Siamo noi quelli cui manca sempre qualcosa: la prima lettura dice che nel deserto «manca l’acqua per la comunità»; nel vangelo durante una festa di nozze «Non hanno vino». Ciascuno di noi qui potrebbe elencare tutto ciò che gli manca per stare bene, per essere felice, per un lavoro soddisfacente, per una vita di coppia serena, per riuscire nell’educazione dei figli… di quante cose abbiamo bisogno!
E quando il bisogno si fa più acuto, succede come a Mosè e Aronne che sentono le proteste del popolo e non sanno che fare. Mai avrebbero pensato di dover parlare alla roccia. Parlare ai sassi non produce nulla. Quante volte l’abbiamo detto davanti all’incapacità delle persone di capire la situazione e di cambiare atteggiamento.
Invece la parola di Dio non solo parla anche ai sassi, ma apre una fessura nella roccia e fa scaturire acqua.
Potrà mai uscire acqua dalla roccia in mezzo a un deserto? Mosè non ne era poi del tutto convinto, tant’è che batte due volte sul sasso. L’interpretazione tradizionale si è volta sempre con grande tristezza a questo colpo di bastone dato ‘due volte’. Che anche lui abbia provato un po’ di sfiducia? O piuttosto Mosè crede che tocchi a lui fare qualcosa e quindi compie il gesto a modo suo, battendo due volte?
Certo è che quel luogo rimarrà nella memoria del popolo, come il luogo dell’acqua che salvò la vita di tanti, ma anche della contestazione: Meriba significa appunto ‘contestazione’. E non è solo il ricordo della contestazione popolare, perché le acque di Meriba sono testimoni della contestazione che ha coinvolto lo stesso Mosè, che non entrerà nella terra promessa.
Non dipende sempre tutto da noi. La lettura ci invita ad avere più fede nella potenza della parola di Dio che fa scaturire acqua anche dalla roccia. Siamo un po’ come Mosé, anche noi crediamo che da certe situazioni, da certi cuori di pietra non possa venir fuori nulla. Fidiamoci della parola di Dio.
Anche a Cana di Galilea manca qualcosa. Manca il vino al matrimonio e l’unica a ‘protestare’ – per così dire – è la Madre di Gesù.
Anche qui abbiamo a che fare con la pietra, quella delle sei giare riempite d’acqua sulla parola di Gesù. Ancora una volta la parola di Dio, la parola di Gesù, compie quello che noi non riusciamo a fare: l’acqua diventa vino, un buon vino.
Siamo di fronte a un salto di qualità: centoventi litri di acqua che diventano vino non è poca cosa. Ma appunto non è la quantità che interessa, è la qualità: acqua che diventa vino, un buon vino, affinché la festa continui.
Il vino dice bene la gioia che ci viene dal Vangelo. Nel senso che Gesù ci dice di quanto amore Dio ci ami, di un amore appassionato come quello di un matrimonio, di un amore sempre pronto a ripartire e a ricominciare. La gioia del Vangelo, come diceva Martini, è la gioia per la buona notizia che Dio ama noi peccatori, disperati, dispersi, smarriti, e ci riconduce alla sua intimità[1].
Ora dobbiamo riconoscere che da un po’ di tempo a questa parte, ci stiamo impegnando a fare il miracolo al contrario. Rischiamo di trasformare il vino del Vangelo, della gioia di vivere, con l’acqua delle nostre tradizioni, delle nostre alchimie cerebrali, delle nostre distinzioni e classifiche.
Infatti perché non siamo più contenti? Perché ci dividiamo sulla dottrina e sulle tradizioni, cioè facendo esattamente quello che facevano i farisei e i sacerdoti al tempo di Gesù. Perché abbiamo dato priorità al potere e al dominio anziché al servizio. Perché ci fidiamo più degli investimenti che della condivisione. Perché abbiamo imprigionato il Vangelo nelle gabbie clericali. Perché le nostre liturgie non comunicano la bellezza di Dio. Perché non ci interessano le ingiustizie subite e le sofferenze di tanti emarginati.
In definitiva, perché non ascoltiamo Maria. Noi che nei secoli l’abbiamo adornata di mille titoli e devozioni per dire l’affetto e la stima per lei, umile ragazza di Nazaret, noi che le abbiamo attribuito tanti messaggi, in realtà non ascoltiamo le parole che lei ha pronunciato per davvero: Fate quello che vi dice! Ecco perché annacquiamo il Vangelo: perché non facciamo quello che Gesù dice. Ad essere più precisi, non è che noi abbiamo il potere di annacquare il Vangelo, è più corretto dire che la nostra mediocrità non trasmette la gioia del Vangelo.
Infatti quando nella nostra vita incrociamo personaggi come Biagio Conte (è morto a Palermo il 12 gennaio all’età di 59 anni), semplice battezzato, che ha vissuto alla lettera il Vangelo nella sua breve vita, ne siamo affascinati.
Per quanto siamo bravi ad annacquare il Vangelo, esso mantiene una sua forza ed energia così che quando incontra qualcuno disposto a mettersi in gioco, succede quello che è accaduto a Biagio. «Cominciai a sentire sempre più che Gesù, quell’uomo giusto che ha donato la sua vita per noi, mi portava con lui per fare un’esperienza che successivamente avrebbe stravolto tutta la mia vita… dedicare la mia vita per i più poveri dei poveri»[2].
Biagio a 26 anni si decise per una vita spesa nel servizio, per questo affascina e ci commuove, ma al tempo stesso la sua testimonianza ci scuote, ci provoca, anzi ci contesta. Con la sua testimonianza di vita, siamo noi ad essere contestati da Dio.
Nell’agosto del 2021 disse: «Siamo diventati responsabili e fautori nel produrre nuove povertà, nuove emarginazioni, disagi mentali, depressioni, suicidi e nuovi senza tetto e profughi lasciati alla deriva. È chiaro che chi parla con questi toni non sempre è gradito, … come pensa una parte di questa malata società».
Ecco con questi personaggi che hanno dato concretezza al Vangelo il Signore ci contesta. Non crediamo di essere solo noi a poterci permettere di contestare Dio come ha fatto il popolo ebraico alle acque di Meriba, dopo Cana di Galilea è Dio stesso che ci contesta, contesta a ciascuno di noi l’annacquamento del vino del Vangelo.
E ha tutte le ragioni per contestarci: quel vino è costato caro, è il sangue versato da suo figlio per noi. È il dono di un amore senza limiti.
Se riduciamo il nostro essere discepoli di Cristo all’appartenenza a una religione, a una chiesa, a un gruppo… senza il dono di noi stessi, senza cioè metterci in gioco, senza spenderci, annacquiamo il Vangelo.
Non credo che tutti dobbiamo fare le scelte radicali che ha fatto fratel Biagio, ma ognuno di noi secondo le proprie capacità e le proprie attitudini, secondo il proprio stato di vita, può spendere la propria vita, può donare, condividere, amare, perdonare, vivere la gioia del Vangelo.
Il ‘come’ a ognuno lo ispira lo Spirito di Dio, che è capace di far sgorgare acqua dalla roccia.
(Nm 20, 2.6-13; Gv 2, 1-11)
[1] C.M. Martini, La gioia del vangelo, p.44
[2] www.pacesperanza.org