II DI QUARESIMA o Domenica della Samaritana - Gv 4, 5-42
Una delle domande che con frequenza crescente i medici tendono a fare ai pazienti di ogni età è: Quanta acqua beve al giorno? E di solito beviamo meno di quanto dovremmo. Anche se, bisogna dire che, per quanta ne beviamo la nostra sete non sarà mai estinta. Ogni giorno dobbiamo attingerne, ogni giorno. Non si scherza con la sete, perché ha a che fare con la vita e con la morte. In tutti i sensi.
Ogni volta che vado in Palestina, se le condizioni lo permettono, amo recarmi a Nablus, l’antica Sichem, per sostare al pozzo di Giacobbe che una volta era a cielo aperto e oggi è protetto da una chiesa ortodossa, ma la cosa straordinaria è che ancora vi si può attingere acqua.
Ed è emozionante e suggestivo calare il secchio e guardare la profondità del pozzo, potente simbolo dell’animo umano, quasi sacramento, invito a guardare dentro di se, nelle profondità dell’io, delle attese e dei desideri che abitano il cuore umano, a fare i conti con se stessi…
Ma la cosa più sorprendente è scoprire che anche il pozzo ti guarda e oltre a rimandarti il tuo volto rispecchiato, riflette anche il cielo che sta sopra di te, come a farti intuire che la tua è anche sete di altro, è sete di infinito, di eterno, di spirituale dall’orizzonte vasto quanto il cosmo. E Dio sa quanta sete c’è in ogni uomo, in ogni donna.
Per quanto tu possa sentirti sbagliato, come si doveva sentire sbagliata quella donna che va al pozzo ad attingere acqua a mezzogiorno per non farsi vedere dalle altre donne del villaggio cui rubava i mariti. Per quanto lei e il suo popolo dovessero sentirsi fuori posto con Dio, perché i Giudei dicevano che il monte di Dio era il monte Sion, e invece loro ostinati a dire che doveva essere il Garizim, e allora a discutere dove stia meglio Dio di casa…
Gesù dice a questa donna e quindi anche a noi: per quanto tu sia immersa nell’acqua come un pesce, eppure hai sempre sete. Ci fa sorridere solo il pensare a un pesce che nell’acqua ha sete. Eppure è la nostra esperienza, è così per noi umani e Gesù lo sa bene. Per quanti amori tu abbia, per quanti santuari tu possa costruire a Dio… non c’è nulla che possa saziarti una volta per tutte, non c’è marito né moglie, non c’è santuario che tenga. Siamo tutti abitati da una sete, quella sete cantata in continuazione dai salmi e che dice: Ha sete di te l’anima mia (63,2)!
La sete è sacramento del desiderio, perché il desiderio – come dice la parola stessa – accende le stelle, è domanda aperta sull’infinito. Non a caso diciamo: ad ogni stella che cade esprimi un desiderio.
L’etimologia deriva il termine dal latino de-sidera, dove il de latino è particella intensiva per indicare il fissare le stelle, come se Gesù dicesse alla Samaritana: finché tieni lo sguardo sul fondo del pozzo vedi solo la soddisfazione dei tuoi bisogni, delle tue necessità, dei tuoi istinti. Siamo fatti anche di questo, ma non basta[1].
Questo è il punto d’incontro con la sete di Gesù, perché è vero che non ci bastano gli amori e le religioni, perché la nostra sete è d’infinito… ma è anche vero che Gesù pure ha sete, il Signore desidera con tutto se stesso donarci l’acqua viva che fluisce e corre dentro le vene della storia e della vita capace di immergerci nel blu del cielo, nel desiderio del bene totale, nell’amore del Padre che abbraccia tutta l’umanità.
Ecco la sete di Cristo, quella sete che attraversa tutta la sua vita fin sulla croce quando la grida con l’ultimo fiato che ha in corpo. 28Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito (19,28).
Cos’è che si compie? Che lui muoia? O piuttosto che lo Spirito sia effuso sui discepoli? Gesù ha sete, una sete da morire, di compiere fino all’ultimo la volontà del Padre: che gli uomini abbiano la vita.
E quando è ormai chiaro che la sua missione è pienamente arrivata alla fine, allora può dire: è compiuto. Che non significa un banale è finita, ma che ha raggiunto il fine e ha soddisfatto la sua sete di donarci l’acqua viva che è il dono dello Spirito.
Ma succede anche un’altra cosa alla Samaritana ed è importante perché giustifica la lunghezza del brano che ci porta fino al villaggio, alla sua gente. Quando attingi a quest’acqua, allo Spirito di Gesù che è il dono del Padre, a tua volta diventi sorgente. Dice Gesù alla Samaritana: Chi berrà dell’acqua che io gli darò non avrà più sete in eterno… anzi diventerà in lui sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna. Infatti la vediamo correre dai suoi al villaggio.
È una bella responsabilità per noi, perché si tratta non solo di attingere al Vangelo, di bere per nutrire la nostra sete, ma di diventare a nostra volta sorgenti d’acqua, capaci di donare il Vangelo, di trasmettere l’acqua viva.
Come siamo messi con questa sete? Di che cosa hanno sete le nostre comunità? Di che cosa hanno sete le nostre chiese?
Guardate che c’è un’umanità che è stanca di continuare ad attingere ai pozzi avvelenati da noi e ha bisogno dell’acqua viva del Vangelo.
La sete della donna Samaritana che si reca ad attingere acqua al pozzo di Giacobbe è oggi la sete di tante donne, di tanti popoli – perché la donna è madre di popoli – di popoli che hanno sete di legalità, di giustizia, di dignità…
In quel volto di donna vediamo il volto delle donne siriane, delle donne afgane, delle donne nigeriane e congolesi… e dei loro popoli. È la sete delle famiglie massacrate nelle moschee della città di Christchurch in Nuova Zelanda.
Abbiamo avvelenato i pozzi con bisogni compulsivi, con la corsa al denaro e alle armi; abbiamo avvelenato i pozzi dei giovani con le mafie e le droghe; abbiamo avvelenato il pozzo della comunicazione con l’odio e il razzismo; abbiamo avvelenato i pozzi della cultura con l’isteria e la superficialità…
E poi – ce lo ricordavano milioni di giovani che venerdì in tutto il mondo hanno dato voce alla sete del creato – abbiamo avvelenato l’aria, l’acqua, l’ambiente. C’è tutto un mondo, un cosmo che ha sete di rispetto, di mitezza, di sobrietà, di silenzio.
Noi ora abbiamo un compito importante.
Lasciamo a casa le nostre brocche, smettiamo il nostro particolare interesse e “Andiamo a respirare accanto a una ginestra… Proviamo ogni giorno a stare nel mondo in punta di piedi, proviamo a portare il nostro chiarore, senza accontentarci degli equivoci con cui costruiamo le nostre giornate…
L’aria e il suolo non sono lo sfondo dentro cui si muove la nostra vita, ma noi siamo un pezzo dell’aria e del suolo. Siamo terra e cielo e ogni costituzione dovrebbe partire dalla terra e dal cielo, poi vengono le piccole vicende della produzione e del consumo”[2].
C’è un’umanità che ha sete di semplicità e che pensa che il mondo non è solo il carro delle merci e del potere. I nostri gesti hanno valore anche se non vengono commentati da nessuno, anche se non hanno il “mi piace” di centinaia di followers. Non resterà nulla di tutto questo abbaiare.
Noi ora abbiamo un compito importante, frenare l’isteria di questo mondo e riaccendere il desiderio di stelle, di bellezza, di cielo.
In una sua sintesi fulminante Roberto Benigni affermava: L’Iliade dice che la vita è una guerra, l’Odissea che la vita è un viaggio, la Divina Commedia dice che la vita è desiderio.
Infatti Dante conclude ogni canto della Divina commedia con un rimando alle stelle, in particolare chiude il suo percorso all’Inferno con Virgilio dicendo: E quindi uscimmo a riveder le stelle[3].
Aiutiamo il nostro mondo, le nostre società a uscire dall’inferno, come la Samaritana è uscita dal suo inferno, e nell’incontro con Gesù ha riacceso il desiderio di cielo. Se tu conoscessi il dono di Dio, dice il Signore alla Samaritana, che non è un rimbrotto come se Dio ci domandasse chissà che cosa, ma è una frase rotonda, piena, gravida perché in realtà ci rammenta che Dio continua ad avere sete di farci dono del suo amore.
Noi magari ignoriamo fino a che punto abbiamo sete di Dio, e certamente non oseremmo mai credere fino a qual punto Dio ha sete di noi.
In tutte le case delle suore di Madre Teresa di Calcutta nelle loro cappelline campeggiano le parole di Gesù, il suo grido: Ho sete. Ed è bellissimo perché abbiamo a ricordare che il Cristo nonostante tutto siede accanto ai nostri pozzi avvelenati e non smette mai di avere sete, di avere il desiderio di donare se stesso, di donare lo Spirito, di donare il suo amore per fare di noi sorgenti di speranza.
(Gv 4, 5-42)
[1] J. T. Mendonça, Elogio della sete, Milano 2018
[2] Franco Arminio, Corriere della Sera 14 marzo 2019
[3] Divina Commedia, Inferno, canto XXXIV, 139.