IV DI QUARESIMA o Domenica del Cieco - Gv 9, 1-38


Una mail dell’11 febbraio scorso indirizzata a me e a don Paolo diceva: In famiglia seguiamo all’Incoronata tutte le vostre bellissime omelie. Perché mai però osate sfiorare il punto più difficile da comprendere in materia di fede ossia queste terribili sofferenze che la natura impone a migliaia di bambini innocenti? Troppo difficile e impegnativo anche per bravi sacerdoti come voi? Certamente per molti di noi è di gran lunga il mistero che crea maggiori dubbi e paure.

Il vangelo di oggi ci offre l’occasione di ‘sfiorare’, come scrive il nostro amico nella mail, uno scoglio enorme per la nostra vita e la nostra fede, lo scandalo della cosiddetta sofferenza innocente. Il Vangelo di oggi infatti esordisce con una domanda che i discepoli rivolgono a Gesù che dà per scontato che se uno soffre è perché in qualche modo ha peccato, il suo dolore è dovuto alle colpe che ha commesso e per le quali dovrà offrire a Dio sacrifici e preghiere per placarne l’ira.

Un modo molto ingenuo di dare una risposta alla domanda di senso del dolore e della sofferenza, che si scontra col dolore ad esempio dei bambini che non hanno colpe. Se uno nasce cieco che colpe può aver commesso? Quali responsabilità può avere del male e della sofferenza? Allora la risposta più semplice dal punto di vista razionale consisteva nel ricercarne le cause nei peccati dei genitori.

Ora, nella storia del pensiero, della filosofia e delle religioni si sono trovate prassi e pensieri di spessore e anche di aiuto e di consolazione nell’affrontare situazioni dolorose e drammatiche, senza mai però esaurirne la questione del senso, che infatti è di scandalo anche per noi.

Oggi forse non ci chiediamo più di chi sia la colpa, abbiamo un certo rispetto per il Dio della Bibbia che ci impedisce di costringere il pensiero nella gabbia della causa e dell’effetto, per cui è del tutto inaccettabile che uno debba soffrire a causa della rabbia di Dio per i peccati di altri! Allora dovremmo smettere di parlare di dolore innocente. Il dolore è dolore. Non è colpevole, né innocente. O meglio, la storia e la cronaca di tutti i giorni ci mettono di fronte ad alcune responsabilità: se scagliamo le bombe su un centro abitato è chiaro di chi sia la colpa delle sofferenze di intere famiglie. Se scarichiamo nell’aria e nei mari tonnellate di rifiuti tossici è chiaro di chi sia la responsabilità se l’ecosistema collassa, se in alcune regioni si sviluppano più tumori che in altre.

Di fronte al cieco nato, come dinnanzi ai piccoli che muoiono all’Istituto dei tumori, la domanda che ci sconvolge non è di chi sia la colpa, ma che senso ha? Così anche di fronte alla morte dei bambini nel Mediterraneo, di cui siamo anche noi responsabili, ci domandiamo come sia compatibile l’annuncio della bontà e della misericordia di Dio con queste vite strappate così al futuro? Come si compongono la tenerezza di Dio e la sofferenza? Non parlerei più di sofferenza innocente se smettiamo di considerare la sofferenza e il dolore un castigo di Dio per le colpe di altri.

Siamo dinnanzi a un cortocircuito cui non basta più porre rimedi facili, come quando si sente dire: Dio si prende i migliori (ma io non do la mia vita per un dio così!); con la sofferenza impari (sì, ma c’è tanta gente che con il dolore è diventato più crudele e cattivo!); col dolore capiamo di più gli altri (in realtà molte persone si sono chiuse in un silenzio e in un mutismo spaventosi!).

Occorre proprio un miracolo per farci cambiare mentalità. L’imputato è Dio in questo processo che potremmo definire kafkiano, che infatti verte su una colpa che non esiste. Sta solo nella loro testa. Gesù è chiaro: Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.

Quindi Gesù come prima cosa ci invita a guardare avanti. La sofferenza non è dovuta al peccato che sta alle nostre spalle, ma esiste perché continua la creazione, le opere di Dio. Non chiede di chi sia la colpa, bensì cosa farà Dio in quella situazione. Dio non è un mostro che punisce i figli per i peccati dei genitori, ma crea in continuazione, rigenera.

Gesù non fa della dietrologia ma, per dirla con un termine tecnico dell’escatologia, Dio vuole fare qualcosa in questo dramma e in questo dolore e perciò ci invita a guardare avanti. Quindi nemmeno Gesù dice il senso della sofferenza, non possiamo pensare di attraversare il mistero del male e del dolore appiccicandoci una qualche etichetta di senso, semplicemente perché la sofferenza non ha senso. Appartiene alla condizione umana, naturale.

Anziché teorizzare sul senso, come a voler costringere nelle strette gabbie della nostra mente il mistero del male e del dolore, se la creazione continua attraverso anche il dolore, allora la questione che dobbiamo porci è: cosa vuole la vita da me in questa condizione? Cosa la vita mi sollecita di fronte alla sofferenza e al dolore di un bambino?

La pandemia da Covid, che ha segnato le nostre vite per oltre due anni portandosi via persone care, e che vorremmo dimenticare, è stata forse un castigo di Dio? una punizione divina per purificarci dai nostri peccati? Oppure è stata l’occasione che ha messo in evidenza tutta la fragilità della nostra natura e che ha sollecitato la scienza e la nostra umanità? Ci ha costretti a fare i conti con l’interdipendenza che abbiamo gli uni dagli altri

La parola di Gesù è la luce sulle nostre oscurità: non guardiamo indietro cercando di attribuire le colpe a qualcuno, perché Dio è luce, non castigo, punizione… è luce e la luce è vita che continua, che rigenera. Alla tua luce vediamo la luce, abbiamo pregato con le parole del salmo 35.

Nella oscurità del male, del dolore, della sofferenza, resa ancor più buia dal senso del peccato e della colpa, irrompe la luce della parola di Gesù che apre i nostri occhi affinché impariamo a guardare le cose diversamente, non sotto la condanna del peccato, ma nella prospettiva del futuro, della benedizione di Dio.

L’immensa sofferenza del mondo appare dunque come la condizione perché la creazione cammini e proceda verso la pienezza. I gesti compiuti da Gesù col fango e la saliva sono i gesti del Padre nel sabato della creazione: sono i gesti di una creazione che continua, che va incontro alle persone, ascolta, parla, vede, si prende cura, ama. Che siano anche i nostri gesti di fronte allo scandalo del dolore. Ma per favore non chiamiamolo più ‘innocente’.

(Gv 9,1-38)