II DI PASQUA - In albis depositis - Gv 20, 19-31
Oggi il nostro cuore è pieno di gioia: accogliendo Ivana che chiede di diventare cristiana, tocchiamo con mano quanto il Signore è buono, come Egli continua a far nascere nel mondo germogli di fede e di speranza.
Il nostro cuore esprime allora un canto di lode, di ringraziamento a Dio: facciamo eucaristia, diciamo grazie! Siamo piuttosto disposti a dare sfogo alle insoddisfazioni e ai lamenti, questa sera invece possiamo tornare a casa con il cuore pieno di gioia e di riconoscenza verso l’Eterno perché non smette di toccare la vita dei giovani e di affascinarli al vangelo, seguendo strade e percorsi che sono noti solo a lui. Quando ci sembra che non ci sia futuro, che Dio abbia abbandonato il mondo alla violenza e alla corruzione… Lui ci sorprende! Dio non si stanca mai di scuotere le nostre pigrizie, le nostre indolenze, le nostre indifferenze, Dio ci sorprende e lo ringraziamo.
Siamo contenti per Ivana, per il cammino che ha compiuto in questi due anni, accompagnata da Giovanna, da Paolo e da Maurizio e Oriana… e noi ringraziamo anche lei. In questo nostro stanco Paese, in questa nostra vecchia Europa, respiriamo oggi un soffio di primavera, della primavera dello Spirito. Certo noi oggi le trasmettiamo ciò che di più prezioso a nostra volta abbiamo ricevuto, le consegniamo il testimone della fede in Gesù che la Chiesa trasmette di mano in mano da 2000 anni, e nei vari momenti della nella celebrazione saremo chiamati a vivere questa nostra responsabilità. Ma lei è anche un dono per noi.
Ivana è un dono per noi perché risveglia noi credenti della prima ora e ci provoca, certo lei non lo fa direttamente perché è molto dolce e gentile, ma la sua decisione di diventare cristiana un poco ci fa riflettere, ci interroga. E mi viene una semplice domanda: ma se io non fossi cristiano, cosa cambierebbe della mia vita? Se non fossi nato in una famiglia cristiana, in un paese presuntuosamente cristiano, se non fossi stato battezzato da piccolo e volessi diventare discepolo di Cristo ora, cosa dovrei cambiare della mia vita? Ecco una buona riflessione da fare, qualcosa su cui meditare nei prossimi giorni. Certo se dovessimo dire che non cambieremmo alcunché, ci sarebbe di che preoccuparci…
Ad essere sinceri però questa domanda ne sottende un’altra, implicitamente significa che abbiamo in mente cosa voglia dire essere cristiano oggi e ognuno di noi ha una sua idea. Ma proviamo a chiederci di quale cristiano c’è bisogno oggi, in questo momento storico?
Non ci domandiamo cosa debba fare il cristiano, quali siano i suoi obblighi, i suoi compiti, i suoi impegni… Non si tratta di tratteggiare il profilo ideale, il prototipo, perché il nostro unico riferimento è Cristo, il Vangelo, la sua vita, le parole che ha detto e i segni che ha compiuto. Come diceva Pietro nella prima lettura: per il cristiano non c’è altro nome nel quale possa essere salvato!
È evidente che questo è vero per chi ha incontrato Gesù: noi che lo abbiamo conosciuto non possiamo avere che lui come Signore e Maestro. Che poi l’Eterno, abbia altre strade invece per le quali condurre a salvezza coloro che non hanno conosciuto Cristo, questo è un altro discorso. Sappiamo che Dio non fa mancare mai il suo amore perché il suo Spirito che soffia dove vuole, come vuole e quando vuole, e non mancherà di stupire e di ravvivare quel fuoco che è sotto la cenere di tanti cuori.
Ma per essere più precisi e per cominciare a rispondere alla domanda di quale cristiano ci sia bisogno oggi, possiamo prendere un semplice versetto degli Atti, leggiamo al v. 13: Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione… li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù.
La prima cosa che i capi e gli anziani vedono in Pietro e Giovanni è la franchezza, in greco la parresìa, cioè quella libertà e quel coraggio di parlare senza preoccuparsi se quanto si va dicendo è gradevole alle orecchie di chi ascolta. Anzi, Pietro e Giovanni parlando di una pietra che è stata scartata dai costruttori e che Dio ha reso pietra angolare, accusano esplicitamente i loro interlocutori di essere proprio loro quelli che hanno scartato Gesù, e lo dicono senza preoccuparsi delle conseguenze cui vanno sicuramente incontro.
Una franchezza quella di Pietro e di Giovanni che non viene loro dal titolo di studio e dalle competenze teologiche… Infatti, Luca non si vergogna di ricordare che i sommi sacerdoti e gli anziani non li considerano pericolosi perché erano persone semplici e senza istruzione (lett. «illetterati» e «idioti»). L’idiota nell’ellenismo era la persona che non poteva accedere a cariche pubbliche, per cui Pietro e Giovanni erano considerati incapaci al punto che non avrebbero mai avuto una responsabilità pubblica. Questo perché emergesse, come scrive Paolo ai Colossesi, non tanto la loro sapienza e la loro cultura, quanto la follia di Dio, la sapienza della croce.
C’è poi una seconda cosa che dice il v.13 ed è il fatto che la parresìa di Pietro e di Giovanni stupisce le autorità che li riconoscono come quelli che erano stati con Gesù. A me sembra una delle più definizioni più intense di discepolo, uomo o donna. Il discepolo è colui che è stato con Gesù. Anzi, qui abbiamo un verbo all’imperfetto indicativo come a indicare l’azione di un momento che continua, per cui dovremmo tradurre: quelli che continuavano a stare con Gesù.
Continui a stare non con un ricordo del passato, ma con un vivente! Anche noi continuiamo a stare con lui perché è risorto. Ecco l’esperienza della comunità primitiva che noi di domenica in domenica continuiamo a tenere viva. Gesù è vivo, lo vediamo nella fede di Ivana, lo ascoltiamo nella parola della Scrittura, lo riconosciamo nello spezzare il pane.
Potremmo dire senza essere presuntuosi che il cristiano è un alter Christus, come si cominciò a dire di san Francesco d’Assisi alla fine del 1200, è colui che vive, ama, pensa, agisce oggi, nel momento storico in cui si trova, con le sue capacità e i suoi doni, avendo come criterio assoluto Gesù, avendo come riferimento esclusivo il Vangelo, ma non da solo. Oggi la storia del mondo ha bisogno non tanto di individualità e di singoli che più o meno eroicamente cerchino di essere un alter Christus, ma di un popolo di Dio, di una fraternità cristiana capace di stare insieme nel nome di Gesù.
Non esiste la comunità ideale e perfetta, nemmeno quella dei primi cristiani lo era: abbiamo visto che Tommaso non c’era la sera di Pasqua! E gli altri erano schiacciati dal senso di colpa per aver abbandonato Gesù. Ebbene cosa dice il Signore ai discepoli che stanno rinchiusi nel cenacolo? «Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi». E li manda così come sono, poca cosa davvero, un gruppetto alla sbando. Ma ora c’è in loro il suo Spirito, il suo respiro, ciò che fa vivere. E che cos’è che li fa vivere? L’essere perdonati. Il dono dello Spirito è un atto creativo perché riapre il futuro, fa uscire la farfalla dal bruco, dal verme che mi sembra o temo di essere.
Il Risorto li perdona e li rende così ministri di misericordia. Così come non rimprovera Tommaso, ma lo perdona e nel perdono Tommaso vive ed è questa anche la sua, la loro prima missione, il primo lavoro, la prima evangelizzazione: anche tu perdonerai, anche voi perdonerete.
Cara Ivana, insieme con te oggi anche noi riviviamo la bellezza del nostro essere cristiani, ringraziando il Signore che ti pone sul nostro cammino, chiediamo per te e per noi un po’ di parresia, di quella franchezza che solo lo Spirito santo può donare affinché impariamo a non rimanere zitti e acquiescenti di fronte alla falsità, all’ipocrisie, alle menzogne, alle meschinità, per avere il coraggio di reagire al male, alla corsa agli armamenti, alla corruzione… con la semplicità disadorna della parola del vangelo.
E poi sarebbe anche un grande dono sia per te che per noi l’essere riconosciuti da chi non crede come quelli che continuano a stare con Gesù. Continuare a stare con Gesù non è uno stare statico, intimistico che fugge le responsabilità della vita. Lo stare con Gesù vuol dire camminare come lui e col dono dello Spirito per portare l’esperienza del perdono. Come tra poco, proprio perché anche tu Ivana nelle acque del Battesimo immergi tutto il tuo passato e ti vengono perdonati tutti i tuoi peccati, così anche a noi ci sia dato non di essere riconosciuti come «quelli che vanno a messa», ma come quelli che continuano a stare con Gesù, perché continuiamo ad essere perdonati e a perdonare.
Ma c’è ancora una cosa che chiediamo al Signore come cristiani di questo tempo, noi che siamo un poco tutti come Tommaso. Tommaso ha imparato che se non stai con Gesù ti fai un Dio a tua immagine e somiglianza, un Dio tappabuchi, un idolo per le tue frustrazioni… mentre nell’incontro con Gesù impara a vedere Dio nelle ferite delle mani e dei piedi di Gesù.
Il Risorto non esibisce le ferite chiuse, rimarginate, perfette… ma le ferite sono lì ancora aperte, perché anche noi impariamo a vedere il segno dei chiodi, i dolori del migrante, le miserie degli impoveriti, le sofferenze dei malati, l’insicurezza del profugo… così che al vederle, cara Ivana, potrai farti compagna di strada e riconoscere lì Gesù e gridare con tutta la fede di cui sei capace: «Mio Signore e mio Dio!».
Tre sono i doni che ricevi: il battesimo per il perdono dei peccati; la cresima per essere piena di Spirito santo e di parresia, di coraggio; e l’eucaristia per condividere le ferite del Risorto e dell’umanità.
(At 4,8-24; Col 2,8-15; Gv 20, 19-31)