IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V. MARIA - Lc 1, 26-28


Mi sono chiesto perché Gesù abbia ritenuto necessario entrare così solennemente in Gerusalemme. Poteva continuare il suo ministero in Galilea, sulle rive del lago, percorrendo villaggi e incontrando persone di ogni tipo, e invece ad un certo punto decide di entrare in città, e di entrarvi non in modo semplice come aveva già fatto altre volte, ma richiamando su di sé l’attenzione (Mc 11, 1-11).

Infatti è lui a prendere l’iniziativa di inviare due discepoli a «prenotare» se così possiamo dire, un puledro, un puledro d’asina, dice Matteo. È chiaro l’intento di Gesù: è un modo di ripresentarsi alla città con un’investitura precisa, non quella di un messia politico, militare, economico, né sacerdotale, ma come profeta che non possiede altro strumento di riconoscibilità che quello della sua autorevolezza che si appoggia non ai grandi mezzi di convinzione, di dimostrazione di potere e di potenza, ma solo alla dolce persuasione della sua parola e dei suoi gesti di attenzione e di cura.

Gesù dunque prende l’iniziativa di entrare in città con grande semplicità e per questo è profetico. Il Signore viene, come diceva il profeta Zaccaria giusto e umile, cavalcando un asino, un puledro d’asina… per far sparire i carri da guerra e i cavalli, con gli archi.. per annunciare la pace ai popoli (9,9s). Non usa un corteo di autoblindate, diremmo noi oggi, sfrecciando con le sirene e sfiorando appena la vita della città, delle persone che la abitano, ma vi entra con la fragilità e la dolcezza della sua Parola per farsi incontro ai volti, alle storie di vita, alle situazioni concrete.

Sottolineo questo aspetto perché non si entra che così nel cuore delle persone. Sono tanti coloro che incontriamo e che dicono di non credere, di non credere in niente… ormai rassegnati e chiusi in se stessi. Mi sembra che la preoccupazione di Gesù non sia quella di convincere la città a credere in lui, ma di arrivare al cuore delle persone.

Sarà l’ascolto umile e docile della parola di Dio a rigenerare la città, Gesù continua a entrare nei cuori delle persone e nel cuore della città, se ci sarà qualcuno che continua a portare avanti la parola del Vangelo, a viverla con disarmante semplicità.

Gesù con questo ingresso solenne indica anche la mèta del suo cammino in mezzo a noi perché a Gerusalemme conoscerà la passione, morte e risurrezione, cosa che avviene nella città e poi la condanna verrà eseguita fuori di essa. Il trono della mansuetudine di cui parlava Isaia nella prima lettura (16,1-5) è la croce sulla quale Gesù consegna se stesso per amore e la città nuova si fonda su questo dono.

Infatti è ancora nella città che lo Spirito del Risorto si manifesta ai suoi fino a quando, come ci insegna Giovanni nell’Apocalisse, la pienezza dell’umanità e della storia si realizzerà nella nuova Gerusalemme, ancora in una città. È nella nuova Gerusalemme che regna l’agnello immolato, quello appunto della Pasqua, come a dire che la città nuova, l’umanità nuova che cerca di stare insieme, di abitare unita, di condividere, di stare bene insieme lo può fare se vive della logica pasquale del dono di sé.

Ognuno di noi ha un dono per la città, per la convivenza, per la fraternità umana. La città dei servizi, la città dalla quale si pretende di avere e di ottenere, la Milano da bere come si diceva qualche anno fa… non basta, delude e implode su se stessa. Se vogliamo migliorare la qualità di vita della città, ognuno può fare la propria parte in maniera proattiva, a partire dalla convivenza così difficile nel condominio, nella stessa scala, nel quartiere perché ognuno di noi è un dono per l’altro, ognuno è portatore di quel dono che solo lui può dare. Gli insulti, le lamentele, le aggressività si sprecano e sono sempre più diffuse… ma domandiamoci: cosa dono io alla città? faccio la mia parte con quella mansuetudine di cui il Signore è stato testimone?

Infine Gesù, entrando così in Gerusalemme, ci indica anche come Dio entra nelle nostre vite, nelle nostre città, ovvero affrontando e confrontandosi fin da subito con i problemi, i conflitti, le ingiustizie. Subito dopo questo ingresso i vangeli ci raccontano dei mercanti scacciati dal tempio, del fico che viene seccato perché non dà frutti… sono dei gesti simbolici, eloquenti e quanto mai attuali.

Il Signore entra in città e affronta le tensioni del suo tempo e si misura con esse. Cosa incontra il Signore entrando oggi nella nostra città? quali sono le preoccupazioni e le tensioni che la attraversano? Potremmo dire tante cose, consideriamo solo due emergenze: la casa e il lavoro, temi che riguardano la nostra città e non solo.

«Oggi, dice Papa Francesco, viviamo in immense città che si mostrano moderne, orgogliose e addirittura vanitose. Città che offrono innumerevoli piaceri e benessere per una minoranza felice ma si nega una casa a migliaia di nostri vicini e fratelli, persino bambini, e li si chiama, elegantemente, “persone senza fissa dimora”. È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi. Non si dicono le parole con precisione, e la realtà si cerca nell’eufemismo. Una persona, una persona segregata, una persona accantonata, una persona che sta soffrendo per la miseria, per la fame, è una persona senza fissa dimora; espressione elegante, no? Voi cercate sempre; potrei sbagliarmi in qualche caso, ma in generale dietro un eufemismo c’è un delitto.

Viviamo in città che costruiscono torri, centri commerciali, fanno affari immobiliari ma abbandonano una parte di sé ai margini, nelle periferie. Quanto fa male sentire che gli insediamenti poveri sono emarginati o, peggio ancora, che li si vuole sradicare! Sono crudeli le immagini degli sgomberi forzati, delle gru che demoliscono baracche, immagini tanto simili a quelle della guerra. E questo si vede oggi.

Quanto sono belle le città che superano la sfiducia malsana e che integrano i diversi e fanno di questa integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Quanto sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che uniscono, relazionano, favoriscono il riconoscimento dell’altro! Continuiamo a lavorare affinché tutte le famiglie abbiano una casa e affinché tutti i quartieri abbiano un’infrastruttura adeguata»[1].

E poi il lavoro. È una delle tensioni più gravi che viviamo, tutti sappiamo che in Italia i giovani disoccupati sono più del quaranta per cento; sapete cosa significa quaranta per cento di giovani, un’intera generazione… «Sono cifre chiare, ossia dello scarto, dobbiamo sacrificare una generazione di giovani, scarto di giovani, per poter mantenere e riequilibrare un sistema nel quale al centro c’è il dio denaro e non la persona umana»[2].

Ricordando la cacciata di Gesù dei mercanti dal tempio, potremmo dire che è necessario cacciare il mercato oggi dal tempio della persona umana e della convivenza umana per inventare nuove forme e nuove modalità di lavoro. Ricordava papa Francesco ai movimenti popolari: «Nonostante questa cultura dello scarto, questa cultura delle eccedenze, molti di voi, lavoratori esclusi, eccedenze per questo sistema, avete inventato il vostro lavoro con tutto ciò che sembrava non poter essere più utilizzato, ma voi con la vostra abilità artigianale, che vi ha dato Dio, con la vostra ricerca, con la vostra solidarietà, con il vostro lavoro comunitario, con la vostra economia popolare, ci siete riusciti e ci state riuscendo… E, lasciatemelo dire, questo, oltre che lavoro, è poesia!».

Teniamo viva la parola del Vangelo perché continui a fecondare la città, crediamo nella semplicità profetica del Vangelo che può cambiare i cuori.

Consideriamo qual è il dono che ciascuno può portare alla città, con la mansuetudine.

Infine, da discepoli del Cristo non cediamo al lamento, ma affrontiamo i grandi problemi di oggi con il coraggio e la fantasia che ci vengono dalla fede.

 

[1] Incontro mondiale dei Movimenti Popolari, 28 ottobre 2014

[2] Ivi