III DI QUARESIMA o Domenica di Abramo - Gv 8, 31-59
Care amiche, cari amici, spero stiate tutti bene!
Il perdurare di questo tempo di costrizione in casa ci impedisce di incontrarci per celebrare insieme l’Eucaristia, siamo senza sacramenti, senza liturgie nemmeno per accompagnare i nostri morti, senza celebrazioni, senza paramenti, senza solennità… spogliati di tutta l’organizzazione religiosa che abbiamo costruito nei secoli e siamo smarriti.
Ora che la liturgia (in greco: leitos-ergon), l’azione per eccellenza del popolo viene sospesa proprio per la salvaguardia del popolo stesso… la prima questione non è come possiamo fare, come supplire a questa mancanza, perché la prima via facile è di ricorrere all’esperienza virtuale, ma proviamo a chiederci: quale chiesa possiamo essere? Come possiamo essere chiesa, comunità, popolo in questo frangente?
Quando papa Francesco ci diceva nell’Evangelii gaudium (2013) che voleva vedere una Chiesa “ospedale da campo” non pensava certamente a questa situazione, eppure la Chiesa che siamo chiamati a vivere oggi è quella di chi si trova a dare supporto all’ospedale da campo vero e proprio!
Siamo popolo di Dio oggi non nella misura in cui scendiamo in piazza, in cui partecipiamo a pontificali solenni, in cui viviamo liturgie di massa, ma nel momento in cui soffriamo con chi ha più bisogno di noi, con chi è in prima linea nel servire i malati, nello studiare i rimedi, nella ricerca… anche questo è il popolo di Dio e noi forse ce lo eravamo dimenticati. Presi dal fascino di spettacoli religiosi emozionanti abbiamo trascurato se non dimenticato tutta quella parte del popolo di Dio che in silenzio, fedelmente ogni giorno serve i più poveri, i malati, gli ultimi. Si spende e si dona.
Il digiuno dalla liturgia ci può aiutare a ridare importanza e spazio al profilo di una chiesa popolo di Dio che serve, che ama, che si dona, appunto una chiesa “ospedale da campo”.
Ma cosa possiamo fare noi, come vivere la fede da soli? Senza la partecipazione, la frequenza della comunità?
Tanti mi chiedono, mi scrivono per domandarmi di offrire suggerimenti di riflessione, di preghiera, di spiritualità… ed è molto bello e qualcosa vi prometto cercherò di fare. Ma questa occasione di essere chiesa in un modo diverso da quello cui eravamo abituati, ci restituisce ad una questione che ci rimanda all’essenziale della nostra fede. Ora siamo ridotti all’essenziale. E dovremmo essere in grado di non trovare surrogati a questo spogliamento.
Non accontentiamoci di mondi religiosi e liturgie virtuali. Abitiamo la nudità di una fede ridotta all’essenziale e come? Anzitutto ve lo dico così: “Se avete un diario, continuate a scriverlo, se non lo avete, cominciate a tenerlo”.
E poi concentriamoci sull’essenziale, come dice Gesù ai suoi contemporanei: Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli (8,31). Rimaniamo nella parola di Gesù e continuiamo a vivere il Vangelo. Ecco l’essenziale.
Ed è ciò che disturba e preoccupa i Giudei che discutono con lui nel cap. 8 di Giovanni quando reagiscono alle parole di Gesù dicendo: Noi abbiamo il tempio, abbiamo l’alleanza, abbiamo Abramo, siamo religiosi!
Per tutta risposta al v.56 Gesù risponde loro: Abramo sorrise nella speranza di vedere il mio giorno. Curiosa questa risposta del Cristo e che tra l’altro li fa incattivire al punto che raccolsero pietre per gettarle contro di lui (v.59).
Per cercare di capire cosa voglia dire il Signore dobbiamo andare a rileggere i capp. 17 e 18 della Genesi (un compito da fare a casa!). Abramo alla veneranda età di 99 anni riceve da Dio il rinnovo della promessa. Pensate dopo 24 anni di silenzio la promessa era ancora una parola sospesa al punto che Abramo, come ricorderete, si era organizzato da sé con la schiava Agar che gli aveva dato Ismaele.
Genesi racconta che Abramo, quando Ismaele aveva 13 anni di età e lui 99, al sentire Dio che gli dice: Guarda tra un anno tornerò da te e avrai un figlio… Per tutta risposta si era messo a ridere!
Abramo prostrato col viso a terra non riesce a vedere così lontano, verso una discendenza di re, nazioni, moltitudini dove lo vorrebbero portare le parole di Dio. Per questo Abramo sorride.
Come dobbiamo intenderlo quel sorriso? Ironia, mancanza di fede, realismo, scetticismo?
A 99 anni aveva tutte le ragioni del mondo per sorridere di una promessa simile. Sorride infatti anche sua moglie Sara (18,12) quando risponde al Signore: Avvizzita come sono dovrei provare piacere mentre il mio signore è vecchio?
Al che l’Eterno per tutta risposta: C’è forse qualcosa d’impossibile per il Signore? Allora Sara negò: Non ho riso. Perché aveva paura, ma il Signore disse: Hai proprio riso (v.15).
Ora quel riso li accompagnerà per il resto dei loro giorni e rimarrà inciso nel volto del figlio della vecchiaia il cui nome, come dice Dio (17,19) sarà Yishaq-‘El, che significa Dio sorride. Isacco il sorriso di Dio.
Il dono del figlio Isacco è il dono del sorriso fecondo di Dio quale risposta al sorriso scettico e realista, ma sterile dei due anziani. La logica, la razionalità, la natura delle cose fanno sorridere gli uomini di fronte a una promessa improbabile come quella di Dio, ma rimane una risata isterica, sterile, sciocca perché vede le cose solo a partire dalle proprie posizioni e certezze.
Quando invece un anno dopo, con la nascita di Isacco, sarà Dio a sorridere dell’incapacità umana di vedere oltre, di fidarsi di lui, quello allora sarà un sorriso fecondo, generativo, portatore di vita.
Il sorriso di Dio sarà sempre lì davanti ai loro occhi nella figura di un figlio che ormai non aspettavano più e che ricorderà loro per sempre la sorprendente iniziativa di Dio.
Fin qui la Genesi. Ora, quando Gesù dice: Abramo sorrise nella speranza di vedere il mio giorno. Lo vide e fu pieno di gioia, che cosa intende?
Mi sembra che Gesù compia un’interpretazione intrigante perché se Abramo ha visto il suo giorno, il giorno della sua incarnazione, questo significa che Gesù si vede e si comprende alla stregua del dono di Isacco. Nel senso che di fronte alla sicumera di chi pensa di conoscere tutto di Dio, di sapere tutto di lui, della sua Legge e delle sue regole, Gesù è il sorriso di Dio in quanto rivela la sorprendente e generativa iniziativa di Dio, alla faccia delle nostre sicurezze, delle nostre baldanze religiose che tante volte sono sterili.
Gesù è il sorriso di Dio per noi in questo frangente così difficile e doloroso, soprattutto dal punto di vista delle nostre abitudini religiose messe in crisi dalla pandemia.
Gesù ci invita a fare quello che Abramo in un primo tempo non riusciva a capire nel suo essere prostrato a terra, vale a dire fidarsi dello Spirito di Dio che dischiude nuove e inedite possibilità di vivere con fede.
In fondo questa condizione facendoci uscire dalle cose che abbiamo sempre fatto, dischiude nuove e inedite possibilità che non ci siamo mai concessi e che non ci siamo mai autorizzati anche solo a pensare.
Ricordo una osservazione che viene attribuita ad Albert Einstein, tanto elementare quanto illuminante circa il ritmo delle cose del mondo, che ben si adatta alla nostra situazione attuale e che potrebbe essere feconda di futuro più di tanti programmi pastorali che non hanno quasi mai cambiato nulla. L’osservazione è la seguente: «Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare sempre le stesse cose».
Ora nella costrizione di non fare sempre le stesse cose, non attendiamo semplicemente che tutto passi per poter tornare quanto prima alle nostre abitudini. Fermiamoci e vediamo davvero se deve proprio essere così.
Cominciamo a sorridere delle nostre sterili abitudini. Questo è il tempo ed è l’occasione giusta per curare l’essenziale. Dio in fondo è riuscito a far ridere Abramo e Sara, ed è proprio questo sorriso che fa il miracolo e li rende insperabilmente generativi.
Non potrebbe essere l’occasione per conoscere un Gesù meno istituzionalizzato e più “domestico”, attraverso la lettura e la meditazione sulle pagine del Vangelo? Perché non fermare e mettere per iscritto le riflessioni e i pensieri che la parola di Dio ci suggerisce?
In questi giorni si va ripetendo come un mantra questo ritornello: Andrà tutto bene. Ed è bello quando a dirlo è un genitore al bambino spaventato e disorientato perché non vede più i suoi amici, i suoi compagni, perché è in casa tutto il giorno… ma per un adulto andrà tutto bene non vuol dire che tutto sarà come prima.
Dobbiamo con coraggio riconoscere che non è vero che tutto tornerà come prima, perché se impariamo ad abitare la nudità di una fede ridotta all’essenziale, ne usciremo tutti cambiati e rigenerati.
(Gv 8, 31-59)