I DOMENICA DOPO PENTECOSTE - Solennità della Santissima Trinità - Gv 14, 21-26


audio 12 giu 2022

Di fronte alla parola ‘Dio’, cui ricorriamo spesso con grande leggerezza, siamo invitati oggi a stare in atteggiamento attento e vigilante: non si sa mai fin dove arrivano le nostre idee su di lui e fino a dove risulta un ‘prodotto’ della storia da cui veniamo, delle esperienze che abbiamo fatto.

Di per sé io dovrei, per il fatto stesso di essere prete, e forse è anche l’aspettativa dei più, spiegarvi in qualche modo Dio, convincervi della sua esistenza, rendervi consapevoli delle cose che lui vuole da noi… ma sapete anche, perché ormai mi conoscete, che non potrei mai fare una cosa del genere.

Di fronte al mistero di Dio mi sento del tutto incapace di dire alcunché. Anzi di fronte a uno sfrontato ricorso a lui, mi sento di dire: abbassiamo i toni! Einstein in una lettera del 3.1.1954 scriveva che Dio è fondamentalmente una parola di tre lettere usata per coprire il vuoto della nostra ignoranza. A maggior ragione potete ben immaginare cosa possiamo osare dire a proposito della Trinità.

Nel libro dell’Esodo Mosè di fronte alla rivelazione di Dio che gli si fa incontro, ricorre alla metafora del roveto ardente che non si consuma mai. Ecco di fronte a un mistero così grande, si deve stare un passo indietro e ci si deve togliere i sandali.

Anziché aggiungere, speculare, analizzare… Mosè ci insegna che per stare davanti al mistero di Dio, bisogna togliere e non aggiungere, è necessario spogliarsi dei sandali tenere i piedi ben piantati per terra.

Per contro tutti noi perlomeno conosciamo il lavoro fatto dai teologi cristiani a partire dal quarto secolo (Nicea 325, Costantinopoli 381, Calcedonia 451). Il testo della professione di fede che pronunciamo ogni domenica, il Credo, è il culmine e la sintesi di un lungo lavoro di studio e di confronto anche serrato per dare una forma, una struttura e una configurazione teologica a Dio.

Armati del bisturi della speculazione filosofica ellenistica e delle categorie culturali del tempo, gli antichi padri sono giunti a dire che Dio è una realtà composita e multiforme, tre entità divine con personalità distinte, ma che condividono tutte e tre la stessa essenza divina: quindi tre persone divine, ma un solo Dio.

Ora non so quanti di noi possano ritrovarsi in qualche modo in questo linguaggio e questo dovrebbe aiutarci a trovare linguaggi nuovi, espressioni più vicine alle nostre sensibilità. Anche perchè se noi dovessimo pensare ancora attraverso gli stessi concetti, le stesse categorie mentali e lo stesso bagaglio di conoscenze dei nostri antenati del IV secolo… dovremmo essere convinti che la terra sia piatta, che è al centro dell’universo, che intorno ad essa gira il sole e tutte le altre sfere celesti, messe in movimento da misteriose macchine attivate dall’energia degli angeli.

La festa di oggi è l’invito a osare qualcosa di più e di diverso. Non ci basta un certo tipo di linguaggio come se le spiegazioni, le immagini e la visione delle cose dei cristiani di quel tempo fossero l’unico modo accettabile di capire e di raccontare l’esperienza di Dio. Gesù nelle parole del Vangelo di oggi dice chiaramente: lo Spirito Santo che il manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto.

Ora noi siamo dentro questa effusione dello Spirito che è continuamente all’opera nella storia dell’universo e nella vita di ogni essere umano, come dice Gesù, e pertanto il mio è un invito ad assumere l’atteggiamento di Mosè: spogliamoci delle nostre costruzioni mentali, del linguaggio ecclesiastico, lasciamo che lo Spirito ci ricordi ciò che Gesù ha detto.

Sicuramente non ci ha insegnato lui a fare il segno della croce e a pronunciare il nome del Padre mentre tocchiamo la fronte, il nome del Figlio mentre poggiamo la mano sul cuore e il nome dello Spirito Santo mentre tocchiamo le spalle… eppure è una sintesi efficace se non venisse svuotata dall’abitudine e dalle storpiature del gesto.

Ripensando quello che Gesù ha detto a proposito della sua relazione col Padre e con lo Spirito, la prima cosa che balza alla mente è il momento in cui il Signore ha insegnato la preghiera del Padre nostro.

È curiosa questa cosa, anzitutto perché non ci chiede un atteggiamento speculativo, astratto… ma di preghiera. Questa è una possibilità accessibile a tutti, non solo agli accademici, agli specialisti del settore, anzi non è detto che i teologi siano di per sé credenti e ancor meno che siano capaci di pregare. In realtà nella preghiera tutti possono fare l’esperienza trinitaria del mistero di Dio.

Osserviamo la struttura del Padrenostro: è rivolta a Dio Padre che è nei cieli, non perché l’Eterno abiti le galassie, ma per dire, mentre parla di paternità, andrebbe benissimo parlare anche di maternità, che quella di Dio è altra, è una paternità e una maternità che indicano l’atto di generare, perché questo fanno il padre e la madre, generano. Veniamo da Dio, dall’amore, Dio sorgente d’amore, grembo di vita e di amore e lungo la nostra vita non cerchiamo altro che amare e essere amati.

In secondo luogo, le parole sono di Gesù, è lui che ci confida l’intimità della sua preghiera rivolta a Dio Padre. È lui che ci insegna a rivolgerci a Dio, appunto, come alla sorgente di un regno, a una volontà di amore.

In terzo luogo, le parole di Gesù non sono per noi una mera ripetizione, stanca e noiosa come purtroppo spesso accade per abitudine, ma sono parole vive che lo Spirito rende vere, attuali per noi, qui, oggi.

Facciamo l’esperienza dell’amore trinitario riconoscendo anzitutto l’amore generativo di Dio chiamandolo Padre o Madre, attraverso le parole di Gesù che come uomo ci fa conoscere un Dio così, e che grazie allo Spirito sono anche la nostra preghiera oggi.

Quando diciamo: Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà… diciamo tre cose che parlano dell’amore che continua nella storia, nella vita del mondo e di ciascuno di noi, ma alla maniera di Dio, nel modo di Cristo.

Non solo, la preghiera del Padrenostro non si accontenta di introdurci al mistero dell’amore generativo di Dio, ma nella seconda parte fa’ propri i sempre veri bisogni dell’uomo e della donna, indicando quattro richieste precise: dacci il pane e il perdono, non abbandonarci alla tentazione e liberaci dal male.

Perché di questo abbiamo bisogno: del pane e del perdono, di non essere soli e di non soccombere al male. E lo chiediamo nella preghiera sapendo che queste quattro cose sono il riflesso dell’amore trinitario, dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito. Nel senso che, con le parole di Gesù e grazie allo Spirito, possiamo chiedere al Padre il pane, ma è anche vero che quando noi stessi facciamo dono del pane, allora la paternità e maternità di Dio diventano realtà per molte persone, perché anche noi facciamo ciò che fa Dio.

È verissimo che facciamo esperienza di Dio quando siamo da lui perdonati, ma è anche vero che diventiamo trasparenza di Dio quando siamo capaci di perdono nei confronti di chi ci fa dei torti. Perché anche noi facciamo ciò che fa Dio.

Così come noi stessi possiamo dire di non essere soli perché Dio ci è vicino, ma questo è vero se a nostra volta ci facciamo vicini a qualcuno e non lo lasciamo solo.

L’icona di Abramo che nell’ora più calda del giorno accoglie i tre ospiti all’ombra delle querce di Mamre, dice di queste due dimensioni che sono il criterio di verità e di autenticità. Se dici di aver incontrato Dio, lo posso verificare nella tua capacità di accogliere l’altro, il forestiero.

Il mistero della Trinità parla di relazioni d’amore, per cui se ho incontrato Dio che è sorgente d’amore, allora lo potranno vedere gli altri dall’amore che so donare. Perché l’amore di Dio è sempre generativo, nel senso letterale del termine: Sara, pur avanti negli anni, partorirà un figlio. L’incontro con Dio non è pura speculazione, genera vita e amore, perché Dio è così, Dio ama e dà vita.

Vi affido una proposta. È un’idea che mi accompagna da qualche tempo: proviamo a scrivere la nostra professione di fede, non dicendo semplicemente Credo, e quindi il nostro pensiero di fede, ma aggiungendo anche Spero e Amo, vale a dire proviamo anche a pensare cosa è sperare per noi, cos’è amare per noi.

(Gen 18,1-10; Gv 14, 21-26)