DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI - Lc 6, 43-48


(1Pt 2,4-10; Eb 13,15-17.20-21; Lc 6,43-48)

Potrebbe apparire una festa che riguarda il passato quella che la liturgia ambrosiana propone nella terza domenica di ottobre. Il titolo stesso: «Dedicazione del duomo di Milano» suona come un invito a voltarci indietro per riandare alla gloriosa storia di fede di questa nostra città, una storia che ha collocato il duomo, la chiesa cattedrale nel centro della metropoli, accanto alle istituzioni del potere politico, economico, finanziario.

Ed è bene fare memoria storica, è giusto non dimenticare da dove veniamo e tenere viva la memoria di chi ha vissuto la fede, l’ha custodita nel corso dei secoli. Il duomo sta lì con tutta la sua imponente bellezza a ricordarci proprio questo. Se oggi noi crediamo e amiamo il Signore, è perché qualcuno prima di noi ha creduto nel Vangelo.

Ma vorrei invitarvi a leggere  il sottotitolo sul frontespizio del foglietto, dove incontriamo parole che annunciano un altro significato che ha ancora per noi oggi che celebriamo la festa del Duomo, «Chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani». Il Duomo esprime non solo il passato, la storia, ma anche la straordinaria fecondità della Chiesa che è capace di generare sempre nuovi figli al Vangelo, per questo è detta «chiesa madre», chiesa feconda, generosa di vita.

Quindi, per dirla con le parole di Gesù nel vangelo di Luca, chiesa che produce frutti buoni. Ancora, chiesa, come dice Pietro nella prima lettura, le cui pietre sono vive perché si appoggiano alla pietra viva che è Cristo.

Oggi noi viviamo questo grande mistero della Chiesa madre accogliendo per il battesimo due mamme che portano i loro figli perché siano battezzati, Michelle che viene dall’Ecuador con il piccolo Edwin e Queen che viene dalla Nigeria, con la piccola Diana.

Questa è oggi Milano chiesa madre: città dai mille volti, luogo di incontro di culture, di tradizioni, città accogliente, città – come scrive un caro amico- con «una giacca d’asfalto e un cuore d’acqua».

«Milano madre di madri,

terra di madri

che offre cura e governo al dolore dei figli» (Gabriele Dozzini).

Non è più tempo, forse, per costruire grandi chiese, perché ne abbiamo già tante, oggi è il tempo di accogliere, di aprire le porte, di essere madre per chi arriva da lontano, per chi fugge dalla guerra, per chi cerca un futuro per sé e per i propri figli.

Per questo oggi vi invito ad ascoltare la storia di Queen. Ascoltarla sarà dura, ma farà bene alla nostra fede, farà bene anche alla nostra umanità.

«Good evening to everybody, my name is Quin. I am 20 years old and I am the mother of Diana. My country of origin is Nigeria. Today I live in the Arché community.

I am very grateful to Padre Giuseppe to have welcomed me in the community and Diana and to have given me the opportunity to celebrate her baptism here tonight. I thank you all because you have welcomed me in your Church.

I have been baptized in the church of St’ Andrews in Lagos, the city I have lived in since 2014. It was an afternoon like many others when my mother asked me to enter our house since her and my father wanted to tell me that they had decided to send me to Europe. At first I was happy. “You will go to France to become an hairdresser” my father told me. You will be able to earn good money and even to send some to us.

Suddenly I had to leave my family, my fiancé. I left with two other Nigerian girls escorted by two men. I was told that part of the trip would have been by car and part by airplane. I was sad because I was leaving everything my house my friends my fiancé my family but I was excited because it was the first time I had the opportunity to travel by airplane. I trusted my parents and I did not ask many questions.

During journey, crossing Nigeria towards the North I realized that we were continuing to travel by car, I started to ask questions on the route we would have taken. The answers I received were always evasive.

After few days I started to feel sick, I was weak, I had strong nauseas. I thought it was due to the water I was drinking, to the food I was eating. But soon I realized that I was pregnant.

To cross the Niger desert is not easy, and Diana was growing everyday a little more inside me making difficult to hide my pregnancy. Once entered in Libya the men that were with us realized that I was pregnant.

At that moment my trip towards hope has become a horror trip. The girls that were with me were raped several times. They did not do it to me because I was pregnant. But the beat me up several times trying to make me lose my child. But when they saw that the beating did not caused an abortion they forced me to take medicines to abort my child. If I had not taken the medicines they told me they would have leaved me in Libya in a brothel. That would have meant for us sure death.

At that point I realized that one in France I would have not become a hairdresser but I was destined to prostitution. Like a lot of other Nigerian girls I was sold, I was a victim of the human trade.

I was alone there was no one that could protect me in any way, I did not know I to escape my destiny, therefore I put myself in the hand of God. I prayed God in every moment with all my strength. I prayed him to save me and my child from all that horror.

I took a boat from the cost of Libya to Sicily, but the first time we tried to cross we were stopped by the Libyan Cost Guard and we were deported to a camp. I lived there in under terrible conditions, after few months, it was February, we tried to cross again the sea towards Italy. We left at dawn, the boat was packed with human beings.

I had to sit still for 36 hours, inside the boat, there was no air, it was difficult to breathe. I have seen people dying next to me.

We were in the middle of the sea when the boat started to sink. I heard the shouts of the people that had fallen into the sea and were drowning. I prayed, I continued to pray, in that moment I promised to God that if I was saved I would have made room every day of my life for prayers.

The rescuers took a long time to come, 36 hours. I was still alive. Once we arrived in Sicily I was hospitalized and there my joy was immense, not only because I was still alive but because after several tests a doctor with a great smile told me that my child was alive and healthy. The rest of my story is full of the generosity and the love of all the people that have welcomed me, helped me while I gave birth to Diana and today to lead a dignified life with my child.

Today I want to pray God to tank him and to ask to be close to all the people that like me have started that difficult journey».

«Buonasera a tutti, il mio nome è Queen. Ho vent’anni e sono la mamma di Diana. Il mio paese d’origine è la Nigeria. Oggi vivo nella comunità Arché di Piazza Fratelli Bandiera. Sono molto riconoscente a Padre Giuseppe per aver accolto me e Diana e per avermi dato l’opportunità di celebrare il suo battesimo questa sera. Ringrazio anche tutti voi che mi avete accolto qui nella vostra chiesa.

Sono stata battezzata nella chiesa di  Sant’ Andrews in Lagos, la città dove ho vissuto fino al 2014. Era un pomeriggio come tanti altri quando mia madre mi ha fatto entrare nella nostra casa per dirmi che lei e mio padre avevano deciso di mandarmi in Europa. Alla notizia io ero molto felice.

“Andrai in Francia a fare la parrucchiera” mi  disse mio padre, guadagnerai bene e ci potrai anche mandare dei soldi. Dovevo improvvisamente lasciare la mia famiglia, il mio fidanzato.

Sono partita con altre due ragazze nigeriane scortata da due uomini. Mi era stato detto che avrei fatto una parte del tragitto in auto, e poi avremmo preso l’aereo. Ero triste perché lasciavo tutto, casa, amici, la mia terra ma anche emozionata perché era la prima volta che avrei preso l’aereo. Mi fidavo dei miei genitori e all’inizio non feci molte domande.

Ma quando dopo alcuni giorni attraversando la Nigeria verso Nord mi resi conto che continuavamo a viaggiare in auto, iniziai a chiedere informazioni sul percorso che avremmo fatto. Le risposte che ottenevo erano sempre evasive.

Dopo alcuni giorni di viaggio iniziai a non sentirmi bene, ero debole, avevo forti nausee. Pensavo che fossero dovute al all’acqua che bevevo al cibo che ci veniva dato. Ma ben presto mi resi conto di essere incinta.

Attraversare il deserto del Niger non è un’impresa facile, e Diana cresceva ogni giorno un po’ di più dentro di me, rendendo sempre più difficile tenere nascosta la mia condizione.

Un volta entrati in Libia, gli uomini che ci accompagnavano si sono accorti della mia gravidanza e da quel momento il mio viaggio della speranza si è trasformato in un viaggio dell’orrore. Alle mie compagne è stata fatta violenza ripetutamente, io sono stata risparmiata solo per la mia condizione, ma il progetto era di farmi abortire. Mi hanno picchiata più volte e visto che queste violenze non davano il risultato voluto mi hanno costretta a prendere dei farmaci per abortire. Se non li avessi presi mi avrebbero lasciata in Libia in un bordello.

La Libia è un paese fuori controllo, dove la vita delle persone non conta nulla. Per me e per il mio bambino avrebbe significato la morte certa. In quel momento ho anche capito che, una volta a destinazione in Francia, non avrei fatto la parrucchiera ma ero destinata alla prostituzione. Io come tante altre Nigeriane vendute, vittime della tratta. 

Ero sola, nessuno che mi potesse proteggere in alcun modo, senza sapere come sottrarmi a questo destino, mi sono messa nelle mani di Dio. L’ho pregato in ogni momento con tutte le mie forze che non mi facesse perdere il mio bambino e che mi salvasse da quell’orrore.

Sono stata imbarcata una prima volta, in uno di quei barconi che lasciano la costa della Libia verso le coste della Sicilia. A poche miglia siamo stati fermati dalla guardia costiera libica e deportati in un campo.

Dopo qualche mese, un altro tentativo di attraversare il tratto di mare verso l’Italia. Siamo partiti all’alba, il barcone era stipato di esseri umani. Sono stata seduta per 36 ore sotto coperta, senza potermi muovere, non c’era spazio, non c’era aria, si faceva fatica a respirare. Ho visto persone morire di fianco a me.

Ad un certo punto, in alto mare il barcone ha cominciato ad affondare, sentivo le urla di persone cadute in acqua che stavano annegando. Pregavo, continuavo a pregare, ho promesso a Dio che se mi avesse salvata avrei dedicato ogni giorno della mia vita alla preghiera, una parte di ogni giorno dedicata a lui. 

I soccorsi ci hanno messo molto ad arrivare, ben 36 ore. Ero ancora viva. Non appena sbarcata in Sicilia sono stata ricoverata in ospedale e la mia gioia è stata immensa, non solo perché ero salva , ma perché dopo vari esami un medico con un sorriso mi ha detto che il mio bambino era vivo e in salute e che avrei potuto portare avanti la gravidanza.

Il resto della mia storia è costellata dalla generosità e dall’amore delle persone che hanno accolta aiutata a partorire e oggi a condurre una vita dignitosa con la mia bambina».

Grazie Queen, grazie del tuo coraggio e della tua forza. Grazie per la testimonianza di fede che ci hai donato e che ci chiede di diventare anche noi, insieme con te e con la piccola Diana, pietre vive, il luogo più caro della sua Presenza.