirituale, che possiamo comprare con qualche preghiera o pratica religiosa devota: è un legame amoroso e doloroso che entra fin dentro la carne, fin dentro le fibre dell’essere.
Al punto che quando anche la circoncisione perderà di senso e diventerà uno stemma da esibire, quasi una pretesa di fronte a Dio, i profeti si alzeranno a dire: «Ma circoncidete il cuore!» (Geremia).
Senza questa comprensione non riusciremmo ad entrare nel senso della vita di Gesù che afferma di non dire altro se non le cose che il Padre gli ha detto: «le cose che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».
Gesù è il compimento di quel disegno iniziato con Abramo da un Dio che ha bisogno di comunicare il suo amore all’uomo, per questo compie segni grandi, come dice Giovanni. E questi segni erano iniziati – osservate un po’ – a Cana di Galilea, a un matrimonio, a una festa di nozze – che pure è un patto d’alleanza -, e si erano conclusi a Betania con il ritorno in vita di Lazzaro, al quale Gesù era legato da un patto d’amicizia.
Tutti segni che dicono l’amore di Dio. Eppure non credono. Perchè?
Perchè l’uomo può anche non accettare, può non credere per il fatto che l’atto di fede esige anche il dolore del credere, un dolore che non è più dato dalla circoncisione, ma dal cambiamento del cuore, dalla circoncisione del cuore.
Al cap. 8 di Giovanni, Gesù dice: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna» (8,39.44).
Il rischio che ci abita è di non accettare il dolore di credere, di pagare sulla propria carne, come Abramo, il fidarsi di Dio, perchè, come dice Paolo, Abramo è padre anche di tutti i non circoncisi che credono (Rm 4, 3-12), e così di diventare figli della menzogna, ipocriti e impostori.
«Impostore – scrive s.Agostino – è colui che ama mentire e dentro l’animo in modo abituale si diletta della menzogna. Tali sono coloro che nel mentire si propongono di accattivarsi il plauso della gente (La menzogna, 11.18).
Anziché piacere a Dio, si preferisce ingannare se stessi e gli altri, come i farisei di cui Gesù afferma: «Amano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio».
Infatti il potere si alimenta della menzogna, ovvero della separazione tra azioni e pensieri, tra ciò che si dice e ciò che si fa, come afferma un filosofo contemporaneo: «La menzogna è una componente essenziale della potenza; ovvero si è più potenti praticando la menzogna» (E. Severino).
Ancor più oggi che la menzogna è diventata via via più pervasiva e sottile grazie anche alle falsificazioni continue operate dai mezzi di comunicazione di massa, che decidono cosa dobbiamo sapere e cosa no; cosa dobbiamo conoscere e cosa no.
Allora quando diciamo che Gesù è venuto nel mondo come luce perchè chiunque crede in lui non rimanga nelle tenebre, noi diciamo che il Cristo riluce perchè in lui i pensieri, le parole e le azioni concordano in modo assoluto e manifestano la semplicità e l’unità del suo modo di essere, della sua vita.
Gesù è luce perchè in lui non c’è falsità, non c’è impostura, né menzogna.
Perdonando i suoi uccisori, ha confermato di essere il Figlio che ha vissuto pagando fino in fondo la fedeltà di Dio all’alleanza con l’umanità.
In questo modo ha posto definitivamente una linea di demarcazione tra la verità e la menzogna, tra la luce e le tenebre, tra l’Abbà, Padre che ci chiede di vivere come fratelli senza esclusioni e il padre della Menzogna che ci comanda di crocifiggere l’altro, di escluderlo.
Domandiamo al Signore la forza di portare nella nostra carne il dolore della fede, il dolore dell’amore di Dio che ci domanda di non inseguire il plauso della gente e del consenso come criterio di verità, per non diventare figli della menzogna.
Chiediamo di essere discepoli senza temere la critica del mondo, a costo di essere come Abramo, clandestini di Dio.